Il trionfo a GoalUnited

Oertel; Stegen, Recchia, De Gasperis, Tammen; Aletta, Hotes, Vilarinho; Pietrosz (C), Agneray, Pannes. All.: Romeo Pancini.

Questi nomi sono inevitabilmente sconosciuti a tutti voi, tranne al sottoscritto e agli altri miei 11 avversari, questi sono però i nomi che entrano nella storia personale della mia squadra di GoalUnited. Questi 11 eroi sono quelli che sabato 21 marzo, vincendo 1-4 sul campo del Villanova hanno permesso alla mia Virtus SEF di aggiudicarsi il campionato con 3 giornate d’anticipo, raggiungendo così la 4^ divisione del gioco. Dopo tanto tempo finalmente sono riuscito ad impormi stravincendo il campionato, una cavalcata degna di una grande squadra. Un successo dopo l’altro, in una stagione esaltante. Peccato essere usciti al sesto turno di coppa Italia, però, stavolta come non mai, l’obiettivo dichiarato era vincere il campionato, avevo capito che si poteva fare, che era la nostra grande occasione e siamo stati tutti bravi, anzi bravissimi, a vincere. Dopo 19 delle 22 giornate le statistiche dicono che abbiamo raccolto 48 punti, frutto di 15 vittorie, 3 pareggi e una sconfitta contro Acquedotto alla quinta di andata fuori casa. In più ci sono 50 gol fatti e solo 18 subiti, numeri che ovviamente vogliamo migliorare per chiudere in bellezza.

I meriti sono di tutti, però una nota a parte la merita l’allenatore Romeo Pancini che scelsi nella seconda parte della scorsa stagione. L’annata era ormai compromessa ma lì abbiamo cominciato a lavorare in prospettiva cercando di buttare le basi per questa stagione. La programmazione ha pagato e con alcuni innesti non c’è stata storia, nemmeno per Kokigna che era accreditato al successo essendo stato retrocesso dalla quarta serie.

Gli uomini chiavi sono stati i soliti: il leader del centrocampo Dominic Hotes, biondo tedesco dalle giocate sensazionali, capitan Pietrosz, attaccante polacco, una vita nella Virtus, ma è impossibile dimenticare il portoghese Vilarinho, mezz’ala dribblomane e inarrestabile o il bomber tedesco Pannes vero valore aggiunto alla squadra quest’anno. Poi permettetemi una nota di merito per Ivo Wicht, il mio svizzero, l’uomo che presi nel maggio del 2012 (al gioco ogni campionato dura tre mesi) quindi una vita fa. Lui ha giocato meno, anche perché l’età avanza ma è stato comunque provvidenziale e rimane l’anima di questo gruppo.

Abbiamo vinto ma nel frattempo il bilancio sorride, con 20 milioni in cassa e 10 in banca i quali mi frutteranno 1,213,000 di interessi il 9 maggio. La vittoria del campionato mi regalerà anche 1,800,000 di premi, oltre ai 2,500,000 di bonus per aver vinto 12 partite nel campionato. Insomma, entrano anche dei soldi importanti per affrontare la prossima stagione che inizierà a metà aprile, la prima volta in quarta serie, con l’obiettivo di salvarci.

Dopo 3 anni e mezzo ho conquistato così la mia terza promozione, e più passa il tempo e più onestamente mi diverto con un gioco che ha un aspetto a mio avviso fantastico: la scadenza temporale. Sabato e mercoledì si gioca il campionato, il lunedì la coppa Italia, il martedì la partita di coppa europea. Il fatto che si giochi a orari prestabiliti dal software e non come i normali videogame quando uno desidera, rende il tutto abbastanza realistico, anche se i giocatori non esistono, ma sono tutti di fantasia creando di fatto una realtà parallela. Altro che Scudetto o Football Manager, per me Goalunited è un’altra cosa, un altro entusiasmo, un qualcosa che oltretutto mi lega ancora a un determinato periodo. Lunga vita al gioco dei tedeschi della Travian Games, con un milione e mezzo di utenti, e alla mia Virtus SEF che a nessuno si piega e a niente si inchina.

