Quello che pensano gli studenti

Vivo sempre un sorta di disagio quando mi ritrovo dall’altra parte, quando sono quello che deve parlare ma non davanti ad una telecamera, bensì di fronte a degli adolescenti. È successo oggi, ancora una volta, all’Istituto San Paolo di Torre Gaia, periferia sud-est di Roma, una scuola cattolica e gestita dalle Suore Angeliche di San Paolo.

Giornalismo, TV, ma anche Papa Francesco e tanti altri spunti che solo dei giovani studenti possono dare. Due ore di confronto fra spiegazioni e racconti, uno spazio breve ma sufficiente a fornire uno spaccato importante sulla realtà.

Dei 13 studenti presenti nessuno desidera diventare giornalista. Nessuno ha mai ponderato tale possibilità, anche in anni in cui si cambiano le idee piuttosto rapidamente, ma soprattutto, nessuno sfoglia un quotidiano.

Tre punti che evidenziano diversi elementi: il modo in cui le informazioni sono veicolate e raggiungono i più giovani (Internet ed app), l’assenza totale della carta stampata ed il ruolo sempre più marginale della tv. Quest’ultimo strumento, a detta dei ragazzi, è qualcosa di riconducibile ai genitori, fedeli spettatori del tg serale all’ora di cena.

Non mi ha sorpreso un ragazzo che ha parlato del mestiere del giornalista come di un qualcosa non più attraente anche perché “sottopagato”, dettaglio che evidentemente non aiuta a sviluppare un richiamo per i più giovani verso questo lavoro. Raccontare una tv e l’informazione religiosa è impresa ardua quando la platea è di questo tipo, ma se a volte la Chiesa, intesa come istituzione, non scalda, il Papa riaccende puntualmente l’interesse.

Ho parlato dell’emittente per cui lavoro, illustrando la nostra storia e l’ultimo magazine che si rivolge particolarmente ai giovani, ma la considerazione che ho fatto a fine lezione verteva su quanto la Chiesa sia pronta a questo Sinodo sui giovani.

Per quanto siano lodevoli e al tempo stesso necessarie le nuove vie scelte per arrivare ai ragazzi, come Twitter o Facebook, con tanto di pagine e profili dedicati, mi sono chiesto se questo possa alla fine effettivamente bastare.

Temo che non sia sufficiente adattarsi al linguaggio delle nuove generazioni e al modo in cui viene veicolato, la sensazione è che la Chiesa debba fare di più, andare oltre.

Prendendo spunto dal documento redatto alla fine della riunione Pre-Sinodo, credo sia opportuno soffermarsi sulla parte in cui testualmente i presenti hanno scritto che vorrebbero: “una Chiesa autentica, una comunità trasparente, onesta, invitante, comunicativa, accessibile, gioiosa e interattiva”.

Una richiesta chiara e che facilmente si collega anche ad un altro passaggio, quello nel quale i ragazzi chiedono alla Chiesa di incontrare le persone dove socializzano: “bar, caffetterie, parchi, palestre, stadi, e qualsiasi altro centro di aggregazione culturale o sociale”. Ma anche in luoghi travagliati come “orfanotrofi, ospedali, periferie, zone di guerra, prigioni, comunità di recupero e quartieri a luci rosse”.

Il mio personale timore è che la Chiesa in realtà non capisca appieno quanto divario ci sia oggi fra l’istituzione stessa e le persone a cui si rivolge, i giovani. Perché il mondo attuale, soprattutto quello delle nuove generazioni, evolve ad una velocità impressionante, a differenza della Chiesa che per ovvie ragioni tende a mutare con particolare lentezza.

In un tempo in cui i ragazzi non vedono nemmeno più la TV, come detto e ribadito oggi durante il mio incontro, una istituzione che spesso si esprime ancora in latino, corre il serio rischio di vedere il divario con i teenagers allargarsi sempre più, con lo spettro che possa diventare ad un punto una distanza incolmabile.

Spazio promozionale

Un’altra puntata di Pagine Vaticane qui di seguito. Due mesi ormai di produzione totalmente indipendente, una location favolosa, una continua rincorsa al sole e alla giusta luce, sfida resa ancor più complicata dal cambio dell’ora di fine ottobre.

