Spazio promozionale

Un’altra puntata di Pagine Vaticane qui di seguito. Due mesi ormai di produzione totalmente indipendente, una location favolosa, una continua rincorsa al sole e alla giusta luce, sfida resa ancor più complicata dal cambio dell’ora di fine ottobre.

E poi, la decisione di togliere ogni tanto la cravatta il venerdì, ma soprattutto un clima che mi permette di andare in onda ancora solo con la giacca, senza soffrire le pene dell’inferno.

Il Cimitero Teutonico del Vaticano

Facciamo che io ve lo metto qui, poi magari non vi interessa, però secondo me vale la pena. Anche perché certe cose mica si sanno. Ma questo mestiere è fatto proprio per “let people know” e mi pagano per raccontare queste cose.

A pochi passi dal colonnato di sinistra di Piazza San Pietro, su Via Paolo VI, si entra in quell’area in cui spicca l’Aula Nervi prima di arrivare al secondo controllo di identificazione. “Cimitero teutonico” è la parola chiave per il lasciapassare e pochi passi più avanti si entra nel Campo Santo dei Teutonici e dei Fiamminghi, in tedesco Friedhof der Deutschen und der Flamen.

Pur essendo in una via che tecnicamente appartiene alla città di Roma (Via Sagrestia 17), il complesso rientra nell’area extraterritoriale a favore della Santa Sede. Nonostante questo cavillo, il cimitero è di fatto considerato l’unico campo santo all’interno del Vaticano, un luogo che ispira preghiera e devozione.

La storia tramanda che nell’antichità qui si trovava il circo di Nerone che fu teatro di numerosi martiri di cristiani. Fu però il Giubileo del 1450 e l’arrivo di molti pellegrini a dare una spinta fondamentale alle ricostruzioni del cimitero e della chiesa. Proprio in questo periodo il complesso venne inglobato all’interno della struttura del Collegio adiacente. Questo avvenne per mano dei membri tedeschi della Curia i quali si unirono nell’anno 1454 in una Confraternita dei poveri morti, la quale in maniera un po’ diversa esiste tuttora ed è titolare della fondazione.

“Teutones in pace” recita infatti la scritta sul cancello di ferro all’ingresso, dentro lo spazio è suddiviso in quattro aiuole secondo una caratteristica che risale al Seicento. Del secolo successivo sono invece le statue in marmo raffiguranti i padri della Chiesa: san Girolamo, sant’Ambrogio, san Gregorio e san’Agostino.

Il cimitero ha un assetto artistico monumentale di grande effetto, culminante nella Cappella della Flagellazione. Intorno tanto verde fra alberi, palme, cespugli e fiori, il portico e le mura rossastre. Lapidi ma anche splendidi dipinti su maiolica che avvolgono lo spazio. Qui hanno trovato la loro sepoltura personalità ecclesiastiche, politiche e artistiche, come i pittori Johann von Rohden nel 1868 e Joseph Anton Koch nel 1839, la regina madre di Danimarca Charlotte Friederike e la suora Pascalina Lehnert, autentica regolatrice della vita di Pio XII nel 1983.

L’accesso alla Chiesa di Santa Maria della Pietà dal cimitero è costituito da un portale di Elmar Hillebrand regalato nel 1957 dal Presidente della Repubblica di Germania Theodor Heuss. L’altare maggiore presenta tavole pittoriche di Macrino d’Alba: al centro la Pietà, ai lati figure di personaggi del Nuovo Testamento.

All’interno della chiesa si trova anche “La Cappella degli Svizzeri” che servì dopo il Sacco di Roma come sepoltura per le guardie cadute. Sulle pareti si trovano invece splendidi affreschi di Polidoro Caldara, pittore italiano del XVI secolo che proprio in occasione del Sacco, fuggì da Roma per rifugiarsi a Napoli.

Ci sono dei criteri necessari e richiesti per essere sepolti nel Cimitero Teutonico: essere di religione cattolica e di madrelingua tedesco o fiamminga indipendente dalla nazionalità, e risiedere a Roma. Nel febbraio del 2015 il clochard Willy Herteleer, fiammingo di nascita, da decenni senza fissa dimora che viveva di elemosine nell’adiacente quartiere di Borgo Pio è stato sepolto nel cimitero teutonico. Un fatto insolito ma che ha riportato il campo santo alla sua vecchia funzione: accogliere i pellegrini poveri provenienti dal nord Europa, prima ancora di dare spazio ai nobili, ai cavalieri e ai benefattori della Chiesa.

