Toronto – Francoforte – Roma

Toronto

Una delle tante istantanee che mi vengono in mente riguardo il Natale e alla mia infanzia mi ha accompagnato nelle ultime giornate a Toronto. Risale a un ventina di anni fa, che sia 1995 oppure 1996 poco cambia, ma era dicembre, Natale si avvicinava e la fine della scuola altrettanto. L’istantanea riguarda me seduto dietro la Regata di mio padre con lui al volante in attesa del verde sul semaforo di via Filippo Meda, angolo via Monti Tiburtini. Quei viaggi serali di ritorno da casa di mia nonna erano scanditi in quel periodo da alcune canzoni di Celentano. Mio padre non ha mai ascoltato troppa musica in macchina, ne tanto meno in viaggio, per cui quel sottofondo aveva già una sua sfumatura insolita, di quella cassetta una canzone mi è rimasta impressa, probabilmente perché mio padre la ripeteva con maggiore insistenza, ossia “Un albero di trenta piani”. Un pezzo di denuncia del cantautore sulle infrastrutture che venivano tirate su nelle grandi metropoli fra la fine degli Anni Sessanta e del decennio successivo.

Tutti grigi
come grattacieli con la faccia di cera
con la faccia di cera
è la legge di questa atmosfera
che sfuggire non puoi
fino a quando tu vivi in città.

Questi versi che ho impressi e che per me significano in qualche modo Natale. Anche per questo ultimamente ho riascoltato questa canzone che mi sintonizza ufficialmente sulla modalità natalizia e mi conduce a casa. Sono passati venti anni da quei pomeriggi ma c’è un qualcosa di intimo e fanciullesco in quei frammenti: scuola, Natale, l’infanzia, quella magia che c’era in quegli anni. Ieri sera ho fatto la valigia sentendo anche questa canzone e quando l’ho chiusa stamattina, un mezzo vaffanculo fra i denti, quelli di stizza e di liberazione quando metti un punto tanto atteso, mi è scappato.

Francoforte

Sei ore e mezza di volo, ho dormito un po’ nella parte centrale e poi mi sono visto un film di Checco Zalone. È andata bene, le quattro ore e mezza di attesa qui mi preoccupavano forse di più. Ma è fatta. Mi sono allungato su tre sedie di un gate e sul fianco sinistro ho sonnecchiato. Internet non c’è e allora mi sono messo a scrivere questo post dopo un pretzel e un caffè dalla macchinetta Nespresso. Sei anni fa esatti transitavo qua di ritorno da Abu Dhabi da fresco campione del mondo, oggi invece da stronzo qualunque e piuttosto assonnato, ma sono bene che in questo lasso di tempo poteva andare peggio. Ora vado al bagno, anzi salvo prima sta cosa sul tablet e poi vado al gate. Fra dieci minuti c’è l’imbarco. Ora capisco che sto tornado veramente a casa.

Roma

Sono arrivato in orario e questa è sempre una bella notizia. Niente bagaglio da ritirare e quindi fuga da Fiumicino molto rapida. Mio padre, l’azzurro del cielo e il mare a portata di mano. Andavo alla ricerca dei colori dopo settimane di bianco neve e grigio cielo, eccolo qua subito l’azzurro in doppia versione. Niente pranzo, avevo superato da un pezzo la soglia del “non-sentire”: niente fame, niente sonno, nessuno stimolo, una cosa che mi capita puntualmente in situazioni abbastanza oltre i canoni. Solo la pizza bianca con il prosciutto, una delizia, un classicone, e poi la prima pennichella cronometrata. Sì, perché devo contenermi, desidero rimettere a posti i miei orari fin da subito a scopo di forzare. Come da tradizione, ieri sera cena con la vecchia guardia, pizza e 4 supplì, più una crocchetta. A seguire due limoncelli, nel posto della festa della mia laurea magistrale. Nel mezzo però, prima della cena, due botti sparati con Alfredo per una rapida regressione adolescenziale, dopo invece due passi in facoltà che brillava lì dietro ai prati. Al buio, tutto chiuso, un rapido ritorno alla prima giovinezza. Una serata di involontari richiami, bella, senza peripezie o nulla di esagerato, ma molto italiana, che per me, in questo momento, è la cosa più bella che ci possa essere.