(Vabbè, me sto a allargà, ma abbiamo vinto e dobbiamo celebrare degnamente)

 

Portieri

1 – Oertel (Ger)

22 – Lo Piccolo (Ita)

Difensori

20 – Adiguzel (Tur)

4 – De Gasperis (Ita)

2 – Tammen (Ger)

5 – Recchia (Ita)

6 – Stegen (Ger)

77- Musumeci (Ita)

Centrocampisti

79 – Soviero (Ita)

7 – Aletta (Ita)

14 – Vilarinho (Por)

7 – Hallberg (Svi)

18 – Hotes (Ger)

24 – Roberto (Bra)

96 – Acqua (Ita)

Attaccanti

19 – Wicht (Svi)

15 – Agneray (Fra)

9 – Pannes (Ger)

11 – Pietrosz (Pol)

20 – Tonelli (Ita)

 

Allenatore: Romeo Pancini

Vice: Virgilio Aiolfo

Preparatore portieri: Raul Villa

Preparatore atletico: Aladino Sintuzzi

Psicologo sportivo: Merico Fantauzzi

Medico sociale: Raniero Severgnini

Fisioterapista: Aleardo Zamparini

Addetto stampa: Giuliano Zaccardi

Commercialista: Adalberto Scappini

Allenatore primavera: Rocco Scarlato. 

Grazie a tutti, campioni.

P.S. Io penso che uno alla fine di questo post, dopo averlo letto attentamente, possa pensare che io non ci sto con la testa. Fate bene, è probabile.

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Un sogno, una premonizione, un suggerimento.

Ci sono post che ancor prima di scriverli sai già che non ti renderanno soddisfatto, sai che pur provandoli a scrivere altre cento volte non riusciresti mai comunque a trasmettere ciò che vorresti. Ci sono post che imposti e dopo un po’ t’arrendi. Questo è uno di quelli e pagherei di tasca mia, veramente, per potervi portare dentro al sogno dell’altra notte, per farvi provare la sensazione stranissima che percepivo nel frattempo, in una di quelle classiche avventure oniriche che viaggiano nel tempo, in una dimensione inesistente perché forse perfino troppo realistica da credere.

Andrebbero fatte delle premesse dovute, ma mi perderei e il post vedrebbe scemare la sua capacità attrattiva, rimane il fatto che a fine 2014 ho guardato la serie di Romanzo Criminale, poco dopo aver finito il libro di Imposimato (il Borgia del telefilm) intitolato “La repubblica delle stragi impunite”. A questo punto devo aggiungere un altro dettaglio necessario: da quando sono qui ho fatto spesso sogni, soprattutto le prime settimane. Una costante è stata quella di sognare persone che appartengono tutte ad una certa categoria. Essendo la prima posizione inattaccabile da tempo, ho sognato anche altri personaggi con cui ho avuto dei problemi, conti in sospeso o difficoltà. Non mi sono mai sognato la mia famiglia, e nemmeno un David, un Alfredo, un Gabriele. Mai persone a me vicine, mai persone che mi piacerebbe incontrare in qualche fantastico viaggio notturno.

Eccoci quindi, durante la notte fra mercoledì e giovedì si è sommato tutto in una maniera clamorosa. Cinematografica. Forse emblematica. Magari è una premonizione, probabilmente un suggerimento su come deve finire la nostra serie. Non lo so, resta il fatto che per quanto possa esserci una tristezza di fondo, era tutto così bello che io non ho provato alcun fastidio, al punto che per una volta non mi sono detto “Svegliati che è un incubo” come mi capita quasi sempre visto che ci sto con la testa anche quando dormo e sogno.

Quest’ultimo era di fatto la scena finale di Romanzo Criminale, l’ultimissima proprio, quella celebre del Bufalo che invecchiato rientra nella sua vecchia bisca e rivede con la sua fantasia le immagini di quando era giovane rivivendo fantomatiche conversazioni.

