Il 7 aprile successivo

Se c’è un punto di svolta negli anni di Toronto bisogna cerchiare senza dubbio il 7 aprile scorso. L’autunno passato, in una lunga review a puntate della mia estate 2016, partii proprio da quel giorno, da quel giovedì nuvoloso di 12 mesi fa.

Personalmente, da lì in poi, giorno della ribattezzata “retrocessione”, tante cose hanno iniziato a cambiare, per merito mio.

Nella vita una delle cose più complicate che si è chiamati a fare è quella di andare oltre noi stessi, di superarci, di riconoscere i limiti e le nostre lacune. Fatto quello, bisogna andare avanti e varcare certe confini. Molto facile a dirlo, meno a farlo.

Io dei miei limiti sono sempre stato profondamente conscio ma alla fine ne sono stato perennemente schiacciato. Lo scorso 7 aprile è simbolicamente quel punto di ritorno dal quale lentamente ripartii alcune settimane dopo, rientrato qui dopo la settimana a Roma a inizio maggio.

Tante cose capitano, o meglio ci capitano, con il semplice trascorrere del tempo. Ad esempio, si diventa più grandi in momenti diversi, si cresce per tanti motivi e attraverso numerosi passaggi, per me Toronto è stato un momento-chiave in tal senso.

Sono stati dodici mesi lunghi, con praticamente una vita in mezzo, ma ricchi di insegnamenti e profondamente interessanti.

Non sono più quello di un anno fa, come forse non ho mai potuto dire prendendo me a paragone solo 365 giorni prima. È stata anche una faticata, e due sono state le persone determinanti in tutto questo in maniera differente: il Ragazzo di Versailles e il fido compagno di Honk Kong che ha assistito passo passo a questi mesi, e potrebbe tracciare un grafico perfetto della mia onda.

Proprio lui, in tempi non sospetti, affermò che già solo per tutto questo Toronto era stata salvifica e dargli torto non è semplice. Anche per questo però, sistemato l’ultimo punto è bene andare oltre ora, la sensazione di aver esaurito le energie c’ è e anche di aver dato e fatto tutto.

Dodici mesi dopo la retrocessione, mi interrogo ancora su me stesso, su come vedevo certe cose da una angolatura che mi sembra bizzarra oggi, ma che per due decenni mi ha accompagnato.

La vita è strana anche per questo.

Un 3 aprile già visto

Nelle strane coincidenze, o ambigue ricorrenze, che solo io posso ricordare, oggi, in occasione di questo Inter-Sampdoria settimanale, mi è tornato in mente quello di 4 anni fa esatti, anche se in quel caso fu un Samp-Inter a Marassi, ma pur sempre giocato non nel weekend bensì di mercoledì.

Ricordo bene quel giorno anche perché coincise con la mia prima corsa dublinese, e proprio ieri è stata invece la mia prima sgambata torontiana in questo 2017.

Stessa partita, giocata fuori dal programma ordinario, corsa annessa e tanti ricordi che in questo strambo parallelismo ovviamente riaffiorano.

Era mercoledì 3 aprile 2013, e dopo essere uscito da scuola tornai a casa per pranzo, poco dopo invece mi avviai verso Balally per andarmi a tagliere i capelli per la prima volta all’estero, dal barbiere tifoso del Manchester United che tagliava a secco a 12 euro.

Un modo che mi sembrava bizzarro, mai sperimentato prima, ma che anni dopo scoprii essere invece molto popolare fuori dall’Italia.

Con il nuovo taglio, e prima della doccia, mi infilai le scarpe da corsa appena tornato e sfruttando una giornata di mezzo-sole irlandese, andai a correre per la prima volta dopo un mese esatto dal mio sbarco.  

Lungo la discesa di St Raphaela’s Rd e poi di nuovo su fino a Ballymoss Rd avertii quella vecchia sensazione di piacere riprovata esattamente ieri: quella di correre, di farlo fuori, per strada, e provare a sudare all’aperto dopo troppo tempo.

Non mi fermai più fino a maggio, ossia al momento del mio ritorno, e nonostante un tempo sempre infame ripresi quell’abitudine di cui sentivo il bisogno. La stessa necessità che ho iniziato a sentire qui nelle ultime settimane, e ieri, dopo 5 mesi, finalmente mi sono fatto tre giri di Allan Garden, sotto casa.

Venticinque minuti per ripartire e ricominciare con la speranza che il tempo prossimamente non faccia dispetti schiaffeggiandoci ancora con neve e temperature sotto lo zero.

Tornato a casa, in quel pomeriggio dublinese, vidi la partita, un successo firmato da 2 gol di Palacio, uno dei pochi di quella Inter che ancora veste la maglia nerazzurra.

Era il mio primo mese in Irlanda, finito in archivio proprio il giorno prima, e chiudevo il mio post a tal proposito in questo modo:

“Un po’ mi ero sottovalutato, prima di partire pensavo che sarebbe stata molto più dura e che avrei trovato molti più problemi, forse ho esagerato nel dipingere lo scenario ma finora sono andato bene e ho già avuto diverse risposte confortanti, malgrado il fardello con cui sono partito ed i 5 mesi precedenti al mio sbarco in terra d’Irlanda. Adesso avanti con il prossimo segmento, altri 30 giorni che nasconderanno insidie diverse da superare come ho fatto finora: till the end”.