Umiliazione Mondiale

Sconfitti ed umiliati, fuori al primo girone senza vittorie e con l’ultimo posto in classifica, il disastro azzurro ai mondiali di Sudafrica merita un post, alcune righe per analizzare il fragoroso flop dei campioni del mondo, il punto più basso della nostra nazionale dal 1966. Non avevamo grandi chances, non potevamo ripeterci, ma avevamo tutti i mezzi per disputare una Coppa del Mondo dignitosa, i quarti di finale erano comunque l’obiettivo minimo per una squadra baciata dalla buona sorte, considerando il sorteggio che l’aveva spedita in un girone assolutamente alla portata. Nonostante tutto, l’Italia è riuscita nell’impresa di sovvertire ogni pronostico, andando al di là di ogni previsione, anche di quelle più disfattiste, e così, tutti a casa meritamente. Dopo l’eliminazione, la domanda più gettonata è: “Chi sono i colpevoli?”. È facile addossare le colpe ai soliti noti, ma Lippi non può non essere processato, ha sbagliato le convocazioni, si è fissato su alcuni senatori-giocatori non all’altezza, è partito con delle idee e le ha stravolte rapidamente, cambiando modulo almeno due volte a partita, non riuscendo a dare un’identità definita alla squadra. All’ormai ex CT, rimprovero la testardaggine di escludere ogni elemento di qualità dal gruppo, questa mancanza l’abbiamo pagata enormemente, soprattutto dal momento in cui la condizione fisica ha evidenziato chiari limiti ed il gioco di squadra era tristemente prevedibile. Zero qualità e giocatori fuori ruolo, Iaquinta e Marchisio i due casi emblematici, gli infortuni di Pirlo e Camoranesi hanno tolto quel poco di luce, ed il resto, lo hanno fatto i nostri avversari. Era un Mondiale di transizione a mio avviso, così come l’Europeo del 2008, ma come detto in precedenza, non pensavo che potesse finire tanto male. Si ripartirà da Prandelli, allenatore intelligente e in grado di lavorare benissimo con i giovani, ci sarà spazio per Cassano e Balotelli, così come per Montolivo, De Rossi, Gilardino, Chiellini e Criscito. Paghiamo un periodo difficile calcisticamente parlando, anche se per alcuni aspetti voglio andare controcorrente, perché in Italia c’è una strana abitudine: quando le cose vanno male, le soluzioni sono spesso luoghi comuni. Ogni volta che avviene un fatto di violenza, la colpa è della cultura sportiva inesistente, degli stadi non adeguati e si parla subito di “modello inglese”. Quando assistiamo invece ad un disastro sportivo, tecnicamente parlando, si punta immediatamente il dito contro i settori giovanili trascurati dalle squadre, ma la realtà non è proprio questa. I nostri vivai non versano in uno stato drammatico e non è nemmeno colpa dell’Inter che ha tutti stranieri, anche perché è paradossalmente la squadra che ha tirato fuori i due migliori giovani degli ultimi anni, ovvero Santon e Balotelli, dando loro spazio e visibilità in prima squadra. Il problema grande è che viviamo un periodo grigio, non abbiamo grandi campioni e non ce ne sono in prospettiva, non è così matematico o scontato che un paese sforni fenomeni continuamente. La “Generazione d’oro”, quella dei nati fra il 1973 e il 1979 e mi riferisco a Nesta, Totti, Cannavaro, Del Piero, Inzaghi, Vieri, Montella, Gattuso, Buffon, Zambrotta, Toni, Pirlo, ha stravinto gli europei negli anni Novanta, conquistandone 3 consecutivi e ben 4 su 5 edizioni, dal 1992 al 2000. Quella è stata una fantastica generazione, credo inarrivabile per qualità e numero, che ha terminato il proprio percorso con il trionfo del 2006 in Germania. Lì abbiamo toccato l’apice e si è chiuso un ciclo, ma ora dobbiamo renderci conto che per riaprirne un altro, ci vorrà tempo, pazienza e fortuna, perché anche le grandi nazionali, non si costruiscono in un giorno. 

