Sofia – “Ma nun c’ho capito ‘n cazzo, stavo pure bello attufato…”

PREMESSA

“Mai schiavi della meta, sempre del fomento”. Questo è stato lo slogan coniato quando abbiamo comprato il biglietto per Sofia mollando definitivamente Lisbona. Nella sua apparente banalità, questo motto racchiude invece la ragione per cui il viaggio appena concluso in Bulgaria rimarrà tra i più belli di sempre e di certo quello più divertente che abbiamo condiviso io e David.

Onestamente non volevo scrivere nessun post su Sofia, una scelta magari impopolare considerando i precedenti, il problema è che non so veramente da dove iniziare ma soprattutto ho la totale consapevolezza che non potrò riuscire a trasmettere nemmeno il 10% del divertimento assaporato. Scrivere per fare un resoconto è una cosa, provare a raccontare e spiegare sensazioni, risate e momenti è ben altro discorso. Troppe cose devo censurare, troppe battute non possono essere trascritte per svariate ragioni e troppi tagli tolgono linfa e interesse al post, alla fine però, mi sono convinto nel buttare giù un po’ di righe, più per tradizione che per centrare l’obiettivo.

Partire con due ore di sonno sulle spalle dopo aver puntato la sveglia alle 4 non è il massimo, però quando c’è un pre-partita del genere non si può sprecare l’occasione e allora venerdì sera dopo aver comprato i biglietti per il treno per Fiumicino ci siamo scolati un paio di bicchieri e boccali di Tinto de Verano tanto per entrare in clima e chiudere gli occhi alle 2. Volo ottimo, Wizz Air puntuale e lodevole anche se i posti a sedere sull’aereo sono forse i più scomodi sui quali io abbia mia poggiato le sacre terga. Mentre ricevevamo chiamate anonime alle 6.30 e ipotizzavamo le peggiori ipotesi (splendida quella del Gallo sulla Wizz Air stessa) ci siamo imbattuti nel George Clooney di Fiumicino, nella commessa di Sora, nella non colazione consumata sempre per colpa della commessa di Sora e poi in una serie di individui che volevano partire con la mail della compagnia e senza carta d’imbarco, oltre a quelli che volevano aggirare l’imbarco stesso da una porta sul retro.

Giunti a Sofia, nel tetro e vuoto aeroporto, ci siamo indirizzati verso la fermata del bus 84, quello diretto verso il centro città e qui (badate bene a questo passaggio) un tizio in pantaloni corti e felpa grigia, nonostante i 10 gradi, ci ha chiesto se eravamo italiani, qualche informazione e poi è sparito per andare a cambiare i soldi. Questo personaggio, sulla trentina e dallo spiccato accento romanesco, aveva l’aria di chi era stato svegliato nel cuore della notte per andare a sua insaputa in Bulgaria e sarà l’idolo del viaggio.

L’hotel è stato raggiunto facilmente, con un cielo grigio e un clima dublinese, grazie anche alle indicazioni di un bulgara che viveva in Irlanda, i casi della vita. Periferico ma non troppo, a sud della città, nel quartiere Lozenetz e a due passi dal centro commerciale nel quale abbiamo pranzato: il Gallo da Subway con un panino lungo come uno sci e io da KFC essendo un vero ultrà del fast food in questione. Fin da subito però ci siamo chiusi nel primo tormentone, immaginavamo infatti Alfredo sul divano di casa sua intento a seguire in diretta ogni nostro passo, in una specie di super Grande Fratello. Per questo motivo, il nome più ricorrente nel viaggio è stato quello di Fabi che nella nostra pazzia veniva chiamata in continuazione da Alfredo per mostrarle le nostre gesta. Il secondo tormentone è stato invece una frase del Di Renzi, un mio amico di scuola che nel marzo del 2004, in attesa nella hall di un hotel di Firenze, riferendosi al suo compagno Mattia disse un’espressione fantastica ma che non posso trascrivere (prima censura).

Un altro tormentone, altrettanto immediato è stato quello relativo alla fermata della metro di Serdika, la piazza principale della città. Ogni volta che veniva pronunciato il nome dall’altoparlante partiva immediatamente un “Serdika tu eri l’unica, ma soprattutto nelle ore di ginnastica…” citando la canzone dei Perturbazione allo scorso Sanremo. Tuttavia, dopo aver preso possesso della nostra camera d’albergo, la migliore in cui siamo stati insieme, ci siamo riposati ma senza dormire, ripartendo per nuove avventure intorno alla 17 per un giro di perlustrazione. Sofia non è una città meravigliosa e nemmeno stupefacente, è il classico post dell’Europa dell’Est, con scritte in cirillico senza traduzioni e quell’aria da città di una volta leggermente ammodernata ma fondamentalmente reduce da storie diverse e complesse, a tinte rosse e con un occhio verso Mosca. Non abbiamo trovato nulla di profondamente bulgaro, qualcosa di estremamente identificativo, ma nonostante tutto, alla fine, era un posto che bisognava visitare.

La cattedrale di Alexdander Nevsky è stato il primo posto in cui siamo finiti, prima di girare per Rakovski e Vitosha Boulevard la strada dei locali, una Grafton Street in salsa bulgara. Qui il Gallo ad esempio ha dato il via al primo dei racconti, alla prima confessione-verità, un altro tema ricorrente nel viaggio. Dopo averlo sollecitato sul giugno 2013 a Dublino, davanti a un Mojito pagato meno di 3.50 Euro, mi ha ricostruito la sua vicenda. A cena ci siamo ritrovato da Happy, catena seminata in diversi punti di Sofia. Ristorante carino, con ampia scelta, ottimi prezzi e cameriere di livello altissimo. Mentre il Catto era intento a vedere Arsenal – Tottenham venivamo per la prima volta censurati e irretiti da una coppietta che a detta del mio partner d’attacco parlava la lingua di Dante. Questo aspetto ha limitato il nostro lessico (o meglio, turpiloquio) che è stato protagonista del viaggio. Presumo che le volgarità, le sconcezze e le frasi scurrili che sono uscite dalle nostre bocche ci hanno procurato un posto fra le fiamme degli inferi in eterno. Questo però è stato un pretesto per delle risate leggendarie, battute inenarrabile, riferimenti che non posso veramente riportare (seconda censura).

Quello che in fondo abbiamo apprezzato è stato proprio questo, la “libertà d’espressione”, la possibilità di dire tutto quello che ti pare essendo altrove e senza il rischio di passare come sguaiato o maleducato. In un luogo poco turistico, con pochissimi italiani, ci siamo lasciati andare a considerazioni e frasi un tantino più pesanti del solito. Abbiamo sdoganato praticamente tutto, abbiamo aggiunto nuovi bersagli e ritirato fuori vecchi obiettivi, sono certo che nessuna persona a noi vicina non sia stata citata almeno due volte.

Un altro drink, un giro al centro e poi il ritorno in hotel per riprendere fiato, ma soprattutto per riposare dopo una giornata infinita, zero sonno e con una domenica bulgara pronta ad entrare nel vivo.

(CONTINUA)

Sofia – “Ma nun c’ho capito ‘n cazzo, stavo pure bello attufato…”ultima modifica: 2014-10-01T14:17:58+02:00da matteociofi
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