I nastrini

Considerando che maggio è finito e che il calendario recita -46, penso proprio che sia arrivato il momento di raccontare un paio di cose, anche per il modo in cui avevo concluso il precedente post.

Parto da lontano però, parto dal dicembre 2014, quando svegliandomi lessi un messaggio di Gabriele, da poco arrivato ad Honk Kong e che via WeChat esclamava un: “Non torni più” riguardo la proposta ricevuta da Toronto e che avevo appena accettato.

Risposi in maniera meno netta, affermando che il mio obiettivo era tornare un giorno a Roma, considerando il tipo di giornalismo che sarei andato a fare.

Sono passati più di due anni e mezzo da quello scambio di messaggi e quell’obiettivo è stato raggiunto anche se so bene che lui è ben felice di avere sbagliato la sua previsione calcolando cosa c’è sul piatto ora.

Per più di due anni ho cullato questa aspirazione, questo piano futuro. Ho seminato e annaffiato, sono tornato brevemente nell’estate del 2015 e quella esperienza è stata fondamentale, soprattutto per quello che farò a breve.

In questi anni ci sono state tante piccole cose, mille sfumature e dettagli su cui ho prestato costantemente attenzione, tenendo un occhio fisso al domani che adesso è arrivato.

Sapevo che questo 2017 avrebbe dovuto raccontare qualche storia e avevo detto che sarebbe dovuto essere determinante e discriminante, con lo scopo di instradare sul serio un percorso e così si sta rivelando.

Sapevo pure che il mio tempo qui era terminato e lo avevo ribadito in diverse riprese, non ho cambiato idea perché ero consapevole cosa avrei sentito e cercato ad un punto.

Era maturo il tempo per una nuova parentesi, per un’altra sfida. E così ho scritto una proposta che aveva l’obiettivo di riportarmi a Roma continuando però a fare le stesse cose, diventando il corrispondente da Città del Vaticano, e quindi, da casa mia.

Pensata, ponderata, studiata nei minimi dettagli, in maniera quasi maniacale, la proposta ha raggiunto il bersaglio e da mercoledì 3 maggio sono – e siamo – passati alla Fase 2, ossia finalizzare questa nuova situazione nei dettagli.

Il lavoro mi aveva portato via da Roma, il lavoro mi ci sta riportando e magari un giorno mi allontanerà ancora da casa, eppure, questa è la vita che sognavo da bambino, quando ho iniziato a desiderare questo mestiere.

Resta il fatto che questi anni di Toronto sono stati talmente tanto importanti sotto ogni aspetto che bisognerebbe aprirci un blog a parte. Quello che ha significato il Canada per me personalmente è davvero indicibile, soprattutto per le difficoltà e gli infiniti insegnamenti.

Grazie a tutto questo ora però torno a casa con il malloppo, e non solo lavorativo. Ma io lo so quello che ho fatto, il mio percorso, la fatica e i sacrifici, attraverso i quali, parafrasando Annibale, mi sono sempre ripetuto “Aut inveniam viam aut faciam”: O troverò una strada o ne farò una io.

Per ora, pare che abbia funzionato.

“È il momento de mette i nastrini sulla coppa”

Stesso mittente, stesso topic, diverso risultato. 29 mesi più tardi.

Un po’ di sana promozione

Ma io lo so che volete sapere un po’ di più del viaggio in Egitto del Papa, lo so bene su. Così come vorreste capire perché i lacci delle scarpe nuove comprate da Aldo a fine marzo stanno sempre un po’ su. O magari penserete che uso sempre gli stessi pantaloni neri e invece sono due, uno di H&M e gli altri comprati a Torre Gaia da Amabel quando si chiamava ancora così. Oppure potreste dire se è giusto usare la camicia bacchettata (con le righine) in tv (no, non si dovrebbe fare), o asserire che mi sono tagliato i capelli fra i due episodi, e infine che ero un po’ “attappato”, sì ho il raffreddore ma qui d’altra parte sembra Natale.

Tutto questo, nel meraviglioso episodio di Pagine Vaticane che trovate qui sotto. E che dovete vedere per capire quanto scritto sopra.

Vai.