Quello che non dovrò più fare

 

Come è giusto che sia la mia testa è ormai da tutt’altra parte. Sì, sono qui a Roma, ho ancora un po’ di cose da fare, qualche impegno e soprattutto un giro di saluti abbastanza lungo prima della partenza. In questi giorni però, ho pensato a tutte quelle azioni che finalmente potrò non fare a breve, un elenco che mi ha sorpreso ma che ha un qualcosa di eccitante. Insomma, fra poco potrò non preoccuparmi più del prezzo della benzina, di guardare per terra e non davanti quando porto la macchina altrimenti rischio di finire in una delle migliaia buche di Roma grandi come crateri, non dovrò più lamentarmi del traffico, non dovrò cercare parcheggio, non avrò orari.

Sarò libero da un sacco di cose, da aspetti che oggi nemmeno riesco a pensare. Potrò mangiare quando voglio, fare la spesa che preferisco, non obbedire a nulla.

Detta così sembra la sagra della libertà o del “Famo quello che ce pare”, in realtà salteranno degli incastri quotidiani che vivo da tempo e la cosa ha un suo impareggiabile fascino.

Potrò vedere il mare quando avrò voglia senza farmi quella quarantina di kilometri ogni volta, ma soprattutto potrò vivere il lusso di tenere il cellulare spento, potrò andare in giro senza telefonino: dall’Italia non mi cercherà nessuno attraverso la linea mobile ed io farò lo stesso. Cioè, io non dovrò avere il peso di essere rintracciabile costantemente. Nemmeno per le urgenze, qualora ce ne fosse una potrei fare ben poco, e sapere una cosa con due ore di ritardo non cambierebbe granché. Sembra una cosa piccola, ma non lo è. Potrò essere io, oppure no, mettere una maschera, posso essere tutto ciò che voglio quando voglio, riparto da zero e quindi ho ampia scelta.

Il fusorario mi toglierà quelle attese che non ho mai sopportato prima delle partite dell’Inter, quelle tra dopo pranzo/cena e l’inizio della gara.

Sicuramente, contrapposti a tutti questi pro, ci saranno delle cose che mi mancheranno dell’Italia, ma è opportuno pensare in maniera positiva, a ciò che di buono troverò e a quello che potrò evitare senza problemi.

Ho un sacco di motivi per partire.

Dopo il primo, ecco il secondo grande brivido del 2013

 

Dopo il primo grande brivido del 2013, ecco il secondo: ho scritto un libro. Oggi ho messo il punto e anche questo progetto l’ho portato a termine. Non vi avevo raccontato niente anche in questa circostanza? Sì è vero, però penso di aver fatto bene, ho eliminato ogni tipo di domanda, di pressione e curiosità. Ho potuto lavorare serenamente, sotto traccia anche qui e alla fine sono soddisfatto del risultato.

L’idea mi è venuta un giorno di novembre a pranzo, mentre mangiavo e ascoltavo il telegiornale. Ho avuto l’illuminazione e ho iniziato a sviluppare subito quello che avevo in testa. È un libro di sport, di calcio precisamente, ma sinceramente penso che scrivere di pallone in tutte le sue sfumature sia la cosa che mi riesca veramente meglio. Non è presunzione, anzi, è una constatazione per la facilità con cui riesco a mettere su carta i miei pensieri.

Ho scritto un libro che io comprerei immediatamente, i miei amici appassionati anche, perché racconto storie di calcio, attraverso un filo rosso molto chiaro che unisce emozioni, grandi campioni e squadre che hanno regalato momenti leggendari.

Scrivere un libro era una cosa che volevo fare da tempo, sono riuscito ad arrivare alla mia meta in 4 mesi, esaltandomi veramente in alcuni passaggi, scoprendo tanti aneddoti e cimentandomi a volte in momenti di ricerca snervante e minuziosa.

Ci sono tre momenti difficili nella stesura di un testo: il primo è ovviamente trovare l’idea, il secondo è passare dalla teoria alla pratica, il terzo è avere la forza e la determinazione di andare avanti quando passa l’entusiasmo e ti rendi conto che mancano ancora un centinaio di pagine.