Nel bar dell’università, quello di Luciano, disposto nella maniera attuale ma con il vecchio proprietario, ci sono io, con una polo blu, sembra quella di Slazenger, fa caldo ma non è ancora estate, a un punto, entra David che con una sudatissima t-shirt (quella che aveva prima di andare da Teoria a cena nel luglio 2009) si catapulta dentro e si guarda intorno prima di vedermi. Cerca me e sembra dovermi dire qualcosa di dannatamente urgente. In maniera inevitabile dalla tv del bar escono le note di Liberi Liberi di Vasco, il Catto mi guarda fisso e ancora col fiatone mi dice: “Matté! Sta a parlà con Fermata! Stanno qui de fuori! So brividi Matté, ehhhh mo so’ guai”. Guardo il mio fidato amico che ha interrotto una banale conversazione fra me e Alfredo il quale però non parla mai nel sogno, sorrido e gli dico praticamente le parole del Libanese: “A Dà, tranquillo, ma io so’ morto, non te ricordi? Che me può succede?”. Cerco di tranquillizzare il mio amico e torno a parlare con Alfredo mentre David si piega su se stesso, con le mani sulle ginocchia per recuperare fiato dopo uno sforzo evidentemente esagerato. Poco distanti ci sono Saretta e Martina. Non riconosco altre persone. Finisce così. Tutto. Con la musica che sembra più alta, forse perché non parliamo, la conversazione si è esaurita con una battuta a testa e basta.

Il sogno termina in questo modo, una parentesi notturna tanto intensa, quanto veritiera. In un colpo solo tutto dentro, un sogno con decine di aspetti all’interno che se lo raccontassi ad un analista ci scriverebbe almeno due libri per gli spunti intrinsechi che regala. Un sogno appunto, un incubo, non lo so, un mix infinito, un suggerimento per come dovrà finire la nostra personale serie, chissà, resta il fatto che era tempo che non vivevo un viaggio onirico di tale portata e che ho avuto in testa per tutto il giorno e che non poteva non finire qui.

 

Liberi liberi siamo noi

però liberi da che cosa

chissà cos’è? Chissà cos’è!

Finché eravamo giovani

era tutta un’altra cosa

chissà perché? Chissà perché!

Forse eravamo stupidi

però adesso siamo cosa…

che cosa che? Che cosa se!

Quella voglia, la voglia di vivere

quella voglia che c’era allora

chissà dov’è! Chissà dov’è!? 

“Dell’elmo di Scipio, s’è cinta la testa”

Viva l’Italia

l’Italia del 12 dicembre

l’Italia con le bandiere

l’Italia nuda come sempre

l’Italia con gli occhi aperti nella notte triste

viva l’Italia

l’Italia che resiste.

 

Ci sono due persone che pochi giorni fa ho inserito nella mia black-list. Le ho vergate con un mio pennarello ideale perché si sono rese colpevoli di aver fatto un qualcosa che non dovevano: ironizzare sul mio essere italiano, semplicemente perché avevo detto una frase (oltretutto vera) che ha suscitato la loro reazione la quale non mi è sfuggita. Oltre alla figura da ragazzini delle medie, l’episodio mi ha infiammato definitivamente. In fondo siamo gente che dà fastidio, ci ammirano e ci temono, ci invidiano e giocano su dei bislacchi luoghi comuni per pungerci ma pagherebbero per essere noi. Io li capisco, mi metto dall’altra parte e so che se dovessi competere per qualcosa mai vorrei trovarmi davanti un italiano e lo dico per tre motivi in particolare: l’infinita capacità di essere imprevedibile, l’arte di venirne fuori e la genialità.

Dopo questo piccolo “contrattempo”, arde ancor di più dentro di me quel fuoco italiano, quel mio smisurato senso di appartenenza a un qualcosa per cui ringrazio il Padreterno ogni giorno, quando intorno alle 10 mi reco nella cappella.

