Coincidenze pasquali

 

pasqua, feste, auguri, dublino, irlanda, interForse nessuno di voi lo sa, ma dato che io sono “matto” e mi ricordo tutto, vi svelo che Pasqua al 31 di marzo è già capitata nel 2002, undici anni fa. Me lo ricordo perché vincemmo nel sabato santo a Firenze 0-1 dopo quindici anni, segnò Vieri nella ripresa e mantenemmo i tre punti di vantaggio sulla Roma, la domenica andammo a pranzo in un ristorante sopra Tivoli.

Già che ci sono vi dico anche che nel 2008 giocammo un Inter-juve il sabato di Pasqua a Milano e perdemmo proprio 1-2, con qualche svista di troppo. L’indomani invece andammo a pranzo a Sacrofano e ricordo soltanto tanta pioggia.

Vi ho regalato due perle frutto della mia infinita memoria, due collegamenti che testimoniano come l’abbinamento Inter-eventi vadano per me di pari passo. Il fatto è che non mi sono mai sforzato a ricordare, ho tutto precisamente nella mia mente, è tutto perfettamente legato.

Per questo motivo quando tiro fuori ricordi lontani, mio padre come prima domanda mi chiede cosa aveva fatto l’Inter quel giorno ed io puntualmente gli dico risultato e marcatori.

Comunque sia, buona Pasqua a tutti, a chi festeggia, a chi crede, a chi la vive come pretesto per una grande abbuffata. Pagherei tutto per mangiarmi un bel pezzo d’abbacchio con le patate al forno, e continuo a ripetere a tutte le persone che sento dall’Italia: “Mangiate per me”.

È la prima volta che faccio Pasqua all’estero, malgrado il detto popolare reciti “Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi”, lo scorso anno sono andato con i miei genitori ad Ariccia in una delle fraschette a mio avviso migliori. Ricordo il sole, il vento, l’ottima carbonara ed il ritorno in macchina sull’Appia con un cd di Lucio Dalla che avevo fatto a mio padre pochi giorni dopo la morte del cantante.

Qui al residence alla fine non ci sarà nessun raduno fra italiani, ma quando sei lontano da casa anche le feste perdono un po’ la loro importanza e questa Pasqua onestamente non è che la stia avvertendo troppo.

Il tempo è discreto, c’è vento ma non piove, il meteo potrebbe così stabilire un piccolo record se riuscisse a resistere anche oggi: tre giorni di fila senza pioggia.

È tutto da Dublino, buona Pasqua di cuore, ci risentiamo il 2 aprile per il primo bilancio irlandese, quando scoccherà un mese esatto dal mio arrivo.

 

Se ti tradissi, tradirei prima di tutto me stesso e se mi conosci bene sai che non lo farei mai.

Il Venerdì Santo

 

In effetti un po’ mi sembra di essere tornato ai tempi della scuola o dell’università, quando il Venerdì Santo te ne stavi a casa, dormivi un po’ di più e l’appuntamento con la campanella era fissato soltanto al giorno dopo Pasquetta.

Qui oggi è il Good Friday, la Pasqua si sente e si celebra come in tutti i paesi profondamente cattolici anche se a differenza nostra il venerdì da queste parti assume veramente i contorni della penitenza e della purificazione, i pub sono tutti chiusi, mentre noi al massimo ci limitiamo a non mangiare la carne.

Con un giorno di anticipo si è chiusa così la quarta settimana di lezioni, nel test di ieri ho fatto 65/72 che finora è il mio migliore punteggio, un dato confortante poiché la mia intenzione è quella di fare l’esame per passare al livello successivo, il C1, martedì 9 aprile.

È stata però anche una settimana un po’ sottotono, la partenza del quartetto di amici ha inevitabilmente un po’ smorzato gli entusiasmi.

Venerdì scorso infatti abbiamo perso Xavi, 42enne catalano, grande personaggio, colui che ha coniato per me una nuova espressione: “You have the power in your mind” dopo che gli ho ripetuto le fermate della metro di Barcellona e una serie di dati e ricordi sulle squadre spagnole.

