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Fluttuai attraverso gli esami finali come se fossi stato sotto l’effetto anestetizzante di una droga che induce idiozia. Alcuni miei compagni, pallidi per le notti in bianco e per la preoccupazione, rimasero perplessi vedendo il mio umore; altri, i tifosi di calcio, capirono e provarono invidia. (All’università, come a scuola, nessun altro tifava per l’Arsenal.) Presi il mio mediocre diploma di laurea senza alcun colpo di scena, e circa due mesi più tardi, ripresomi dalla vittoria nella finale di Coppa e dai festeggiamenti di fine stagione, cominciai ad affrontare il fatto che il pomeriggio del 12 maggio avevo raggiunto gran parte di quello che avevo sempre sperato di raggiungere nella vita, e che non sapevo cosa farmene del resto. Avevo ventidue anni, e il futuro improvvisamente mi apparve vuoto e inquietante.   

 

Nick Hornby