La notte dei sogni impossibili

L’interpretazione dei sogni è una cosa che mi ha sempre molto incuriosito, sono affascinato da ciò che produce il cervello in momenti in cui noi siamo meno padroni delle nostre funzioni o dei pensieri che ci frullano in testa. La mia ultima notte è stata costellata da una serie di sogni assurdi, strani e a mio modo di vedere praticamente impossibili da spiegare. Devo dire che la giornata appena conclusa era stata sicuramente molto intensa dal punto di vista emotivo, soprattutto la mattina, ma nelle mie avventure oniriche non sono riuscito a collegare nulla a ciò che avevo vissuto durante il giorno. Il primo sogno è stato più un’immagine che una storia o una situazione, ero in una sorta di collegio di suore che in realtà era la mia residenza Erasmus, ero in un edificio grande, vecchio ma decisamente imponente nel centro città. Faceva freddo e il cielo era coperto, con delle nuvole grigie e cariche di pioggia, l’ambientazione era molto nordica, ma più britannica che scandinava. In questo ambiente c’ero io alle prese con delle Magnum ai piedi e stavo cercando di sistemare i lacci delle scarpe. La cosa che mi fa sorridere è che io non ho mai avuto queste scarpe nemmeno quando andavano di moda a cavallo del 2000. Ero preso dalla mia faccenda all’interno di un atrio in cui una suora dava udienza agli altri ragazzi Erasmus e il sogno è finito così. Terminata questa avventura ne è iniziata un’altra, eravamo io, Federico e Alessandro, dopo il tramonto con il cielo che si stava per oscurare in una sorta di bosco cittadino, un’ambientazione che poteva essere una via di mezzo fra il Casal Galvani e il Casal Quintiliani ma anche qualche angolo di Ponte Lanciani. Io e Federico eravamo seduti su una panchina sul lato di un campo incolto, mentre Alessandro era su un’altra panchina su un altro lato di questo campo. All’improvviso Alessandro viene verso di noi quasi di nascosto e mi passa un sorta di piantina dicendomi che Federico non doveva vederla, perché era la sua preferita e la stava facendo crescere con molta attenzione. Federico si accorge della piantina che ho appena ricevuto, si alza e inizia a rincorrere Alessandro colpevole di avermi passato la sua pianta preferita. Io rimango seduto con sta specie di fiore in mano mentre loro due si rincorrono in questo bosco a pochi metri da me interrogandomi sulla nuova passione di Federico e sul suo pollice verde nascosto. L’ultimo sogno che ho fatto è stato quello più lungo ed inspiegabile. Ero sulla metropolitana come quando tornavo dal liceo, sento tre ragazzi (due femmine e un maschio) che parlano vicino a me ed una delle due ragazze fa una battuta sull’Inter, sul fatto che non vinceva da un sacco di anni, io cerco di non risponderle, ma poi la guardo e le dico una serie di volgarità ricordandole che un anno fa abbiamo vinto tutto. Il gruppetto scende e sale una ragazza sui 17 anni bellissima con un vestito azzurro chiaro di raso, prende posto e inizia a parlare al cellulare sotto la metropolitana. Dopo pochi secondi inizia a conversare ad alta voce e sento che dice testuali parole “Sì! Io tifo per la Fortitudo e sono Testimone di Geova” a quel punto dentro di me un po’ sbalordito mi dico “Io anche tifo per la Virtus e credo in Cristo ma non lo dico così”. La metro si ferma, la ragazza riprende la conversazione su toni normali ed entra dalle porte Dan Peterson e non capisco perché, va bene che si parla di squadre di basket ma non vedo la ragione del coach in quel momento. Con un vestito blu scuro elegante e una cravatta rossa, il vecchio Dan mi si avvicina con il cellulare in mano e mi dice di chiamare un numero nella sua rubrica con scritto Siena. Faccio il numero ma non riusciamo a chiamare, lo comunico a Peterson che mi dice Well  ma non capisco se devo intendere la sua risposta come il suo classico intercalare o se va bene davvero. Si aprono le porte e scendo, Dan mi dice di rientrare, lascio la borsa sulla banchina, la porta si chiude e io riparto con lui mentre il mio bagaglio rimane lì alla stazione. Mi dispero, decido di scendere subito ma non ci riesco, alla fermata dopo non riesco a scendere nuovamente, arrivo a Quintiliani e vedo Christian che alla fine della scala mobile mi saluta e mi dice di cambiare lato per tornare indietro e prendere la valigia. Poco dopo vedo Silvia da lontano che mi saluta mentre sto risalendo per andare a prendere la metro dal lato inverso. Mi sveglio definitivamente, ho dormito ma ho sognato un sacco di cose, queste sono quelle che mi ricordo in modo nitido, ho riposato ma sono stanchissimo, come se avessi corso una maratona stanotte, avverto la fatica, ma la sveglia suona e la giornata sta per iniziare.

