Due mesi

Scavallata anche la nona settimana, taglio il secondo mese. Teoricamente sono a un terzo del percorso, biglietto aereo alla mano. In maniera inevitabile questo secondo mese è stato più facile del primo, ma soprattutto è sfilato via molto più rapidamente. Una trentina di giorni in cui è cambiato l’orario e abbiamo guadagnato un’ora in più di sole, in cui ho festeggiato il mio compleanno e in particolar modo è stato il mese che potrebbe segnare una svolta nella mia esperienza lavorativa in questo angolo di Ontario.

In generale le cose procedono, le temperature sono ampiamenti sopra lo zero, con enorme ottimismo si possono già intravedere scorci primaverili e sognare giacche slacciate. La neve si sta sciogliendo e i rischi si moltiplicano. La mia padrona di casa ne ha fatto subito le spese rompendosi il polso ieri mattina, una maledetta lastra di ghiaccio le è stata fatale. Per quanto mi riguarda ho rischiato di andare lungo come mai successo prima e solo ieri, il 60% delle persone che erano all’ospedale si trovavano lì per cadute rovinose o banali per strada. Il tanto sole sta sciogliendo i cumuli di neve, l’acqua che ne deriva si ghiaccia durante la notte e la mattina è una mattanza.

Intanto sarò calato almeno due kg sicuramente, in più mi vedo dimagrito per aver perso un po’ di tono muscolare, se Dio vorrà fra un po’, tempo permettendo, mi rimetterò in pista in qualche modo. In tutto questo però mi sono voluto raffreddare. Due mesi qui senza acciacchi era un qualcosa di intollerabile e l’ho voluto fare per bene. I primi sintomi li ho avvertiti domenica sera, così da avere una bella settimana lavorativa davanti a me con mille fastidi. Ma si sa, come direbbe Alfredo, il Ciofi è un perfezionista.

Intanto è giovedì nuovamente, l’ultimo segmento della settimana prima del curvone finale del venerdì. Due mesi sono alle spalle, altre avventure si celano all’orizzonte. La strada è lunga anche se un pochino meno di quando ho scritto un post che aveva il titolo molto simile a questo qui…

“Con i colori del cielo e della notte”

Non ricordo il giorno in cui ci siamo incrociati per la prima volta, non so nemmeno quando me ne sono innamorato, ricordo però esattamente la sera in cui decisi che non l’avrei mai più lasciata. Era il 24 agosto 1993, una calda e umida serata di fine estate, un martedì lavorativo per qualcuno, come per mio papà che insieme ad un suo collega decise di portarmi allo stadio Olimpico per una amichevole pre-campionato fra Lazio e Inter. Non assistevo per la prima volta ad una partita dal vivo, pochi giorni prima eravamo stati infatti al Curi per un Perugia-Cagliari finito 1-1, mentre eravamo in Umbria come tutti gli anni a cavallo di Ferragosto.

Andammo così all’Olimpico, ma prima ci fermammo alla stazione Tiburtina. Non so il motivo, ma ricordo che mio padre scese e io rimasi in macchina con il suo collega al quale spiegavo che poche settimane dopo avrei iniziato scuola, la prima elementare, ma già sapevo leggere, scrivere e fare addizioni e sottrazioni. Scherzando, entrambi arrivammo alla conclusione che ero in grado di fare le cose più importanti e che in fondo avrei anche potuto fare a meno di andare a scuola. Giunti allo stadio ricordo il rumore dei piedi sui gradini, sulle rampe d’accesso per raggiungere la tribuna Tevere ma soprattutto la meraviglia di vedere quel prato verde davanti ai miei occhi. Enorme e splendente. Un sogno. Quella sensazione inebriante che in fondo riprovo ogni volta, come se in tutte le circostanze tornassi un bambino di sei anni e mezzo per la prima volta alla stadio.

La cosa che mi stupì maggiormente era il fatto che non ci fosse la telecronaca, e quindi che il rumore del pallone calciato intervallava a volte il brusio del pubblico, il tifo e i boati, di gioia o disapprovazione. Trentacinque minuti dopo il fischio d’inizio Casiraghi segnò, al 63’ raddoppiò Winter che a me stava simpatico perché il suo nome significava W-Inter, una delle frasi che scrivevo più spesso, e al 67’ Gascoigne firmò il tris. Sul 2-0 iniziai a piangere, mio padre provava a rincuorarmi, il suo collega si intenerì per me. Ebbi un sussulto solo prima del 3-0, quando Zenga parò un rigore a Gazza e con la mano destra, in mezzo ai pantaloni, gli feci il dito medio, attento con l’altra a coprirmi bene per non farmi vedere da mio papà che era sulla sinistra. La mia attenzione fu rapita in seguito da un uomo davanti a me che insultava ripetutamente Schillaci, un po’ ridevo, un po’ non capivo, un po’ però avrei voluto poter dire quelle parolacce anche io, fin quando l’eroe di Italia ’90 si girò verso la Tevere e fece un gestaccio al pubblico colpevole di beccarlo. Finì malissimo, 3-0 per la Lazio, un’Inter inesistente e un trionfo per i biancoazzurri che festeggiarono.