 

 

Un altro 16 dicembre

“Io dico che il prossimo sto a Roma, e se non dovesse essere così, sarò in dirittura d’arrivo, preparando tutti i bagagli per lasciare definitivamente questo paese”.

(16/12/2015)

Immancabile, come ogni anno, ecco il 16 dicembre e di conseguenza il post che racconta l’anno che è stato, con un po’ di anticipo sul tradizionale traguardo del 31, ma per motivi sviscerati negli anni precedenti, il 16/12 è diventato il momento in cui faccio il bilancio.

Lo scorso anno avevo pronosticato che oggi sarei stato a Roma, l’ho voluto piazzare all’inizio come frase d’apertura questo pronostico, perché era giusto anche sottolineare una previsione mancata, ma visto che c’ho una tigna che me se porta via, come sostiene il ragazzo di Frascati, mi prendo il rischio e ripeto la stessa cosa anche per il 2017.

Il 16 dicembre prossimo starò a Roma.

Diciamo che in questo caso specifico ci sono degli elementi che svolgono un ruolo determinante nella previsione, fattori di causa maggiore che mi riporteranno a Roma ben prima di questa data.

È giocare facile in fondo, o comunque fare sponda sui due grandi eventi della prossima estate che hanno un valore enorme e non faranno altro che darmi un motivo in più per mettere fine a questa storia che per me, come detto a chi di dovere a fine ottobre, poteva concludersi tranquillamente prima di questo Natale distante ormai solo 9 giorni.

È un 16 dicembre indiscutibilmente ben diverso da quello dello scorso anno. Molte cose sono differenti, la primissima è il fatto di casa. Dodici mesi fa mi ero insediato nello “Scannatoio” da due settimane precise e chiamare quel posto “casa”, in quel momento specifico, era un complimento smisurato, oggi è ben altra cosa e di certo non è più un aspetto che mi fa disperare.

La stanchezza mentale è simile però, seppur dettata da ragioni diverse. Il 2015 è stato il primo anno qui: lungo, infinito e senza pause; questo invece ha regalato qualche problema in meno ma difficoltà di altro tipo.

È stato un anno lontano da casa come non mai però, senza l’interregno romano dell’estate scorsa, dodici mesi qui praticamente tutti di fila sono stati una enormità.

L’anno passato fu un percorso di adattamento, di scoperta e di mille ostacoli, in questo 2016 mi sono concentrato su altro, in primis su me stesso, soprattutto su alcuni aspetti diciamo caratteriali. Mesi di lavoro senza sosta, mi sono massacrato in certi momenti e la fatica maggiore è stata inevitabilmente tenere la barra dritta sempre e comunque, anche in momenti in cui le dinamiche sembravano essere sempre e costantemente le solite, quasi cristallizzate.

Due anni diversi, con un paio di fili conduttori comuni, ma in generale questo ha per me un valore diverso e non solo perché al secondo giro si tende a raccogliere qualcosa di quanto seminato in quello precedente. Complessivamente è stato un 2016 più carico di insegnamenti, soprattutto a livello personale, un anno introspettivo anche se nel frattempo agivo e sperimentavo.

È stato un anno di riflessione, ma una riflessione non statica, tutt’altro, quando ho capito che la cosa in qualche modo funzionava ho proseguito perché sapevo che era il momento di insistere. Certo, alla lunga un anno così ti usura e chiuderlo con i tantissimi impegni lavorativi che Natale impone non aiuta.

So di aver dato tutto e fortunatamente ho fatto la scelta giusta anche quando il dubbio o la tentazione di rallentare erano grandi. È stata una bella estate anche se mi è mancato terribilmente il mare e la sabbia del litorale romano, la grattachecca, il cocomero, il profumo delle piazze italiane ed il rumore della gente per strada che parla fino a tardi. Una marea di cose mi sono mancate, impossibili da raccontare perché non riuscirei a dare loro la profondità opportuna.