 

sogni, dormire, notte

 

Arrivederci Matrix

È sempre emozionante e allo stesso tempo triste salutare un amico, uno con il quale hai condiviso anni di sfide, di sconfitte, ma anche di tante vittorie. E’ bello però sapere che sarà comunque solo un arrivederci perché certe strade nella vita sono destinate ad incrociarsi nuovamente malgrado tutto. Marco Materazzi saluta l’Inter, la squadra nella quale ha vissuto questi ultimi 10 anni per una nuova avventura, ancora un anno di calcio, un anno di sport negli States o in Inghilterra prima di tornare a casa e ricoprire un ruolo diverso, ma sempre all’interno della sua famiglia che si chiama Inter. Se ne va un giocatore vero, cresciuto nei campi di terra della periferia, un uomo di gavetta, uno di quelli che possono dire di aver fatto veramente tutta la scala, dal gradino più basso fino a diventare campione del mondo con la propria nazionale e con la sua squadra di club. Amato follemente dai suoi tifosi, insultato in modo vile dai suoi avversari, colpito nel cuore dove c’è una ferita che non potrà mai richiudersi, quella di una mamma che non l’ha visto crescere e che per anni è stata vergognosamente ingiuriata da idioti in giro per l’Italia. Molte volte ho avuto l’impressione che Materazzi fosse il nuovo Berti e quando parlo di Nicola mi si illumina sempre il volto, uno di quelli che era un idolo per la sua gente e il nemico numero 1 per i milanisti, proprio perché incarnava lo spirito e la mentalità della Milano neroazzurra. Materazzi è stato il Berti del 2000 per i tifosi interisti, a volte l’unico italiano in campo, spesso il totem da seguire per grinta e voglia di vincere. Poteva finire al Milan nel gennaio del 2006 ma decise di rimanere all’Inter per questione di cuore e non solo, Facchetti si oppose al suo trasferimento, Marco non poteva andare via per ciò che stava diventando. Pochi mesi dopo Materazzi portò in ospedale la SuperCoppa vinta con la Roma  a Giacinto che nel suo letto gravemente malato poté soltanto ringraziarlo con un filo di voce. Mi rimarranno tante immagini di questo ragazzone nato a Lecce ma zingaro nell’animo come ama definirsi: la doppietta scudetto a Siena per il primo tricolore, il suo vestito completamente bianco alla festa, il gol in finale con la Francia, le uscite a volte esagerate, le lacrime del Bernabeu e quel modo di sentirsi sempre parte dell’Inter. Ho ammirato Materazzi in questi anni, ha sbagliato tante volte e ha sempre pagato, lo stimo per averci messo la faccia quando serviva, per aver pianto il 5 maggio ma per aver avuto il merito di resistere e vincere tutto con quella maglia che ha amato profondamente. È bello ricordarlo nella sua ultima partita, la finale con il Palermo, felice per l’ennesimo trofeo, con quella coppa in mano che nessuno riusciva a portargli via e quel “tutti pazzi per Materazzi” che suonava in sottofondo, quel coro che gli mancherà parecchio, così come a noi mancherà molto non vederlo uscire più dal tunnel di San Siro.

A presto Matrix e grazie di tutto.

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L’esame di Gara 2

Dopo una sconfitta il vero nemico al secondo esame della sessione non è mai davanti a te: è lì dentro che prova a roderti le sicurezze e a metterti paura. Non esistono alternative oggi, vincere per alimentare le speranze e continuare a crederci, anche perché quando sei con le spalle al muro, puoi soltanto avanzare: dalla T18 è Ciofi-St.della lingua italiana, più di un derby.