E poi, la decisione di togliere ogni tanto la cravatta il venerdì, ma soprattutto un clima che mi permette di andare in onda ancora solo con la giacca, senza soffrire le pene dell’inferno.

Il Cimitero Teutonico del Vaticano

Facciamo che io ve lo metto qui, poi magari non vi interessa, però secondo me vale la pena. Anche perché certe cose mica si sanno. Ma questo mestiere è fatto proprio per “let people know” e mi pagano per raccontare queste cose.

A pochi passi dal colonnato di sinistra di Piazza San Pietro, su Via Paolo VI, si entra in quell’area in cui spicca l’Aula Nervi prima di arrivare al secondo controllo di identificazione. “Cimitero teutonico” è la parola chiave per il lasciapassare e pochi passi più avanti si entra nel Campo Santo dei Teutonici e dei Fiamminghi, in tedesco Friedhof der Deutschen und der Flamen.

Pur essendo in una via che tecnicamente appartiene alla città di Roma (Via Sagrestia 17), il complesso rientra nell’area extraterritoriale a favore della Santa Sede. Nonostante questo cavillo, il cimitero è di fatto considerato l’unico campo santo all’interno del Vaticano, un luogo che ispira preghiera e devozione.

La storia tramanda che nell’antichità qui si trovava il circo di Nerone che fu teatro di numerosi martiri di cristiani. Fu però il Giubileo del 1450 e l’arrivo di molti pellegrini a dare una spinta fondamentale alle ricostruzioni del cimitero e della chiesa. Proprio in questo periodo il complesso venne inglobato all’interno della struttura del Collegio adiacente. Questo avvenne per mano dei membri tedeschi della Curia i quali si unirono nell’anno 1454 in una Confraternita dei poveri morti, la quale in maniera un po’ diversa esiste tuttora ed è titolare della fondazione.

“Teutones in pace” recita infatti la scritta sul cancello di ferro all’ingresso, dentro lo spazio è suddiviso in quattro aiuole secondo una caratteristica che risale al Seicento. Del secolo successivo sono invece le statue in marmo raffiguranti i padri della Chiesa: san Girolamo, sant’Ambrogio, san Gregorio e san’Agostino.

Il cimitero ha un assetto artistico monumentale di grande effetto, culminante nella Cappella della Flagellazione. Intorno tanto verde fra alberi, palme, cespugli e fiori, il portico e le mura rossastre. Lapidi ma anche splendidi dipinti su maiolica che avvolgono lo spazio. Qui hanno trovato la loro sepoltura personalità ecclesiastiche, politiche e artistiche, come i pittori Johann von Rohden nel 1868 e Joseph Anton Koch nel 1839, la regina madre di Danimarca Charlotte Friederike e la suora Pascalina Lehnert, autentica regolatrice della vita di Pio XII nel 1983.

L’accesso alla Chiesa di Santa Maria della Pietà dal cimitero è costituito da un portale di Elmar Hillebrand regalato nel 1957 dal Presidente della Repubblica di Germania Theodor Heuss. L’altare maggiore presenta tavole pittoriche di Macrino d’Alba: al centro la Pietà, ai lati figure di personaggi del Nuovo Testamento.

All’interno della chiesa si trova anche “La Cappella degli Svizzeri” che servì dopo il Sacco di Roma come sepoltura per le guardie cadute. Sulle pareti si trovano invece splendidi affreschi di Polidoro Caldara, pittore italiano del XVI secolo che proprio in occasione del Sacco, fuggì da Roma per rifugiarsi a Napoli.

Ci sono dei criteri necessari e richiesti per essere sepolti nel Cimitero Teutonico: essere di religione cattolica e di madrelingua tedesco o fiamminga indipendente dalla nazionalità, e risiedere a Roma. Nel febbraio del 2015 il clochard Willy Herteleer, fiammingo di nascita, da decenni senza fissa dimora che viveva di elemosine nell’adiacente quartiere di Borgo Pio è stato sepolto nel cimitero teutonico. Un fatto insolito ma che ha riportato il campo santo alla sua vecchia funzione: accogliere i pellegrini poveri provenienti dal nord Europa, prima ancora di dare spazio ai nobili, ai cavalieri e ai benefattori della Chiesa.