Un libro infatti è diverso da una tesi, non sei obbligato, non hai tempi che ti stringono, sei libero e per questo puoi rischiare di perderti perché non è un dovere. Sono andato avanti malgrado tutto e sono molto felice.

Quando accennai questa cosa a Gabriele non era molto convinto, ma il suo scetticismo non mi frenò. Iniziare una cosa e arrivare in fondo. Sempre. Manca solo la prefazione, mi piacerebbe che la potesse scrivere un mio amico che contatterò nei prossimi giorni, penso che sia la persona più adatta.

Ho studiato le pubblicazioni di calcio negli ultimi tempi, ho girato molte librerie per farmi un’idea di case editrici e di temi trattati. Penso che il mio libro abbia dei contenuti e un taglio che possa interessare, per me ha le carte per poter essere pubblicato. Lo spero, sarebbe molto bello ma intanto sono contento di averlo scritto. Ora vedremo.

Fra un po’ partirò e avrò del tempo per rileggere il tutto e correggere qualche errore di forma, quando tornerò inizierò la seconda fase, entrare in contatto con gli editori. Ma procediamo un passo alla volta.

In quattro mesi di merda ho pianificato una partenza e scritto un libro. Nonostante tutto, perché barcollo, ma non mollo.

Fino alla fine.

 

 

 

libri, calcio, sport, editoria

 

(Parlo anche di questa storia, ovviamente).

 

Il primo grande Brivido del 2013

 

Insomma parto. Sì, questa è la notizia che avevo preannunciato nella parte finale del post precedente. Parto, ma stavolta non è un viaggetto, una vacanza, una roba così, no, stavolta parto perché mi trasferisco, me ne vado per un periodo “lungo”. È una partenza diversa dalle altre, soprattutto per quello che c’è dietro, per i tempi ed il progetto.

È qualcosa di differente, qualcosa che farò per la prima volta in vita mia, con la speranza che non sia l’ultima. Da meno di un mese ha preso corpo questa idea: una serie di incontri, qualche mail, alcune telefonate e poi la decisione presa insieme ovviamente alla mia famiglia. Parto perché è arrivato il momento, perché ho bisogno di qualcosa del genere, di un brivido di questa portata. Per un milione di motivi, belli e brutti.

Da sempre desideravo fare un’esperienza all’estero, sono sempre stato convinto che se non l’avessi fatta me ne sarei pentito in eterno anche perché il tempo scorre, gli anni passano e non sai mai cosa ti riserva il futuro, certe cose non ti sono permesse in eterno. Ora posso ancora e quindi lo faccio. Parto. Una sera di ottobre dissi a David che era arrivato il momento di partire, adesso ci siamo davvero. Non ho voluto dire nulla in queste settimane perché volevo aspettare, chi mi conosce lo sa, non sopporto chi parla troppo, chi progetta, chi promette e non mantiene. Io volevo chiudere questa cosa prima di dire tutto. Ho sistemato gli ultimi dettagli, ieri ho comprato il biglietto aereo, ora posso sbilanciarmi un pochino, anche se come sempre evito di parlarne troppo e mi pronuncio costantemente al condizionale su questa vicenda.

In tutto ciò, naturalmente, incide la situazione di mio padre che sembra volgere leggermente e lentissimamente al meglio. Ho una clausola nei fogli che ho firmato che mi ripara da una serie di cose qualora mio padre non stesse bene in prossimità della mia partenza. L’augurio è che lui si possa rimettere e che io possa andare, magari il più sereno possibile. Voglio andare a vedere cosa c’è di là, cosa si prova a vivere fuori, a stare lontano da casa, dalla famiglia e dagli amici.

Ho bisogno di cavarmela da solo. Ho voglia di mettermi alla prova, di mettermi un po’ in gioco. Per me conterà più che altro l’esperienza dal punto di vista umano, per molte ragioni, il resto conta ma so che passerà lievemente in secondo piano.

Dopo due lauree, undici mesi di lavoro part-time, uno stage, un tirocinio appena iniziato, una collaborazione fissa con un quotidiano on-line, credo proprio che sia opportuno tentare l’avventura estera, per completare il quadro o solamente perché è giusto così. È doveroso cercare di aprirsi qualche porta in più, o almeno provarci.