È andato via anche Carmelo, la prima persona che ho conosciuto qui, calabrese trapiantato a Milano; Giulia ragazza di Novara che però ha lavorato anche ad Appiano Gentile e Franca, svizzera italiana di Ascona, inevitabilmente il mio personaggio preferito vista la provenienza.

Senza di loro, e con dei nuovi vicini di casa con cui dovremmo stringere nuovamente i rapporti, diciamo che la settimana è trascorsa senza particolari momenti, anche se ieri alla fine io e Cristina (la mia coinquilina) abbiamo deciso di uscire lo stesso, da soli, per brindare al suo esame superato.

Nel frattempo sono entrato in totale crisi d’astinenza, 16 giorni senza Inter sono una cosa che spero di non rivivere più, soprattutto quando la concezione del tempo è mutata del tutto. Sedici giorni qui sono una vita, ho come la sensazione che l’ultima partita vista dell’Inter sia stata quando in panchina c’era ancora Leonardo.

In compenso so che ci aspetta un ciclo di ferro 7 gare in 29 giorni: meno male.

La bolgia di Belfast (Parte 3)

 

Insomma, vi ho raccontato il sabato di Belfast contraddistinto da problemi, difficoltà e sfortune di vario tipo, ma la capitale nordirlandese mi ha saputo regalare anche una bella domenica.

Dopo aver incontrato finalmente il proprietario dell’hotel mi sono fatto consigliare il modo migliore per raggiungere i quartieri dei murales, vero punto di interesse di Belfast. Il suggerimento è stato semplice: lascia stare i mezzi, vai a piedi. E così, senza pensarci troppo, mi sono diretto verso la zona ovest della città, quella che si snoda intorno a Shankill Road.

Già da Shankill Parade ho iniziato a scorgere i primi murales del quartiere protestante, dove si vedono Union Jack appese ad ogni palo della luce e dove una casa su cinque ha sulla parete un’opera d’arte vera e propria. Queste zone sono infatti dei piccoli musei a cielo aperto, e fa molto effetto vedere la classica casa britannica con delle gigantografie spettacolari sul retro.

In queste stradine c’è poco da notare, anzi, sembrano zone disagiate e malfamate ma ad ogni svolta c’è un murales, e qui si trovano quelli più cattivi e violenti che ritraggono soldati mascherati o militari che impugnano fucili con slogan chiari: siamo britannici.

Mi ha fatto quasi sorridere l’angolo in qui c’erano enormi immagini dipinte della regina Elisabetta, mentre non mi ha stupito scorgere il club di tifosi dei Rangers, la squadra per antonomasia protestante di Scozia.

Lanark Way mi ha condotto invece nel quartiere adiacente, quello cattolico e dopo aver attraversato un grande cancello, che una volta divideva le due aree, mi sono ritrovato su Springfield Road: un altro mondo. Bandiere irlandesi, croci, verde, l’altra anima della città diversa in tutto e per tutto. Anche i murales sono diversi, belli, ma con significati differenti essendo più per i diritti civili e per un mondo più giusto. Non mancano però i riferimenti ai decenni di battaglie, e l’attrazione per i turisti rimane il ritratto di Bobby Sands morto in carcere in seguito ad uno sciopero della fame indetto per protestare contro il trattamento dei detenuti repubblicani.

Due ore di passeggiata in mezzo a degli scenari insoliti e stupendi prima che uno spicchio di sole mi riscaldasse per la prima volta. Tornato in centro, sono andato verso il City Side, un shopping centre dove ho potuto trovare il mio negozio preferito.

Ho preso due polo della Slazenger a 8 sterline e sono tornato indietro, ho comprato la bandiera, il magnete per il frigo e considerando che le mie gambe non ne potevano più per la fatica, la neve e gli scarponi ho anticipato il ritorno. Non ho preso il treno delle 19 bensì quello delle 16 che ha comunque ritardato di una mezz’ora. Alle 18.50 ero nuovamente a Connolly Station orgoglioso della mia avventura, felice di averla vissuta in solitaria e consapevole di aver visto un posto veramente particolare, non la metà dei sogni ma un luogo carico di significati.

