Una giornata

15.08

Pochi minuti dopo le 15, sono seduto nel bel mezzo di un pronto soccorso mentre guardo fuori da una finestra. Passano gli autobus, il 20 Express con una buona frequenza e penso che per la prima volta lo vedo da questa angolatura, l’ho sempre utilizzato, oggi lo vedo transitare da spettatore.

Mio padre sta davanti a me su una specie di carrozzella, siamo venuti qui perché non sta bene e sappiamo entrambi che l’ipotesi ricovero è la migliore, soprattutto dopo la giornata di ieri e qualche complicazione di troppo.

Guarda la tv, il plasma appeso a una colonna, mi chiede l’acqua. Mi giro e scruto i volti, non sono facce tese, semmai annoiate e stanche, il pronto soccorso è un posto in cui sai quando entri e non sai mai quando esci, di certo sei consapevole che le cose andranno sempre per le lunghe.

Ci raggiunge mio cugino, sbuca all’improvviso e non sappiamo come sia riuscito a sapere che fossimo lì. Ci tiene compagnia, divaghiamo un po’. Dopo due ore di attesa richiamano mio padre dentro per ulteriori accertamenti. Restiamo io e mio cugino, poco dopo arriva mia madre e mi dà il cambio.

 

17.30

Torno a casa, accendo il pc, qualcuno mi ha cercato per un colloquio, domani ne avrò uno in centro e poi mi allungherò fino a San Pietro dove andrò a prendere delle analisi all’ospedale per mio papà. Sono al suo servizio in questi giorni, un soldato agli ordini del generale. Sento i comandi e agisco. Domani coniugherò queste due cose e tornerò per pranzo.

 

17.45

Apro la mail e trovo un messaggio di Gabriele, breve ma significativo. Chiude con una citazione che mi fa vibrare, so il significato intrinseco, sappiamo cosa vuol dire e mi esalto.

 

19.00

Mia madre mi dice che papà sarà trattenuto in ospedale, stavolta almeno siamo qui a due passi. Non ha un letto, passerà la notte su una barella in mezzo ai corridoi come tanti altri ammalati. Mia madre mi dice che devo andare dal medico a Settecamini immediatamente. Riparto, torno dal medico, c’ero stato già in mattinata. Attendo mezz’ora abbondante prima di essere accolto dal dottore che mi saluta dicendo “Te ne stai a ffa’ oggi de giri eh?”. Prendo tutto e torno a casa. Ho troppa fame e non ho tempo per cucinarmi, mangio un panino e chiamo mia madre. Mi ritelefona mio cugino, mi contatta anche un altro mio cugino dall’America per sapere come sta mio padre. Sta meglio, non ha la febbre, speriamo che lo possano ricoverare qui al Policlinico.

 

23.14

Saluto mia madre e mi metto a scrivere un po’. Ho voglia di farlo, credo che mi faccia stare meglio, almeno, così sembra. Ripenso a questo periodo, a cosa sta succedendo, mi sento come se fossi rinchiuso in un cerchio con soli spuntoni, negli ultimi tempi si sono moltiplicati, le protezioni che mi attutivano i colpi non ci sono più, sono sparite all’improvviso.

È uno spaccato di vita, la vita è anche questa. Come diceva Alfredo giorni fa a volte succedono delle cose e non ci sono spiegazioni, avvengono. Come i quadri che cadono all’improvviso. È vero, so che è dura, queste settimane mi stanno stritolando. Vado a letto perché domani sarà un altro lungo giro di ruota, vado a letto pensando alle ultime frasi della citazione di Gabriele e mi sento leggermente meglio.

 

 

Non importa quanto stretto è il passaggio,

Quanti castighi dovrò ancora sopportare,

Io sono il padrone del mio destino:

Io sono il capitano della mia anima.