 

 

 

Era tutta un’altra cosa

Era tutta un’altra cosa quando c’erano i ”bandoni” di lamiera arrugginiti sotto al piazzale da nonna, quando tornavamo tutti impolverati a causa del “brecciolino”, quando mi sbucciai le ginocchia in porta, ma vincemmo 5-4 contro Marco e Cristiano e ci sembrava un’impresa. Era tutta un’altra cosa quando c’erano sui muri due scritte storiche, una con la bomboletta azzurra: Debbo bove, e l’altra incisa sul muro: Cecio. Era tutta un’altra cosa quando la sera ci vestivamo di scuro per giocare a nascondino e ci mettevamo nella 500 di Piero, a 300 metri dalla “tana”; quando giocavamo a PC Calcio a casa di chi capitava e Cristiano lavorava al lavaggio. Era tutta un’altra cosa quando andavamo al Big Gym tutti insieme, quando giocavamo a Tedesca, e mi ero specializzato nei gol con lo stacco di testa alla Oliver Bierhoff che levavano 5 punti al portiere. Era tutta un’altra cosa quando Alessandra cadde col motorino su un sasso che avevamo usato per fare il palo, si incazzò e ci portò tutti dall’amministratore, e sull’ascensore io dissi la celebre frase: ”Ci stai portando alla FIFA?”. Era tutta un’altra cosa quando Alessandro disse almeno 15 volte in meno di 20 minuti a Gianluca, che la sorella di Marco aveva chiamato i pompieri, dato che era scoppiato un incendio. Era tutta un’altra cosa quando stavo a casa dalla nonna di Alessandro con oltre 41 di febbre, sbragato sul divano, e lui mi chiedeva di giocare a baseball con una gomma da cancellare e una riga usata come mazza. Era tutta un’altra cosa quando Chicco scendeva giù in cortile di corsa ed irrompeva nelle partitelle, con l’adesivo blu della Melinda sul lobo e si vantava del suo orecchino. Era tutta un’altra cosa quando alle elementari giocavamo a calcio a ricreazione col cancellino e Diego si metteva in porta, con la maglia del Milan di Taibi. Era tutta un’altra cosa quando papà aveva la Fiat Regata bianca e mamma la Renault 5 grigia, modello Tiga, quando andavo in palestra alla Junior88 ed ero amico di Enrico. Era tutta un’altra cosa quando noi e tutte le altre famiglie del palazzo, prendevamo casa al mare a Torvaianica il mese di giugno: i Morzilli a via Bengasi, io a metà di viale Rumenia, la banda Grillo/Bianchi poco più giù, dietro lo stabilimento dei Vigili del Fuoco. Era tutta un’altra cosa quando eravamo alle medie e c’erano le feste al Free Time e soprattutto Veronica, quando giocavamo a basket, quando Andrea lo misero al banco con Cialucco dietro me e Vincenzo, quando la Virtus giocava una finale europea l’anno, mentre la fortitudo perdeva puntualmente la finale scudetto. Era tutta un’altra cosa quando la mattina prima di andare a scuola, mi fermavo da Frontoni in via Renzo Rossi e compravo la merenda per la ricreazione: il panino all’olio con il prosciutto cotto e lo pagavo 3700 Lire. Era tutta un’altra cosa quando andavamo in gita all’Elba col traghetto e Andrea mangiava un numero illimitato di Travelgum nemmeno fossero Big Bubble, quando dormiva con le Magnum ai piedi, e sotto Natale andavamo insieme a sparare i botti allo sterrato. Era tutta un’altra cosa quando festeggiavamo il capodanno con la famiglia di Simone, quando dormivo da Andrea e facevamo i tornei alla playstation a Winning Eleven con Alessandro. Era tutta un’altra cosa quando Gabriele era semplicemente “l’amico di classe di Paolo, quello con gli occhiali tondi”, e quando l’entrata del Plinio era in via Montebello 126, quando c’era l’occupazione, quando con Davide scrivevamo gli striscioni e attaccavamo la bandiera verde della CIA in classe.  Era tutta un’altra cosa quando vincevamo i tornei scolastici di basket e pallavolo, e una volta al mese si giocava Real Montebello-Macchi Team, con la nostra storica maglia biancorossa. Era tutta un’altra cosa quando la sera prima dell’orale della maturità, ero a P.zza del Popolo con Simone e i nostri tricolori, per celebrare la vittoria contro l’Ucraina ai quarti. Era tutta un’altra cosa quando andavamo alle 10 di mattina all’Olimpico, davanti ai cancelli per il concerto di Ligabue, quando gli Oasis stavano ancora insieme ed erano la più grande band del pianeta. Era tutta un’altra cosa quando un pomeriggio di fine agosto, di quattro anni fa, presi l’autobus per vedere il tragitto con i mezzi da casa mia fino all’università. Era tutta un’altra cosa quando facevo i test d’accesso per entrare a Lettere e a Scienze della Comunicazione…

Era tutta un’altra cosa quando c’erano queste cose, quando non era necessario ricordarle, perché in fondo, le stavo vivendo.

