Il countdown

 

Io direi che è il caso di far scattare il countdown dato che manca davvero poco alla partenza, per questo motivo credo che sia arrivato anche il momento di raccontare qualcosa in più su tutta la vicenda. Parto come detto, e fin qua c’eravamo. Dove vado? In Irlanda, a Dublino. Vado per studiare, un lungo corso di lingua che mi permetterà di arrivare a dei livelli veramente notevoli. L’obiettivo dichiarato è quello di ritornare con dei fondamenti anche di gaelico dal momento in cui l’inglese lo parlerò meglio della Regina Elisabetta. Parto con delle basi, anche se sono consapevole che all’inizio il disorientamento sarà totale e mi renderò conto di non sapere quasi nulla.

Le conoscenze ci sono, avranno il loro peso perché non parto da zero ma sarà bello mettersi all’opera e imparare. La scuola è in centro, l’alloggio nel quale starò è un residence nella periferia sud della città.

Perché Dublino? Perché c’è l’Euro e non la sterlina, perché è pur sempre una capitale, perché gli irlandesi sono molto più cordiali e disposti a parlare, perché non ci sono mai stato. Ho anche un biglietto di ritorno, ma non me la sento di dire che tornerò. Parto per alcuni mesi e per tante ragioni, parto per fare fondamentalmente un’esperienza a livello personale e per arricchirmi nel complesso. È un investimento sul futuro, anche perché mi guarderò intorno, vedrò la situazione lavorativa, quali margini ci sono, quali occasioni offre un posto del genere. Tornerò e basta, tornerò per ripartire, rimarrò lì per sempre, non lo so. Intanto vado, poi vedremo che succederà. Eliminiamo troppi discorsi su un futuro non così vicino. È una prima scelta di vita, una di quelle che ti fanno capire che non sei sul tram, che pensi di guidare quando invece sono solo i binari che ti conducono. Stavolta mi sento al 100% io quello che prende, decide e fa. Sono io che porto il mezzo e scelgo di svoltare da una parte. Mi sembra un primo passo in avanti, una scelta buona mescolata ad un gusto di sfida irrinunciabile. Credo che sia un punto di partenza, voglio vederlo così, non penso che sarà solo un’avventura fine a se stessa. Non penso proprio. Spero di trovarmi male, molto male, di avere mille difficoltà. Me lo auguro vivamente.

La mia partenza farà piacere a qualcuno, certi saranno dispiaciuti, ad altri farà comodo, alcuni sono contenti per me, io sono entusiasta e questo basta.

Non ho detto ancora quando parto precisamente? Lo capirete.

Intanto, facciamo partire il countdown…

Il video-racconto

 

Dodici mesi vissuti così. È questo il titolo del mio video-racconto dell’ultimo anno, un filmato che ripercorre questi 365 giorni: dalla magistrale di fine febbraio alla partenza ormai imminente.

Mentre facevo il video ho rivisto quello precedente, quello che creai prima della laurea dello scorso anno e che pubblicai a pochi giorni dalla discussione. Onestamente è molto più entusiasmante, è una carrellata di brividi, una cavalcata trionfale, la famosa victory machine portata al suo apice.

Era un filmato diverso, abbracciava due anni, dalla discussione della triennale alla vigilia della magistrale e quindi comprendeva anche il tanto citato 2010, l’annus mirabilis. Per tempo, situazioni e fatti, ovviamente è un video che sprigiona un’energia notevole ma questo ha comunque un suo perché.

Parte dal 29 febbraio 2012, dal giorno in cui sono diventato bis dottore e finisce con immagini recenti, anzi, con fotografie che mi proiettano a domani, alla prossima avventura che incombe.

È stato un anno lungo, pieno di cose, belle e brutte, di esaltazione e disperazione, dodici mesi in cui mi sono ritrovato dal brivido di parlare davanti alla lucetta rossa di una telecamera che ti riprende, a sensazioni molto meno piacevoli.

Ho vissuto di tutto, ma tra qualche tempo apprezzerò e capirò meglio anche questo 2012, credo che mi abbia insegnato un’infinita di cose.

Come detto, è un video diverso da quello passato ma mi piace lo stesso. Tecnicamente parlando è montato meglio ma mixato peggio del precedente (secondo il mio punto di vista), di certo è la coda perfetta a quello creato proprio un anno fa.

Termina con una citazione vera, un messaggio che mi ha spinto a prendere una decisione, anche se le foto finali sono dei chiari puntini di sospensione che rimandano al prossimo video-racconto.

Anche perché, un’esperienza come quella che sto per vivere, merita di essere immortalata nel modo più opportuno…

 

Buona visione!

 

 

Non-eroi

 

Strano il destino di certi campioni negli ultimi mesi, supereroi dei giorni nostri travolti e quasi certamente confinati per sempre dopo aver deluso tifosi e appassionati.

Il filo che collega Schwazer, Armstrong e Pistorius unisce tre fenomeni spazzati via nel giro di sei mesi. Hanno perso, ma non sul campo o in una gara, sono stati sconfitti nella vita e da ciò che ruota intorno al loro mondo d’appartenenza. Sono stati ingoiati da un sistema al quale si sono arresi, hanno scelto di perdere nel modo meno onorevole, fuori dal campo e quindi in maniera totale, insindacabile.