Ho fatto fatica spesso, ma è stata fatica buona, sana, che non rimpiangi. Rimpiango altro, non di aver perso tempo, sicuro, e questa è una sorta di benedizione. Però certo, avrei voluto essere altrove in tanti momenti, ma non c’ero, e quel sentimento di tempo che passa e non tornerà più pesa sempre, è un concetto con il quale mi scontro perennemente.

Avevo detto che sarebbe stato un anno “assestante”, in parte lo è stato, soprattutto inizialmente, poi però ha svoltato su altri binari diventando “didascalico” anche per colpa e merito del sottoscritto.

Tornando su questo 16 dicembre precisamente, non è stato nulla di speciale, una giornata di lavoro impegnativa per via del periodo ma nient’altro. Le news in mattinata, l’editing successivo e poi normale amministrazione, prima di tornare a casa e pensare che manca un giorno in meno al ritorno a Roma.

Non sarà un 16 dicembre memorabile, ma è il secondo di fila vissuto in Canada con molta più neve e freddo rispetto a dodici mesi fa.

È andato pure questo intanto, il prossimo però, lo facciamo altrove, anche proprio per cambiare un attimo dai…

La playlist del 2016

Scorrendo la lista del mio I-pod, in maniera anche abbastanza casuale, ho ricostruito il mio 2016 in musica, le canzoni che lo hanno scandito mese dopo mese. Liste del genere solitamente sono talmente randomiche che è difficile trovare un filo logico, il mio va forse oltre ogni limite perché mescola davvero di tutto.

Quando stati d’animo e casualità si fondono spesso danno vita a qualcosa di estremamente bizzarro, creature che di fondo possono essere solo capite dal diretto interessato il quale nel caso specifico ricorda il mese di gennaio, e quindi l’avvio del 2016, con “Vaffanculo” di Marco Masini.

Il motivo è piuttosto semplice, perché mentre ero a casa, subito dopo la mezzanotte, il cantautore toscano salì nuovamente sul palco del concertone della RAI per il 31 dicembre e si esibì nel suo celebre pezzo. Per quanti erano in quel preciso momento a spasso o già sotto gli effetti di mix alcolici, sappiate che la RAI ha aperto il suo anno televisivo con questo inno generazionale, la prima canzone che ho ascoltato nel 2016 e quella che mi ha poi accompagnato per diverso tempo, soprattutto nel suo verso “Me ne andrò fra il rumore dei fischi, sarò io a liberarvi di me”.

Febbraio coincide con “La prima cosa bella” di Nicola Di Bari, pezzo datato 1970. In realtà mi entra in testa da una via secondaria, da un coro della Fossa che malgrado i colori che inneggia mi piace nella sua essenza. Mi prende a cantarla talmente tanto che mentre sono in una specie di bar sulle rive del Lago di Galilea, con il wi-fi mi connetto per copiarmi il testo integrale che intonerò a seguire in lungo e in largo per tutta la Terra Santa.

Marzo scorre senza grandi sussulti, passa senza che io sia in grado di abbinare questo mese a qualche melodia, cosa che ricapita puntualmente ad aprile, quando la serie di Sky 1992 mi piace in modo sufficiente da fissarmi con “Liberi Liberi” di Lorella Cuccarini, sigla di Buona Domenica di quella stagione televisiva. La scarico e la comincio a sentire, il fatto che si affianchi a “Liberi Liberi” di Vasco Rossi, altra canzone per me molto evocativa, crea sul display del mio I-pod un abbinamento fin troppo fantasioso.

Maggio vede il mio ritorno a Roma e suona con due canzoni, la prima è legata al mio avvicinamento all’aeroporto di Toronto. Cammino con il mio trolley a Bloor station per andare a prendere l’altra metro e parte “Alle 20” degli Audio 2, un pezzone degli Anni Novanta, divenuta ancor più celebre con il film “I Laureati” di Pieraccioni.