Tutta Vienna

Imperiale, signorile e ordinata, in una parola: Vienna. Tre anni dopo il tour andaluso, una nuova vacanza con i miei genitori, ha impreziosito questa prima parte del 2010. In maniera abbastanza improvvisa, abbiamo organizzato questo viaggio, con lo scopo di raggiungere mio padre che tornava verso sud, di ritorno dalla Germania. Il meteo ci ha dato una mano determinante e la capitale austriaca, si è mostrata in tutta la sua bellezza, affascinando il sottoscritto e non solo. In tre giorni abbiamo girato in continuazione, poche pause e tanta voglia di scoprire le attrazioni più importanti della città, ed alla fine, nulla ci è sfuggito. La Rathaus, l’Hofburg ed HeldenPlatz, hanno caratterizzato la mattinata di mercoledì, così come il percorso alla scoperta dei segreti e delle stanze imperiali, in particolare quelle di Sisi, personaggio certamente singolare e fuori dagli schemi. Il Leopold Museum con le opere di Klimt e Schiele, ha riempito le prime ore del pomeriggio, anche se Otto Muhle e i suoi dipinti assurdi e folli, mi hanno veramente divertito e conquistato. In seguito, il lungo giro, ci ha condotto al Prater, il cuore verde della città, 1300 ettari che ospitano un immenso parco giochi e la celebre ruota panoramica, la quale ci ha permesso una splendida e suggestiva vista della città dall’alto. Lo stadio Ernst Huppel, luogo in cui l’Inter conquistò la sua prima Coppa Campioni nel 1964, è stata la tappa finale di mercoledì. La sera, nei pressi della chiesa di Santo Stefano, abbiamo potuto gustare la celeberrima Wiener Schnitzel, il corrispettivo della nostra cotoletta alla milanese, ma a differenza di quest’ultima, è a base di maiale e non di vitella. La caratteristica di questa specialità, è la dimensione della carne stessa, grande come un pizza, che al ristorante Figlmuller, esce abbondantemente dal piatto. Alla fine, accompagnata da una bella Randler, non sono riuscito a terminare la mia Schniztel, anche perché dopo metà, ero già sazio. Giovedì siamo andati a Schonbrunn, residenza estiva degli imperatori degli Asburgo, altro luogo che con le sue camere reali e i suoi giardini alle spalle, evidenzia la maestosità e lo sfarzo di cui si circondavano i potenti austriaci, già dai tempi di Maria Teresa. Verso le 12 tappa a KarlPlatz, dove c’è la chiesa rinominata Karlskirche, che ha al suo interno un ascensore, attraverso il quale, si giunge praticamente a contatto con la cappella. Subito dopo pranzo, in cui avevo mangiato un’altra Wiener Schniztel di dimensioni un po’ più ridotte, sono tornato prima di tutti in albergo, per assistere allo scempio della Nazionale. Terminata la partita, nuovamente Stephansplatz, Graben e un pochino di shopping, fino all’ora di cena, trascorsa nello stesso posto (Pizza Bigi) in cui eravamo andati martedì qualche ora dopo il nostro sbarco a Vienna. Prima di tornare in albergo, un’altra lunga passeggiata ci ha fatto apprezzare alcune attrazioni con le luci della sera, in particolare il Parlamento e l’Hofburg. Venerdì mattina, sveglia presto per lasciare l’hotel, e poco dopo le 10, i miei genitori sono partiti alla volta di Venezia, mentre io ho iniziato un altro giro viennese in attesa del volo previsto per le 18.35. Il tram numero 18 mi ha portato a Belvedere, altro edificio imponente, dotato di grandi giardini imperiali e segnato dalle opere di Klimt e di altri grandi artisti. Camminando verso nord, verso il centro città, mi sono fermato nei pressi di una splendida fontana di cui continuo a ignorare il nome, così come della piazza in cui è situata. Un giretto per le vie lussuose e poi ancora verso il Prater, luogo che mi ha praticamente stregato e nel quale sono voluto tornare assolutamente. Pranzo a base di wurstel & kartoffeln in un luogo in cui mi sono un po’intristito: ho voluto mangiare dentro e non fuori ai tavoli, ero praticamente solo, ed in sottofondo quelle classiche canzoni sfigate italiane e tedesche degli anni 80, che mi hanno messo addosso un velo di malinconia. Dopo pranzo, sono voluto andare all’università, nei pressi di Schottentor, anche qui un edificio enorme, con un chiostro all’interno, una specie di museo con statue e scalinate che ha l’aspetto di un ministero antico, piuttosto che di una facoltà. L’ultimo scorcio del mio soggiorno viennese, l’ho trascorso vicino a SchwedenPlatz, non lontana da MorzinPlatz lo spiazzo da cui partono i pullman diretti all’aeroporto. Alle 16 ho lasciato la città, con direzione Flughafen, e poi un CJ800 dell’AirOne, con 45 minuti di ritardo, mi ha riportato a Roma.