Inviato a Sotto il Monte

Well, l’articolo è finito e l’ho inviato, a breve finirà in stampa e mercoledì sarà a uso e consumo dei lettori. Finito il dovere, che poi di fondo è un immenso piacere, posso raccontare la due giorni bergamasca sulle tracce di Papa Giovanni XXIII.

Penso ancora che il giornalista sia un gran mestiere, ma ancor di più ritengo che l’inviato abbia un fascino inarrivabile. Documentarsi, partire, vedere posti nuovi, raccogliere storie scovando aneddoti particolari è veramente qualcosa di unico, almeno, per me, è tutto davvero affascinante. Di certo serve passione così come una grande dose di curiosità ma di questi aspetti ne sono provvisto a sufficienza. Poter scoprire nel profondo le radici e la storia di Papa Giovanni XXIII è stato molto toccante, camminare nei suoi luoghi, vedere i suoi diari e parlare con chi lo ha vissuto mi ha realmente colpito. In fondo, stiamo parlando di un pontefice ancora oggi molto amato dagli italiani, un uomo che in soli 5 anni ha cambiato la storia e di fatto sventato la terza guerra mondiale. Aver avuto questo privilegio è stato magnifico, e poi da solo sto bene, viaggiare senza partner o persone al mio fianco non è cosa nuova. Saltare il pranzo o viaggiare 6 ore effettive per raggiungere Sotto il Monte non è stato un problema, fra treni, coincidenze e pullman che vagavano per la campagna di Bergamo. Ho avuto la fortuna di trovare persone estremamente disponibili, da chi gestisce la Casa del Pellegrino, al parroco del paese, fino al Sindaco. Intervistare queste figure è stato il modo migliore per avere un ritratto meno noto di Roncalli. La visita alla casa nativa, così come quella a Cà Maitino dove Giovanni XXIII era solito trascorrere le sue vacanze estive sono state coinvolgenti, sullo stesso piano dell’incontro alla Fondazione a Bergamo dove ho sfogliato i famosi diari di Roncalli.

In queste 48 ore ho avuto modo di cimentarmi anche in altre cose ovviamente, come la visita di Bergamo alta, cittadella curata e graziosa o di mangiare polenta al sugo di cinghiale sotto una pergola, mentre 4 ragazze discutevano su chi avesse la “mazza” più lunga fra i loro amici di facoltà. Ho avuto anche un bizzarro compagno di viaggio con il quale ho condiviso il viaggio in pullman da Ponte San Pietro a Bergamo mentre rientravo da Sotto il Monte. Il tizio in questione, un boliviano di nome Alfredo, mi ha fatto compagnia e abbiamo conversato amabilmente di chiesa e dottrina, soprattutto dopo che gli ho spiegato il motivo della mia presenza in quei luoghi. L’hotel si è rivelato una scelta azzeccatissima: comodo, pulito, economico e situato in un punto strategico. Tornando verso Milano mi sono fermato in città, un giro in Piazza Duomo, in galleria e poi al negozio nuovo dell’Inter in cui non ero mai stato. In tutto ciò sono riuscito anche a salutare Dario, un mio ex compagno del liceo che lavora nei pressi di Porta Garibaldi dove il treno per Roma mi attendeva. Ho occupato le tre ore di viaggio scrivendo gran parte dell’articolo mentre alle mie spalle cinque bambini avevano reso il vagone un campo giochi e fra pianti e urla sono riuscito comunque ad isolarmi.

Due giorni belli, nel senso più pieno del termine, un’avventura che mi ha avvolto ed un’esperienza intrigante, fra ricordi malinconici di agosto quando anziché prendere il regionale per Bergamo salivo su quello diretto a Chiasso e la certezza di quello che vorrei fare in vita mia.

Il 27 aprile Papa Giovanni XXIII diventerà santo, averlo potuto raccontare ai lettori irlandesi è stato un grande onore. Veramente.

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