Quel momento in cui sei davvero solo

Una cosa che mi manca dell’università sono certamente gli esami. La prendo molto alla larga ma è giustissimo partire da questa affermazione per arrivare via via al punto finale. A distanza di anni, fra le tante cose che rimpiango di quei tempi ci sono proprio gli esami e la sessione tutta intera, quel determinato particolare dell’anno che si snodava fra il freddo di gennaio-febbraio, il caldo di giugno-luglio e gli ultimi bagliori estivi di settembre.

Ogni volta che sento ancora oggi persone lamentarsi degli esami, o si preoccupano per questi, o ancor di più entrano in un tunnel di stress per l’angoscia e lo studio, penso senza mezzi termini che siano degli stronzi. Anzi, dei grandissimi stronzi.

Adoravo letteralmente quell’atmosfera, quando le chiacchiere delle lezioni lasciavano il campo ai fatti, al banco di prova. A me piaceva da morire quel momento. Quando le giornate erano cadenzate da altri ritmi, da una data che si avvicinava e dalle pagine del libro che diminuivano, fra un riassunto e una sottolineatura. La biblioteca, qualche confronto con gli amici sui temi e le domande possibili, quel micro-cosmo che ciclicamente tornava.

A me gli esami non hanno mai fatto paura. Dopo aver passato glottologia la seconda volta, la mia storia universitaria è cambiata, e di fondo non mi sono mai più fermato. Per me era fantastica la sera prima, quella vigilia, quell’eccitazione di andarsela a giocare, il gusto del duello e del faccia a faccia. Io contro di te. Molti volevano evitare di fare gli esami davanti a tante persone, a me caricava. Avere dietro 50-60 persone che stavano lì a vedere la vittima di turno era a livello adrenalinico un contributo fondamentale. Sono sempre stato uno di quelli che ha vissuto l’università a modo proprio, in modo viscerale ma con grande divertimento e spensieratezza e ancora oggi, presumo che molti pagherebbero per aver vissuto quegli anni con lo stesso fomento e la mia medesima serenità.

Il momento dell’esame era quello in cui finalmente si metteva tutto sul tavolo. Dentro o fuori, one shot one kill, un giro alla roulette con gli ultimi spicci. E andarmi a giocare tutto mi esaltava in modo indescrivibile. In realtà, quel momento prima, quegli attimi prima di prendere il posto di chi mi aveva preceduto era un passaggio magnifico. Se fino a pochi secondi prima ero in fondo a scherzare, all’improvviso mi isolavo dal mondo totalmente e allo stesso modo entravo in quella solitudine che avverti in certe occasioni. Quando sai che tocca a te e sei veramente da solo, un’altra sensazione che mi scuoteva tremendamente e che mi faceva impazzire per ciò che mi trasmetteva.

Tutto questo ormai non c’è più, ma le esperienze mi hanno fatto scoprire con mia grande gioia che un momento molto simile a quello degli esami è l’attimo prima di andare in onda, poco prima che la telecamera si accende e te la devi cavare da solo. Senza l’aiuto di nessuno. Sei tu e basta.

A distanza di due anni e mezzo, è capitato nuovamente ieri e come la prima volta, nel luglio del 2012, le emozioni sono state esattamente le stesse. E più mi chiedevano se fossi agitato e più rispondevo di no, e fino a pochi secondi prima di andare in studio stavo sbragato sulla mia sedia scrivendo a David, un messaggio “particolarmente” rilassato e dal contenuto vietato ai minori, uno di quelli che non manderebbe uno preoccupato o in procinto di fare il suo nuovo debutto televisivo.

Dentro lo studio, ad un punto, ho premuto il mio pulsante interiore e come capitava prima degli esami mi sono trasformato. In tre secondi mi sono isolato dal pianeta Terra, ho trovato la massima concentrazione, mi sono seduto e sono partito. Lucetta rossa accesa e via.

Solo, dannatamente solo. Come capita al calciatore quando percorre quei 40 metri per andare da metà campo al dischetto del rigore, come un qualunque artista prima di un concerto o di salire su un palco, quando il limite di sbagliare e di fare la figuraccia davanti a tutti ti aumenta le pulsazioni e quando sai che sei tu con migliaia di occhi puntati addossi.

Un po’ come quando li avevi dietro, che ti guardavano le spalle e volevano capire la domanda del professore, quei momenti lì insomma, quelli in cui me la devo sbrigare per conto mio e posso fare affidamento solo su me stesso, quegli attimi che mi stimolano da morire e per cui ti svegli la mattina con una voglia diversa.

 

Era il post numero 999. Per il millesimo dovrete aspettare un po’, mi dispiace ma non dipende da me. Di certo, a mio avviso, ne vale la pena. Intanto, vi auguro già buona Pasqua con ampio anticipo e vi lascio con questo video…