Ecco, ho voglia di provarci.

 

Ah, non vi ho detto dove vado, che farò, quando parto, quando torno.

Ve lo farò sapere, una cosa alla volta dai…

partenza, viaggi, brividi

 

Tutto quello che ho imparato

 

Si dice che solitamente le esperienze negative siano portatrici di grandi insegnamenti. Dicono anche che “il colpo che non ti ammazza ti fa crescere”, dicono inoltre che nelle difficoltà si scoprono aspetti nuovi di se stessi. Probabilmente c’è un fondo di verità in ogni cosa, anche se non sono delle regole universali e totalizzanti. Onestamente però, avrei fatto a meno di tutto ciò in questi mesi, sarei stato molto meglio, mi avrebbe fatto molto più comodo ed avrei evitato di scoprire certe cose volentieri.

In questo lungo periodo ho capito però che le persone che contano veramente sono quelle presenti nei momenti difficili: non serve scegliersi degli amici, le situazioni selezioneranno quelli che potrai chiamare in questo modo. Non c’è bisogno di sforzarsi, lo vedi e lo capisci chi ti vuole bene e chi in fondo, un po’ se ne frega, per mancanza di sensibilità o perché non sa proprio che dire.

Ho imparato a non odiare la noia e le attese. Chiuso in macchina, nei parcheggi degli ospedali del Lazio mentre mio padre era dentro a farsi visitare, ho trascorso non so quante ore complessive a pensare, ad attendere. Ho scoperto cosa significhi essere evitato come la rovina, come si evita il fallimento, come si evita di vedere quello in cui si è creduto per lungo tempo mentre sparisce nel nulla.

Ho capito l’importanza di essere liberi. Sembrerà un concetto banale, scontato, ma non è così. Essere liberi davvero, liberi di fare, decidere, scegliere, di comandare se stessi senza essere mai schiavi. Ho imparato che quando le cose cambiano all’improvviso cambiano sempre in peggio.

Ho capito che uno dei più grandi regali che mi hanno fatto i miei genitori è stato quello di trasmettermi il concetto di “rispetto” in tutte le sue sfaccettature.

Ho capito come l’integralismo sia uno dei mali da cui fuggire sempre, nonostante le conseguenze. Pensate a quante guerre si siano combattute per il fondamentalismo, per l’integralismo, in particolare quello di matrice religioso. Non esiste cosa più folle.

Ho subito angherie, costrizioni, sono stato obbligato a fare e subire tante cose. Ho dovuto tacere. Ho censurato me stesso. Sono stato spesso in silenzio. Mi sono sacrificato quando dovevo e lo rifarei altre mille volte. Ho capito che in alcuni momenti il lavoro e la professione sono cose che non contano se paragonate ad altri storie.

Mi sono scoperto fondamentale per qualcuno, ho capito che le cose non devono andare necessariamente bene e che dopo un brutto periodo non è scritto da nessuna parte che andrà meglio. Non esiste nessun criterio regolatore per queste vicende, fidatevi. Ho imparato a non pregare quando serve, lo facevo poco prima non lo faccio più adesso.

Ho accarezzato tante idee.

Non so come andrà a finire, penso però che prima o poi la vita qualche occasione te la regala, anche solo per saldare dei conti.

Non so cosa ci sarà in fondo a questa strada sulla quale mi ritrovo da quattro mesi abbondanti, devo solamente percorrerla per capirlo, perché devo scoprire ancora un sacco di cose.

Ho imparato anche questo.

 

 

N.B. Avviso rivolto a parenti, amici, nemici, amanti, vecchie fiamme, rivali, sicari, venditori, imbonitori, Equitalia, rompipalle di vario genere, forze dell’ordine, fans e quant’altro.

Se dovete venirmi a cercare di persona, o avete questa idea in programma, affrettatevi prima che sia troppo tardi. Presto infatti potreste non trovarmi più da queste parti e mi dispiacerebbe un sacco non riuscirvi a vedere.

 

 

 

STAY TUNED…

rifelssioni