Schwazer e Armstrong hanno gettato le loro carriere in nome di quel demone chiamato doping, quel mostro che ti fa vincere perché devi farlo altrimenti sponsor, soldi, visibilità e gloria non sono assicurate e chi non sa accettare una vita senza sconfitte può rifugiarsi nell’inganno, quello meschino e vile che ti rovina per sempre. Loro sono stati battuti così, perdendo tutto. Pistorius ha messo fine alla sua vita di atleta in modo diverso, in maniera drammatica vestendosi da killer ed uccidendo la sua fidanzata nel giorno di San Valentino. Di questi tre non sentiremo più parlare, almeno, lo sport non sarà più il loro palcoscenico e di ciò che faranno tra qualche tempo interesserà a poche persone.sport, doping, armstrong, schwazer, pistorius

Schwazer era l’uomo nuovo, l’eroe di Pechino, testimonial della Kinder, fidanzato con Carolina Kostner. Ha perso il controllo, si è dopato per tempo ed era pronto a farlo ancora a Londra. Voleva fregare tutti e alla fine è stato fermato. Ha pianto, si è scusato, ma ormai è un uomo normale che ha sciupato quanto di buono era riuscito a costruirsi negli anni, correndo e soffrendo, macinando kilometri.

Armstrong, texano di Plano è stato demolito negli ultimi mesi. È finita la leggenda dell’eroe che sconfigge un tumore ai testicoli e vince 7 Tour di fila. Ha rubato tutto, ora pagherà non solo vedendo i suoi titoli cancellati ma dovrà risarcire tutte quelle aziende che a lui avevano legato il loro nome. Anche nel suo caso il doping ha trionfato ma rimane una certezza: l’associazione che ha fondato, la Livestrong (quelli del braccialetto giallo) ha comunque raccolto 300 milioni di dollari per la lotta al cancro. Questa è l’unica cosa che nessuno potrà mai sottrargli.sport, doping, armstrong, schwazer, pistorius

Blade Runner, l’uomo che senza gambe ha corso alle Olimpiadi è stato per anni un mito, un simbolo di lavoro e dedizione, la persona che rappresentava come alle disgrazie della vita, anche alle più grandi, ci si debba sempre ribellare preservando i propri sogni. Sono stato ferocemente contrario alla sua partecipazione nelle gare dei normodotati fin da subito, per ragioni che mi sembrano troppo lampanti per spiegarle, ma sono rimasto stupito dal gesto folle che ha messo il punto al suo mito.

Finisce per follia omicida la sua corsa, in tutti i sensi. Ha bruciato tutto togliendo la vita alla sua fidanzata. Peggio non poteva fare. Rimarrà la sua immagine in pista alle Olimpiadi ma anche lui, oramai, non è più nessuno. Come gli altri due.

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Dalla parte del Papa

 

In un mondo in cui resiste il dilemma tra essere ed avere, con la bilancia che pende nettamente per quest’ultima, c’è un’altra via che si sta facendo sempre più battuta: quella dell’apparire.

Questa terza via, non certamente quella teorizzata da Anthony Giddens (sto alzando il livello del post in maniera non facilmente quantificabile) è ormai un’alternativa che coinvolge molta gente: ragazzi, giovani, semi adulti, tutti quelli che amano ostentare. L’importante è sembrare belli, felici, avere il cellulare all’ultima moda e le scarpe firmate. Conta questo, per molti, ovviamente non per me. La prendo larga ma arrivo al punto: le dimissioni del Papa. Ho accolto questa notizia-choc con enorme piacere e con uno stupore positivo, ammiro la scelta ad un punto tale che non mi interessano nemmeno le motivazioni.

La decisione del Papa è quella di una persona, perché ricordatevi che parliamo sempre di un essere umano, che ammette a se stesso e al mondo intero di non essere più in grado di andare avanti. Dimettendosi ha dichiarato che non può più continuare la sua missione come dovrebbe e come vorrebbe. Stop. La storia finisce qui. Per me è una presa di posizione tanto moderna quanto straordinaria. Rappresenta la Chiesa, Dio, ciò che volete ma ha deciso che non può proseguire.

Questo evidente senso di responsabilità ha smentito secoli di storia e ridefinito le immagini di Giovanni Paolo II che tremolante ed in fin di vita, ancora doveva affacciarsi alla finestra in Piazza San Pietro. A me quelle scene non piacevano, avevo pietà, dispiacere e rispetto per quell’uomo. Non tessevo le sue lodi perché andava avanti, speravo potesse vivere gli ultimi giorni della sua esistenza senza essere schiacciato dal dovere, volevo il suo bene. Ratzinger ha deciso di essere e di non apparire, non ho voluto correre il rischio di mostrarsi al mondo come non avrebbe voluto.

Ha fatto bene. Apprezzo il gesto di Benedetto XVI, ha scelto, e io sto con lui.

Mi auguro ora un Papa italiano, al massimo spagnolo. Non sono ancora pronto per quello nero e lo dico senza razzismo o germi di conservatorismo. Il fatto che un pontefice ghanese sia quotato a 3.80 nelle sale di scommesse è però un dato da non sottovalutare. Se nominano il brasiliano per il Vecchio Continente è finita, ci sarebbe un decentramento di eventi e persone che non farebbe bene alla cara Europa.

Volevo parlare anche di Sanremo ma mi sono dilungato troppo sulle questioni papali. Comunque sia, Fazio scivola costantemente su quel ruolo che mi irrita, la Littizzetto esagera e dopo un po’ stanca, Bar Refaeli si è schierata, Baggio mi ha esaltato, la scenografia non mi piace.

Gli “Elio” sono stati geniali, mi piace il ritmo di Max Gazzè e ho apprezzato quella di Mengoni. Pensavo fosse un Festival sottotono, mi sono sbagliato ma continuo a non capire perché sia piaciuto così tanto.

 

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(Sì sì, no, beh, sì, comunque è una cosa simpatica)