Una lettera

Ieri sera ho ritrovato una vecchia lettera che ci ha scritto il nostro professore di storia e filosofia in quinto superiore e che ci ha consegnato l’ultimo giorno di scuola, tutte le volte che la leggo, mi emoziono sempre un po’. La prima parte è uguale per tutti, alla fine, invece, c’è un messaggio personale che ha voluto scrivere a ciascuno di noi.

 

 

 

 

Carissimi,

  Ho pensato di scrivervi alcune righe un po’ per affetto un po’ perché vorrei lasciarvi un piccolo segno del nostro lavoro comune. Vi ho molto osservato e alla fine di quest’ anno ho un po’ di rammarico perché non abbiamo avuto più tempo per costruire  quello che a me sarebbe piaciuto e che penso vi sarebbe stato utile per il futuro. A questo proposito vi voglio dire con franchezza che forse, dal vostro punto di vista, siete stati sfortunati a trovare un insegnate come me, che avrebbe voluto cose diverse da quelle che sapevate già fare. Ma quando voi mi dite”così ci fa riflettere” sappiate che non solo mi dimostrate che ho ragione a farlo, ma soprattutto mi state dicendo (e probabilmente non ne siete consapevoli) che come insegnante sono nel giusto. Per un professore il massimo risultato a cui può aspirare è insegnare ai propri studenti a ragionare. Perché questa credo sia la competenza fondamentale per un cittadino del nostro tempo. Non so esattamente cosa vi portiate a casa da questo anno insieme. So che molti di voi pensano che la cosa più importante sia il voto, ma tra qualche tempo non vi ricorderete i voti, piuttosto vi ricorderete gli episodi e le emozioni di questi anni. Oltre al vostro impenetrabile mondo fatto di rapporti (amicizie, screzi  e conflitti) tra di voi, vi ricorderete di questo o quel prof per quanto vi hanno fatto scoprire o per quanto vi hanno lasciato indifferenti. Oggi per voi i voti sono tutto, ed è naturale che sia così (anche se ogni volta che lo sento mi innervosisco) perché nel voto vedete allo specchio la vostra valutazione e, apparentemente, il successo o l’insuccesso. Ma tra qualche tempo apprezzerete la qualità della relazione (se c’è stata), l’originalità, la stranezza e la follia di qualcuno di noi che continueranno a farvi ridere o sorridere per lungo tempo, ma soprattutto a poco a poco capirete le capacità che vi sono rimaste dentro. Vi devo molto, perché osservandovi, ascoltandovi, lavorando con voi, ho capito molto di questo mestiere e di voi. E ho anche riscoperto quanto sia difficile fare l’insegnante. Essere un buon insegnante cosa vuol dire? Non lo so, certo è uno dei mestieri più difficili al mondo, se lo vuoi fare bene.

Ora che siamo arrivati alla fine di quest’anno mi auguro solo che qualche traccia di questo passaggio  rimanga nella vostra memoria. Anche ridicolo o divertente, per riderne, tra qualche anno. Vi ripeto per me è stato molto intenso, uno di quegli anni rari nella vita lavorativa di un insegnante che vorrebbe essere un buon insegnante.

Vi saluto con grande affetto e grazie per quello che abbiamo fatto insieme.

 

 

 

 

A te caro Matteo voglio fare i miei complimenti per la pervicacia e l’interesse con cui ti sei impegnato, perché hai accettato, forse l’unico, di provare a misurarti con il metodo di lavoro che io proponevo, hai accettato il rischio e non ti sei chiuso in difesa. Questa tenacia è un grande pregio. Devi essere soddisfatto di te ed orgoglioso, senza mai perdere l’umiltà. Certo si può migliorare, ma questo è sempre vero e vale per tutti.

 

 

Un abbraccio, il vostro prof. Vittorio Cogliati Dezza.

 

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