È la serata in cui però scelgo per sempre. È la serata in cui incontro finalmente dal vivo l’Inter che non fa nulla per invogliarmi a essere un suo tifoso. Nel frattempo invece ho appena visto sotto i miei occhi un’altra squadra dominare, è della mia città, potrei andarla a vedere allo stadio ogni 14 giorni e poi potrei avere tanti amici a scuola con cui condividere questa passione. Invece no, quella sera decido che rimango interista e tiferò per quelli vestiti di nero e celeste, con la maglia a strisce. Scelgo quella squadra per cui a scuola non tifa nessuno, che non potrò mai vedere dal vivo se non due volte l’anno, che ha perso nettamente e che ha un giocatore maleducato e scorretto per come si è rivolto al pubblico.

Ho scelto quella sera afosa d’agosto e non ho mai più cambiato idea. Ma soprattutto, non me ne sono mai pentito.

Sono passati 107 anni da quel 9 marzo 1908, 107 anni di storia, bellezza e gloria. “Con i colori del cielo e della notte, infinito amore, eterna squadra mia.”

Il mio compleanno canadese

Il mio compleanno quando capita di venerdì per me ha sempre un valore diverso. Il motivo è molto semplice: quella sera del 6 marzo del 1987, quando in tarda serata sbucai al Policlinico in grande stile, con camicia, gilet e Lacoste ai piedi, era proprio un venerdì.

L’ultima volta che c’era stata questa sovrapposizione era il 2009. Andai all’università, poi a pranzo da mia nonna e tornai a Tor Vergata per la lezione di Storia della Gran Bretagna dalle 16 alle 18. La sera andammo tutti insieme all’Habitué su Via Casilina, fu la prima uscita ufficiale di Antonio e La Bionda, il Drastico le cantò “Che tesoro che sei”, Alfredo era in Brasile, noi salimmo sul palco del karaoke per “rovinare” senza rispetto “Urlando contro il cielo”, pagai da bere a tutti e Fermata alla fine si macchiò di un gesto che avrebbe potuto evitare.

Sei anni dopo riecco venerdì e per la  terza volta in vita mia ho celebrato il mio compleanno all’estero, la prima in un altro continente. Difficile trovare punti di contatto con quello di Dublino del 2013, in quella circostanza ero arrivato da soli 4 giorni e onestamente il disorientamento era notevole, stavolta è stato tutto molto diverso considerando che anche l’ottava settimana è scivolata via. La coincidenza particolare è che come a Dublino, anche qui, la prima immagine che ho scattato con la macchina fotografica è relativa al mio compleanno, una ennesima riprova della circolarità delle vicende umane, almeno di quelle che mi riguardano.

Come già anticipato, un po’ di malinconia, per la prima volta è emersa, ma in occasioni del genere è davvero inevitabile. Certe feste sono troppo legate all’aggregazione e alla condivisione, a quel qualcosa che ti riconduce a famiglia e amici, quando mancano entrambi, pagheresti per essere a casa tua, ma in qualche modo, alla fine, l’ho sfangata decentemente.

Fra una rassegna stampa, un palinsesto da controllare e una riunione di redazione ho festeggiato, portando due torte in ufficio, mangiando cocomero e fragole al sei di marzo e cenando molto bene. A casa, con la mia famiglia francese, ho cucinato fettuccine al pomodoro per tutti, in più avevo comprato un pollo, abbiamo brindato con tanto di champagnino, ho spento le candeline e scartato addirittura un regalo. Insomma, devo ringraziare chi ha permesso che questa giornata non passasse in cavalleria e fra tanti anni avrò comunque un ricordo piacevole di questo compleanno in Canada.

Ho ricevuto auguri dagli angoli più disparati dal mondo, da Hong Kong (il primissimo anche per un discorso di fuso), Cambridge, Seattle, San Paolo, Atene, Londra, Madrid, Fiuggi Terme, in tanti si sono affacciati su Whatsapp, mail, Skype e quant’altro per farmi sentire il loro calore malgrado un oceano di mezzo. È stato bello, come sempre. Anche se è solo un augurio, un messaggio, il piacere nel ricevere attestati di affetto senza Facebook di mezzo ha il suo fascino. Un po’ datato, ma vivo.

La seconda persona che mi ha fatto gli auguri quando per me era ancora 5 marzo ha vinto a mani basse e nel messaggio di risposta gliel’ho annunciato con totale certezza. Nessuno avrebbe potuto fare di meglio e un pezzetto del testo merita di essere pubblicato. Un pezzetto solo però eh.

Grazie a tutti voi.

Sempre vostro.   

 “…Non conta con chi effettivamente passi il giorno in se stesso in fondo, ma piuttosto chi quel giorno, se potesse scegliere, vorrebbe passarlo a festeggiarti. I tuoi amici ci saranno di sempre. Parlando per me, io di sicurò sarò fra questi…”

L’intervista e tutto il resto

A volte benedico l’esistenza del blog perché mi permette di ritrovare frasi o di ripercorrere momenti, altre invece perché aprendo un foglio bianco word posso magari riordinare pensieri e fatti, oggi, ad esempio, alla vigilia del mio ventottesimo compleanno, questo spazio mi serve proprio per ricapitolare la giornata da poco conclusa.