 

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P.S. Mi sono rimasti 2,76 pounds, li ho messi nel cassetto, a portata di mano. Mi serviranno quando dovrò prendere il 500 dal John Lennon Airport al centro città…

La bolgia di Belfast (Parte 2)

 

Finalmente a bordo del 61 raggiungo il mio hotel, al 17 di Cavenhill Road, periferia nord di Belfast. Neve ovunque, sembra Ortisei. Apro il cancelletto e davanti alla porta trovo un foglio con scritto sopra il mio nome. Lo apro ed inizio a leggere. È un messaggio da parte dei proprietari che si scusano per non essere presenti e mi danno le indicazioni per raggiungere la mia camera.

Codici, porte, scale, diventa un quiz-show ma alla fine raggiungo la camera 12, la mia. Sistemato il bagaglio e dopo quindici minuti di relax sul letto riparto verso l’Ulster Museum. Scopro subito che il 61 non passa mai nemmeno nell’altra direzione e vado a prendere l’1A in una stradina adiacente ed in 10 minuti arrivo nuovamente davanti la City Hall. L’autista mi consiglia di prendere l’8A per il Museo ma io preferisco camminare e così mi imbarco in una delle più grandi scarpinate di sempre, superiore anche a quella del Palace di Abu Dhabi.

Arrivo all’Ulster Museum e mi fiondo nella parte legata alla storia nordirlandese, una sezione che racconta dettagliatamente i Troubles fra protestanti e cattolici. Mi immergo nella visita e dopo un’ora e mezza devo abbandonare il museo considerando l’imminente chiusura.

A quel punto decido di suicidarmi e scelgo di arrivare a piedi dall’altra parte di Belfast per visitare il Waterfall e soprattutto il quartiere dedicato al Titanic. Un’ora di cammino e mi ritrovo lungo il fiume Lagan, attraverso ponte Queen Elizabeth e vado verso l’imponente struttura dedicata alla celebre nave. Sono solo, non c’è nessuno, sono le 18 di sabato sera e la città è vuota, quasi spettrale. Il freddo non molla la presa e finito il giro nella parte nord ovest della città, decido di tornare in centro per cenare in qualche pub. Non ne trovo mezzo, se non una folle e poco raccomandabile osteria in una stradina larga 20 centimetri e lunga 3 metri.

Sono le 19.15 e non c’è un’anima, trovo solo sparute gang di teen-ager urlanti in giro che mi mettono anche una certa agitazione. Nel frattempo ricomincia a nevicare. Ho fame, ma tralasciando i fast food non si trova un posto in cui sedersi e mangiare qualcosa. Vado ad aspettare nuovamente il fottuto 61, decido di tornare verso l’hotel, ma dopo mezz’ora di attesa il bus non passa, il freddo mi sta congelando e la neve mi ha già imbiancato. Mi incazzo e riparto, con le gambe demolite dalla fatica, mi dirigo verso l’albergo. Dopo 500 metri però mi perdo. Cerco di fermare un taxi ma nessuno mi si fila, le maledizioni che indirizzo al 61 non sono ripetibili, mi ritrovo a Peter’s Street e non so più che fare.

Ho tutto: fame, sete, sono stanco, non trovo l’hotel, non trovo un modo per tornare. Fermo l’ennesimo taxi ma ad un certo punto arriva lui: il sosia di David Cameron che dall’alto del suo taxi-pullmino mi chiede se mi sono perso. Gli dico di sì. Lui si fomenta, mi esorta a salire a bordo, mi riporterà a Cavenhill Road. Non si vede più nulla, la bufera di neve avvolge Belfast ed io tratto il prezzo con il tassinaro che è uno serio. Con tre pounds mi porta in albergo. God bless him.

Sono le 20, ceno con i biscotti comprati per la colazione dell’indomani.

La bolgia del primo giorno a Belfast volge fortunatamente al termine.

(CONTINUA)

 

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