E’ una vita che ti aspetto

Non so cosa dire, o meglio, non so come raccontare le emozioni di sabato sera, l’unica certezza di cui sono pienamente consapevole, è che ho vissuto la più bella nottata di sempre. Dopo 45 anni, finalmente, l’abbiamo riportata a casa, al termine di un inseguimento infinito, i nostri splendidi ragazzi, hanno conquistato la terza Coppa Campioni della storia interista. L’incantesimo è stato spezzato, il sogno è diventato realtà, l’ossessione si è sciolta magicamente. Sono strafelice, per contenere tutta questa gioia, dovrei essere due persone. Onestamente ancora non me ne rendo conto, mi pare impossibile che sia successo tutto ciò: in 17 giorni campioni di ogni cosa, l’annus mirabilis che tutti i tifosi del mondo sognano ed in pochi possono vivere. È stato un sabato emotivamente assurdo, mentre ero in metropolitana per raggiungere la stazione Termini, in 5 fermate, ho ripensato a tutta la mia vita da tifoso interista. In 15 minuti, ho rivisto veramente tutte le sofferenze vissute, e memore dei precedenti “viaggi della speranza” andati male, per un attimo ho avuto paura. Dopo aver incontrato Alfredo, è scattato ufficialmente l’avvicinamento verso l’ora cruciale, verso le 20 siamo giunti in p.za Duomo, epicentro della passione nerazzurra con i due megaschermi, e fin da subito abbiamo capito il totale delirio in cui eravamo finiti. Attraverso la bolgia, ci siamo divincolati per raggiungere un buon posto, ottenuto solo dopo aver circumnavigato il Duomo stesso. Alle 20.45, sono iniziati i 90 minuti più sentiti e sofferti, da quando seguo questa squadra. Il gol di Milito ha spazzato via i primi timori, mentre il raddoppio ci ha regalato un finale più tranquillo. Le due reti sono state accolte con un doppio boato impressionante, io ho dato il meglio di me, ho gridato a tal punto che ho sentito male dentro, non so dove, ma ho avvertito un dolore. Al fischio di chiusura, è stata l’apoteosi, un popolo impazzito che si abbracciava, saltava, gridava, ed io fuori di testa, che continuavo a stringere Alfredo. In qualche modo, questa coppa, l’abbiamo vinta insieme, è stato stupendo condividere questa trionfale cavalcata, e mi piace pensare che quando ricorderò questo momento, mi verrà in maniera inevitabile in mente anche il mio caro amico. L’alzata di coppa firmata Capitan Zanetti e poi 5 minuti in cui sono rimasto inebetito davanti lo schermo, fermo con le braccia lungo il corpo, estraneo dal mondo, incredulo completamente. Finita la diretta, la serata è proseguita lungo le vie della piazza, prima di tornare in hotel e dirigerci verso la stadio. Alle 2 eravamo già sotto il piazzale della curva Nord, mezz’ora dopo siamo entrati, accaparrandoci i posti sulle scale al primo anello arancio, posizione ottima con perfetta visuale. Lì seduti, abbiamo vissuto un’attesa infinita quasi quattro ore, prima di vedere la squadra in campo. La notte più buia è diventata mattina, 45 mila persone a gremire i primi due anelli in attesa dei propri eroi. L’alba, le prime luci del mattino e poi il Capitano con la coppa in mano che entrava sul terreno di gioco. In quel momento ho capito che avevamo vinto, per ore ho ripetuto: “Non ci credo fin quando non me la portano qui e la vedo”. Quando Cambiasso l’ha sollevata proprio lì davanti, è stato un brivido inspiegabile. Prima delle sette abbiamo abbandonato San Siro, con gli occhi lucidi non per la stanchezza, ma per le sensazioni attese da troppo tempo, una serata magica che rimarrà lì, nel cuore di tutti. Ormai l’aponia dimora nel mio corpo, ho raggiunto ciò che desideravo fin da quando ero piccolissimo e sono orgoglioso di appartenere a questa squadra, ho lavorato e sofferto anche io per anni e quindi questo successo lo sento veramente mio, ed è il motivo per cui ho apprezzato e assaporato tutto. È una vita che ti aspettavo cara Coppa, a marzo scorso te lo avevo promesso (12.3.2009) prima o poi ti avrei conquistato; anche l’emozione più bella l’ho vissuta, sono contento, e non ho veramente più nulla da aggiungere.

 

I campioni siamo noi. Noi, siamo l’Inter.

 

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Che coppia!!!