Parte a caso questa canzone e mi esalto, mi esalto talmente tanto che potrei iniziare a correre verso l’aeroporto. Sapere che fra pochi giorni la risentirò nello stesso posto (stavolta volutamente) e facendo la stessa azione è qualcosa che mi incendia letteralmente.

A questo pezzo italiano, abbino “Fast Car” di Tracy Chapman intesa però come la versione remixata che per tutto maggio mi perseguita, tanto in Italia quanto a Toronto. È di fondo la colonna sonora che segna il passaggio fra una stagione e l’altra e fa da apripista ai primi caldi.

Giugno fa rima con Europeo e anche “Happy” di Luca Carboni che molto probabilmente è la canzone che ho ascoltato e visto più volte in questo 2016. È anche la sigla di Sky, ma per me che vivo qui, questo collegamento è del tutto irrilevante. “Happy” è gran parte della mia estate, è la sigla mattutina mentre cammino verso la redazione per almeno 5 settimane.

Dall’attualità di giugno si passa ad una canzone del passato che mi rispedisce al 2003 con “Murder on the dance floor” la quale ritorna alla ribalta in modo del tutto casuale, esattamente come il collegamento che la mia mente genera fra la cantante e la “Dama Nera”. Passano in rassegna nel periodo estivo altre canzoni che meritano di essere menzionate come “Giorno di sole” dei 360°, vecchio ricordo d’infanzia, “Come Vorrei” di Vasco Rossi e “Klingande” di Jubel, probabilmente la seconda melodia che ho maggiormente sentito nel 2016.

Passano i mesi, l’estate si eclissa lentamente, ma le canzoni che mi hanno accompagnato in questi ultimi mesi sono state diverse: da “Un mondo migliore” sempre di Vasco, a “Bologna è una regola” di Luca Carboni fino a “Made in Italy” di Ligabue.

Nell’anno che volge al termine c’è stato spazio anche per il Jukebox condiviso con il Catto qui a Toronto, due settimane di molta musica italiana delle ultime decadi; mentre per un paio di valide ragioni questo ultimo segmento di 2016 è stato caratterizzato da “Duele el corazon” una di quelle cose che hanno il sapore di estate ma che sento a dicembre, d’altra parte classifiche e abbinamenti del genere non hanno mai logica.

Non c’è il titolo, scusate. Era proprio a tirar via.

Insomma, archiviata l’esaltante parentesi del Sig. Catto, è iniziato l’ultimo segmento lavorativo dell’anno quello che conduce anche alle vacanze natalizie, a Roma e ad un break molto atteso.

Proseguono le numerose manovre relative al trasloco della redazione, un lavoro impensabile per la quantità di cose che coinvolge, ma siamo nella fase finale, e fra poco attraccheremo al nostro nuovo porto prima di scaricare il materiale, in senso pratico e non figurato e cominciare subito a lavorare dai nuovi studi.

Se a Montreal già ci sono bufere di neve qui all’Equatore torontiano il tempo tiene ancora, e difendiamo le temperature sopra lo zero in maniera agevole, seppur siamo pronti a tirar fuori presto i denti per sopravvivere e arrivare a Natale così.

È inevitabilmente iniziato il conto alla rovescia verso Roma, dopo sette mesi di lontananza, record storico per me, la voglia di riabbracciare casa e un po’ di persone è davvero tanta. Manca poco e questo poco volerà inghiottiti da mille cose e diverse scadenze. So bene di conseguenza che in un attimo mi ritroverò all’aeroporto diretto verso Francoforte.

E poi? Non ho niente da dire in fondo, ho comprato un po’ di regali per Natale, soprattutto per me, sull’Inter è meglio soprassedere, tanto avevamo previsto tutto l’otto agosto, le serate al Crocodile hanno ovviamente perso il loro spessore soprattutto a causa della stagione invernale. Che altro? Avrei da finire il racconto sulla mia estate iniziata e interrotto. Lo so, è vero. Lo finirò, ma non volendo scrivere una cosa a tirar via, tipo questa, voglio trovare il giusto momento che attualmente sembra non arrivare per il contesto e gli impegni.