Tutto è nato martedì pomeriggio, quando durante un meeting a un punto sono stato interpellato su una questione relativa al Papa e in maniera limpida e pura ho espresso il mio punto di vista, premettendo che sarebbe stato originale e inusuale, essendo italiano, e ancor di più romano. La frase: “Per voi il Papa è il Papa, mentre per me e i miei concittadini è innanzitutto il vescovo della nostra città” è piaciuta talmente tanto al mio capo che mi ha detto subito: “Domani registriamo un’intervista partendo da questa frase, wonderful”.

E così, dopo aver brindato e festeggiato il suo compleanno al ristorante messicano, mi ha salutato ricordandomi l’impegno il giorno seguente chiedendomi di portare anche la giacca. Ieri però l’intervista è saltata, aspettavamo il nostro cameraman di ritorno da Washington, alcuni ritardi non gli hanno permesso di rientrare in redazione presto e tutto è stato spostato a stamattina.

Camicia nera, giacca grigia, polsini della camicia rigorosamente slacciati alla Mancini (a 28 anni io penso ancora a queste cose, a volte mi vergogno ma lo dico uguale), un tocco di cipria, qualche ripresa per le inquadrature e poi via, via con lo show, con l’intervista, la prima della mia vita dall’altro lato, non da quello di chi fa le domande bensì dalla parte di chi deve rispondere.

È stato tutto molto bello. Veramente. Sono contento della mia performance e degli argomenti trattati. La mia città, l’Italia, la mia famiglia, passando per le mie ambizioni professionali e gli studi. Non è mancato il riferimento alla Roma cristiana e al rapporto dei capitolini con il Papa, insomma, una panoramica di mezz’ora in cui tanti argomenti sono stati snocciolati. Ho visto tante interviste in vita mia e spesso mi sono detto che mi sarebbe piaciuto stare una volta anche dall’altro lato, oggi è successo, una specie di regalo di compleanno anticipato.

Alla fine della chiacchierata, avvenuta in italiano, ma che sarà sottotitolata di modo che anche gli English speakers possano vederla, il mio capo mi ha guardato e ha detto: “Oltre ogni aspettativa, ma dobbiamo fare qualcosa, vieni nel mio ufficio, facciamo il programma in italiano anche, lo fai tu!”. Insomma, mi sono districato bene a quanto pare. Cinque minuti dopo ero nel suo ufficio con il direttore della produzione e programmazione a parlare di pagine in italiano da creare, di blog, di contenuti e della striscia da mandare in onda. Con un’ora mi sono ritrovato quindi dal Marketing e Communications Department, a quello prettamente giornalistico. Alle 14 già ero al tavolo con gli altri redattori per la riunione, prima di andarmene mi avevano già assegnato un’altra scrivania in una diversa area dell’ufficio, perché tecnicamente sono passato con “gli altri”.

Entro venerdì prossimo devo presentare una serie di idee e progetti, pensieri che la scorsa settimana fa avevo già fatto e che avrei svelato prossimamente, alla fine mi sono ritrovato catapultato a dire anche queste mie idee al mio ormai ex-responsabile, parlando di quello che si può fare e di cosa si potrebbe fare, spingendoci un po’ più avanti con le date e i tempi.

A un punto, poco prima di uscire, mi sono chiesto: “Ma l’intervista me l’hanno fatta oggi, stamattina, o è successo ieri?”. È capitato tutto insieme, da una intervista è venuto fuori tutto un altro scenario. Mi fa piacere, ovviamente, certo, essere rimbalzato così è sempre un po’ straniante, anche perché da lunedì è come se dovessi cominciare da zero. È come se facessi il mio primo ingresso in redazione, non proprio come il 13 gennaio, ma quasi. Naturalmente mi porto a casa comunque gli attestati di stima e i complimenti, però dentro di me vivo la situazione con una certezza: che fossi più bravo a fare certe cose piuttosto che altre l’ho sempre saputo, ora forse è venuto a galla, che la lucina rossa della telecamera mi esaltasse era palese, vediamo adesso cosa succederà.

Nelle ultime settimane ho fatto spesso una metafora: è come se giocassi in una squadra, ma pur essendo un attaccante mi fanno giocare a centrocampo e credo che la cosa sia costruttiva fino a un punto, potremmo fare tutti di più e meglio. Ecco, oggi, per la prima volta, mi hanno schierato in attacco, sono entrato, ho fatto due gol e abbiamo vinto la partita. Tutti si sono convinti che forse il mio ruolo sia un altro, ma io so anche un’altra cosa però, ossia che ora qualcuno potrebbe aspettarsi da me pure un gol a partita…

Grazie per gli auguri “italiani”, quelli che tengono fede all’orario del mio paese di nascita ma non a quello del mio paese attuale. Qui è ancora ampiamente 5 marzo ed io devo aspettare qualche ora prima di svoltare a 28.

Buonanotte.