Sono italiano e sono orgoglioso di esserlo. Sono fiero di questo. E sono uno di quelli che quando sente l’inno si alza in piedi e quando vede il tricolore sventolare accarezzato dal vento prova qualcosa di non spiegabile. Sono sempre stato così, forse perché sono cresciuto con i racconti della guerra di mia nonna, dei partigiani e di chi ha combattuto per liberare questo paese.

Avere sul passaporto la scritta Repubblica Italiana è qualcosa che mi esalta ogni volta che la leggo e non vorrei avere nessuna altra provenienza. Sono italiano e adoro indentificarmi con il mio paese. Mi piace perché so benissimo cosa rappresenti, e soprattutto capisco la fortuna di essere nato in questo stivale di terra che si adagia sul Mediterraneo. Ho il sangue verde, bianco e rosso, trasudo italianità e non c’è nulla di cui mi vergogno. Ci saranno sempre troppe cose belle con cui mi potrò identificare piuttosto che gli scandali o le vergogne di cui si macchiano i nostri politici.

Nulla potrà mai scalfire il legame con la mia Terra, e a nessuno permetto di mancarle di rispetto. Amo l’Italia con tutto il mio cuore perché in Lei mi rispecchio, perché sono un privilegiato ad essere cresciuto in mezzo a così tanta meraviglia. Nell’unico posto in cui è nata prima la cultura e poi la nazione, in una terra che è la culla della civiltà moderna, in una nazione che da sempre è sinonimo di qualità.

Tante volte rifletto su come sia possibile che in un lembo di terra così piccolo ci sia tanta eccellenza e qualità, magia e fantasia. È evidente che quel giorno Dio volesse fare qualcosa di speciale, è chiaro che gli sia scappata la mano su quella penisola. Voleva fare le cose in grande e c’è riuscito. Penso che quando noi vivevamo il nostro Rinascimento e istruivamo il resto del mondo, qui nemmeno esistevano. Questa differenza è talmente grande che determina tutti i ragionamenti successivi con tanto di conseguenze.

L’Italia per me è una roba a parte. È il mio cuore senza mezzi termini e malgrado tutto non riesco ad avercela con questo paese che non puoi darmi un’opportunità. Che colpa ne ha questa terra? Le responsabilità sono di chi da tempo la sta dilaniando e stuprando senza pietà, ma nonostante tutto non riusciranno a distruggere la grandezza che accompagna la mia patria. Non sarò mai completamente felice lontano da lei, e il mio desiderio più grande è quello di poter vivere un giorno nel mio paese facendo magari il mio mestiere. Solo quello, niente di più. È il mio sogno perché senza Italia sono come una bella casa ma arredata male.

E per quanto sia un dannato individualista, un perenne cane sciolto ho il bisogno fisico ed emotivo di appartenere a qualcosa e l’Italia per me è tutto ciò, e per quanto sia un tipo pratico rimango un esteta, un amante del fascino e della bellezza in tutte le sue sfumature, e l’Italia, amici miei, è bella da impazzire.

Auguri Italia. Viva l’Italia, viva il tricolore.

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“Bicchierati e smartophonati si aggirano per la città”

68777412nfktdw9ucanadianflagDue mesi di Canada e sono già tante le cose che mi sono entrate in testa. Alcune importanti, altre stupide o sciocche (ovviamente le mie preferite) però un aspetto è fin troppo palese: se non indossi come cappotto il Canada Goose non sei nessuno. Altro che l’inflazionatissimo Belstaff a meta Anni 90 con la cintura catarifrangente, nulla a che vedere nemmeno con il Refrigiwear di metà Anni 2000, qui questa marca è una istituzione. Il mio piumino nero, reduce da innumerevoli battaglie con tanto di bandiera canadese, non vale nulla, nel senso che non è patriottico e distintivo allo stesso modo. Nella metro, ogni mattina, ne conto decine. Trasversale, bello, sicuramente caldo e appropriato, è il giubbotto dei locali, troppo omologato però per farmelo piacere.