 

Bella città, pulita e assolutamente funzionale, sei linee di metropolitane nuove ed efficaci, tutto sembra migliore se paragonato alle nostre realtà; uno di quei posti che si avvicina decisamente al mio prototipo di città. Sono stato contento di aver visitato Vienna e ancor più felice di averlo fatto insieme ai miei genitori, sono loro che fin da piccolo mi hanno trasmesso la passione per i viaggi, loro mi hanno insegnato a girare, vedere e conoscere. Non riesco a trovare nessuna pecca a questa breve vacanza, l’unica cosa che ho ripetuto un paio di volte, è l’uniformità architettonica, i monumenti ed i palazzi sono belli, ma sono molto simili; tutto questo però, non può sminuire il valore ed il fascino di questa meravigliosa capitale europea.

 

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(In alto, sulla ruota panoramica)

La tappa

Dopo la cronometro e le pianure, il Tour entra nel vivo. Arrivano le salite, e il Monte Ventoso si staglia all’orizzonte. È il momento di spingere sui pedali perché si sale, non c’è tempo per pensare, ma bisogna stringere i denti, ed affrontare il “Gigante della Provenza”, dove il Maestrale soffia anche oltre i 160km/h. Oggi è il giorno della scalata, la Montpellier-Mont Ventoux con i suoi 176 km, quelli  più temuti. Oggi è Ciofi-Petrarca: il tappone.

Questa mattina è andato in scena il secondo atto della trilogia di Letteratura italiana, con l’appuntamento relativo al modulo C. Doveva essere la super tappa, come annunciato nei giorni precedenti, la sfida con Petrarca, colui che nel 1336 scalò insieme a suo fratello Gherardo il già citato Monte Ventoso, ma alla fine, la difficoltà dell’esame, si è abbassata con l’assenza dell’altro professore con cui avrei dovuto sostenere la parte su Belli da 3 cfu. Il doppio impegno aveva reso la vigilia certamente più avvincente, ma stamattina, la pessima notizia riguardo la mancata presenza del docente, ha smorzato un po’ gli animi e il mio entusiasmo. Volevo chiudere il discorso oggi, ma non è andata così. Tutto ciò, in realtà, complica le cose in prospettiva, perché il capitolo Belli sarà ultimato a questo punto il 5 luglio; ma soprattutto, sottrarrà tempo prezioso e concentrazione allo studio per l’atto conclusivo del 14 luglio, ancora letteratura italiana (modulo A), lo step più delicato e complesso. Parlando dell’esame, posso essere felice per la performance, un 30 che rialza la media dopo il 28 ottenuto al primo appello del 3 giugno. Un colloquio che è durato oggettivamente poco, ma tanto mi è bastato per convincere il professore, il quale non mi ha chiesto nemmeno la parte sull’antologia della poesia del Duecento. Il fastidio per la parte di Belli rimandata, non è stato del tutto scacciato, oggi abbiamo pagato le conseguenze di un corso di letteratura da 18 cfu di laurea magistrale, gestito in maniera pessima, senza chiarezza, con regole cambiate ogni settimana, in cui ognuno può fare come vuole e dove non tutti ricevono lo stesso trattamento. È vergognoso quello è successo, non critico l’imprevisto che ha messo fuori causa lo sfortunato professore, ma la mancanza di comprensione che ho notato nei confronti degli studenti, e tutto questo, l’ho voluto ribadire dopo l’esame, in maniera polemica, ma estremamente educata. Soddisfatto quindi per l’esito e il voto, molto meno per la prospettiva di riprendere Belli in vista del 5 luglio, ma nel frattempo un altro gradino è stato superato, non avrò vinto la tappa, ma ho recuperato tempo prezioso alla maglia gialla.

Intanto… la borsa è pronta, il morale è alto, il fomento non manca, quindi… CHIUDETE LE VALIGIE: SI VA A VIENNA! Domani pomeriggio, la capitale austriaca mi accoglierà, la speranza è che il tempo orrendo degli ultimi giorni lasci un po’di spazio a qualche raggio di sole, per regalare ulteriori brividi.

Auf widersehen

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(Eccoci qui, stamattina al km 69, mentre passo ad Antonio la borraccia con l’acqua. W lo sport, W la comprensione, abbasso le ingiustizie).