 

Fabio Caressa diceva che la vita è circolare così come le nostre esperienze di vita, oggi si è chiuso un altro piccolo cerchio con l’esame numero 42, quello che ha sancito la fine dei miei orali di St.della lingua italiana con un voto che vendica in parte la figuraccia del 3 giugno e mi rilancia in questa sessione. Volevo 30 e me lo sono portato a casa, in 20 giorni ho vissuto due esperienze che non avevo mai fatto in 5 anni di università: rifiutare un voto troppo basso e fare l’esame per primo come è successo oggi. Il 20 giugno del 2007 in P24 facevo il mio primo esame in questa disciplina ed oggi 20 giugno 2011 ho sostenuto l’ultimo, il percorso in questo caso si chiude con una precisione clamorosa e con una votazione importante che testimonia come questo esame sia forse il mio preferito. Sono felice per come è andata, non è durato molto il colloquio, credo di aver meritato il voto e ora la mente è già rivolta a venerdì quando scenderò nuovamente in campo per rimediare al mezzo disastro dell’appello del 3 giugno. Affrontare tutto ciò con un 30 in mano ha un suo valore, partire da un voto del genere dà comunque sicurezza, anche se fra 4 giorni sarà tutta un’altra storia con il triplo delle difficoltà. Sapevo di poter fare un bell’esame, ero molto sicuro e convinto, tranquillizzato da un preparazione che mi aveva dato numerose certezze e quel tipo di serenità che alla fine ha pesato parecchio. Anche Antonio ha conquistato un bel 30, io ho aperto la giornata, lui l’ha chiusa e ha avuto pure l’onore di assaggiare una delle ciliegie del professore regalando l’ultimo brivido a questo lunedì. Gara 2 è già in cassaforte, venerdì si ritorna sul parquet per la terza sfida e sarà di nuovo in trasferta, una partita determinante, quella che potrebbe decidere le sorti della serie e non solo.

Quando Duisburg diventa Fort Apache

università,esami,lavoroSta per iniziare una delle settimane più lunghe ed intense degli ultimi tempi, 6 giorni in cui si concentrerà di tutto a partire da domani mattina. Sarà una domenica insolita, non sarà soltanto la vigilia dell’esame ma anche una giornata lavorativa considerando che dalle 12.30 lavorerò per un evento all’auditorium della facoltà almeno fino alle 17, un impegno che inevitabilmente mi porterà via del tempo, soprattutto in funzione dello studio per l’esame. Ho accettato diverse settimane fa, mi sono organizzato di conseguenza e sono stato pagato giovedì: in anticipo, cash e con una somma inaspettata. Lunedì sarà la volta dell’esame, il famoso modulo A che sto preparando bene, con maggior entusiasmo e con una convinzione diversa rispetto a quella che percepivo nella settimana precedente all’appello del 3 giugno. Martedì ci sarà un altro evento, altre ore in auditorium, mentre mercoledì e giovedì lavorerò normalmente con dei turni che però avranno una coda un po’ più lunga calcolando che ci sarà una conferenza che si prolungherà per tre giorni. Il giorno prima dell’esame del 24 (quello che devo rifare dopo aver rifiutato il voto) la passerò molto probabilmente non del tutto sui libri e questo un po’ mi preoccupa, evidentemente è destino che questo esame non si debba preparare bene, ogni volta c’è qualcosa, anche la prossima settimana avrò mille problemi ed è probabile che dovrò fare qualche salto mortale per riuscire a fare tutto o almeno il più possibile in modo decente. L’aspetto lavorativo e universitario si vanno così ad intrecciare clamorosamente e con perfetta sincronia, le situazioni “esterne” continuano a non essere del tutto tranquille e favorevoli, in poche parole c’è un’atmosfera piuttosto movimentata per usare un eufemismo. Mi aspettano 6 giorni tutti di corsa che tradotto significa: 2 esami, 2 eventi e 4 giorni di lavoro, il mio personalissimo ritiro di Casa Azzurri qui a Duisburg sta per trasformarsi nell’assalto a Fort Apache.

 

Frase della settimana

Gabriele: “E beh? Non ti esalta sentire il rumore dei nemici?”.