La parola che invece ho sentito dire più spesso è “weird”, ossia “strano”. Non usano mai unusual, ne tanto meno strange, ma solo weird. In continuo. Detto poi con quell’accento americano che lo arrotonda fino a storpiarlo è entrato da un po’ nella lista delle cose che non sopporto. Se la parola è weird, l’espressione è “Does it make sense?” c’ha senso? Io rispondo sempre sì, mi fa ridere però l’insistenza con cui venga detta, quasi un abuso, e ovviamente ho preso le distanze anche da questa frase.

Vanno matti per i pancake, mangiano male, mischiano tutto, mettono salsine sopra ogni cibo, ammazzano qualunque sapore, se ne fregano del gusto e non bevono mai acqua. E’ vietata, pena presumo il divieto di dire “weird” e “does it make sense?” per 90 giorni. In compenso, come già detto, mi sembrano un popolo sereno, di bonaccioni, gente poco incline al casino, ordinati, a volte troppo. Camminano piano, sono particolarmente rispettosi, subiscono tutto in silenzio, come la stramaledetta metropolitana e i suoi perenni disguidi. Si lamentano sempre del freddo, nemmeno venissero dal Qatar. Io, giovanotto mediterraneo, baciato dal sole e avvolto dal tepore della mia città nativa, non mi lamento mai del freddo qui, loro invece lo fanno come sport.

A proposito di attività fisiche e hobby seguono ovviamente tutti sport inutili tipo l’hockey, il football americano, il baseball, si fomentano discretamente per il basket, e con notevoli ritardi e difficoltà si stanno avvicinando al calcio (ah, io mi rifiuto con un palese disprezzo a chiamarlo soccer, sia chiaro, a costo di non essere compreso). L’arrivo del sabaudo Giovinco ha portato un’ondata di entusiasmo che sono curioso di vedere quanto durerà.

Bicchierati e smartophonati si aggirano per la città. Sulla sinistra di solito hanno il bicchiere di cartone di Tim Hortons o di Starbuck’s, con la destra invece stringono il loro cellulare, se devono prendere qualcosa al volo non possono. Poi che altro? Non sono un popolo, sono simili ai loro vicini di casa se non fosse che quelli a stelle e strisce hanno un culto del patriottismo diverso, quasi smodato, talvolta pacchiano, con bandiere appese ovunque, un lavaggio del cervello che esiste da decenni, qui non è la stessa cosa pur essendoci un mostruoso mix culturale e di razze stile USA.

Costa tutto tanto, troppo, l’abbonamento mensile per i mezzi di trasporto 141 dollari, un abbonamento mensile per una compagnia telefonica, non meno di 40 dollari e la più economica è la Wind. Gli alcolici non vengono venduti nei supermercati ma solo in luoghi adibiti come LCBO, un negozio a parte con prezzi certamente non di saldo.

In tutto questo però amici miei, c’è una cosa che devo sottolineare e che apprezzo notevolmente: il profondo senso di sicurezza che si respira. Non si vedono troppi agenti in giro e non ho assistito ancora a nulla di clamoroso, però la percezione che tu possa camminare per strada sereno la senti dopo un po’. La certezza è una: chi trasgredisce qui non la racconta, nel senso che non conviene a nessuno andare oltre perché le sanzioni sono severe e prima di fare lo stronzo ci pensi un paio di volte. Questo significa lasciare la porta di casa aperta, non aver paura di camminare la sera e stare tranquilli in modo totale.

Onestamente, un aspetto del genere, può cambiare in maniera sostanziale anche il giudizio complessivo su un paese, se poi aggiungiamo l’inebriante emozione di fare la spesa al supermercato alle 22.30, come è successo sabato scorso, o il sanity point, una specie di distributore di amuchina dentro uffici ed edifici, e i soldi che sembrano di plastica anziché di carta, mi sento dire che qualcosa a questi canadesi gliela invidio pure io…