Mamma

Roma, 7 luglio 2012

 

Cinquant’anni, cinque decadi, dieci lustri. Sono tanti? Sono pochi? Non lo so, per Dante saresti quindici anni oltre il mezzo del cammin della tua vita, noi speriamo che di strada da fare insieme e non solo, ce ne sia ancora tanta.

Cinquant’anni e non sentirli direbbe qualcuno, forse è vero, almeno nel tuo caso è così senza dubbio. Lavoro, casa, una famiglia, attività sportiva ogni tanto, una vita frenetica che raramente lascia troppe pause se non in vacanza.

Hai cinquant’anni e li vivi degnamente, molto meglio di chi non li accetta, di chi pagherebbe pur di modificare la data di nascita sulla propria carta d’identità.

Meglio di quelle persone che vorrebbero averne una decina abbondante in meno e che per sentirsi giovani vanno in giro a fare i ragazzi, rendendosi solitamente ridicoli.

Entri in una nuova decade, la seconda che termina in “anta” e lo fai con la compostezza di chi vive una vita serena e volge lo sguardo al domani con fiducia, nonostante i malanni, i mal di testa e quelle crisi che potrebbero sfinire tutti ma non te.

Dicono che nella vita, alla fine, ci si abitui a tutto, forse anche al dolore, pur se non lo si accetta mai, ma tu sai stringere i denti oltre modo e tirare avanti. Una donna da ammirare, “godibile” come ti ho detto qualche giorno fa, pimpante, estroversa, talvolta “esagerata”.

Da figlio dovrei tracciare un tuo ritratto di madre, se chiedi ad una mamma che genitore è, la risposta più scontata sarà: “Lo devono dire i miei figli”. Io non la penso così, credo che un buon genitore sappia in fondo di essere tale, poi ovviamente il giudizio degli altri, in particolare dei figli, conta molto. Io sapevo perfettamente di essere un bravo studente, non avevo bisogno di conferme, di voti o di complimenti, lo sapevo perché lo ero, lo capivo e me ne rendevo conto. Lo stesso si può dire te, sei una brava mamma, lo sai perfettamente e io non posso fare altro che sottolinearlo e confermarlo a modo mio.

Ho avuto la fortuna di avere due genitori che mi hanno sempre dato tanta fiducia e mi hanno responsabilizzato. Avere una madre che ti dà affetto e tutta la libertà del mondo è ciò di cui ha bisogno un figlio. Per me, questi due aspetti, sono stati determinanti.

Sono contento di non averti deluso negli anni, e non sai quanto sia gratificante per un figlio sapere di rendere felici ed orgogliosi i propri genitori. La mente mi torna così a fine febbraio, alla laurea, alla magistrale. Per me contava molto, ma era veramente qualcosa di simbolico, ciò per cui ero davvero felice era perché percepivo quel potere unico di rendere contenti gli altri, i miei genitori, te. Tu dirai lo stesso, ribaltando la cosa, ma sappi che è diverso quando sei il protagonista e nelle tue mani hai l’occasione di far sentire fiero qualcuno a te caro.

Dicono che la gioventù sia il periodo in cui ci si deve divertire, fare tante cose per avere dei bei ricordi quando si diventerà vecchi, perché quello invece è il momento della vita in cui si torna indietro con la memoria. Aver vissuto tante cose insieme in questi anni: viaggi, giornate, momenti, episodi che resteranno nel cuore è quanto di più bello potesse riservarci il destino.

Da voi ho preso la passione di viaggiare, di muovermi e di conoscere, tra qualche anno quando tornerò in qualche città o posto visitato insieme a voi, sarà bello poter dire “Qui ci sono stato con mamma e papà la prima volta”.

Non capita a tutti, non tutti hanno la disponibilità o le possibilità, io sono stato fortunato ad aver avuto tutto ciò e ad aver vissuto questi anni con te.

 

Per altri cinquant’anni, cinque decadi, dieci lustri: Mamma!

 

Auguri,

 

Matteo                                                                 

La “Formellata”

Dopo quasi due mesi di stage, è arrivato finalmente il momento dello sport, ed in particolare del calcio. È stato il giovedì della celebre “Formellata”, così l’aveva definita Renzo a metà giugno quando mi disse che alla prima occasione valida sarei andato con lui. La presentazione di Ederson, nuovo acquisto biancoceleste, mi ha condotto nella sala stampa del centro sportivo laziale, insieme a Paolo l’operatore e a Renzo stesso. Poco dopo mezzogiorno ci siamo ritrovati un po’ tutti alla stazione di servizio dell’Agip all’inizio di Formello. Nel bar adiacente alla pompa di benzina, c’era già Daniele Garbo di Mediaset e a distanza di qualche minuto è giunto anche Enrico Sarzanini di Dimensione Suono Roma e Leggo. Ho capito insomma che l’area di servizio Agip è un ritrovo prima delle conferenze per chi segue la Lazio. Dentro Formello ho preso contatto con la realtà biancazzurra: Paolo ha posizionato la sua telecamera, Renzo fraternizzava e salutava i ritrovati colleghi, io invece scrutavo ogni dettaglio. Verso le 13 ho occupato un posto all’ultima fila, vicino a me c’era Caliendo, il procuratore di Ederson, in seguito è arrivato Tare e subito dopo è partita la presentazione del centrocampista. Poche domande, risposte scontate e ovvie, ma grandissimo italiano sfornato dal sudamericano, una sorpresa che ha lasciato di stucco un po’ tutti. Terminato il turno del neo arrivato, ha preso la parola Lotito che ha dato il meglio di se, anzi, il peggio di se, attaccando un po’ tutti, sfoderando delle contraddizioni uniche, affermando cose insensate e leggendo un proprio editoriale di qualche mese fa tratto dalla rivista ufficiale della società. Alle 2 tutto era finito, l’operatore Mediaset cercava di mettersi in mostra ad ogni modo con una delle hostess ma senza grande fortuna, io e Paolo ci involavamo verso l’altra parte di Roma. Mezz’ora più tardi sono rientrato in redazione per preparare la diretta, terminata la trasmissione ci siamo adoperati per sistemare quella di domani. Alle 7 però, prima di andarmene, ho incrociato nuovamente Renzo, qualche commento sulla conferenza e poi l’ho salutato e ringraziato per avermi regalato questo brivido. Dopo due mesi, era il momento di vivere una mattinata da addetto ai lavori anche per il calcio.

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Siamo tutti con voi!

“Prandelli ha confermato che certamente il calcio è pieno di gente amorale e di vizi metropolitani, ma resta la cosa migliore di questo Paese. Perché è quella dove c’è più sentimento, direi amore assoluto, dove tutti vogliono sempre fortemente qualcosa e per quello sono disposti a dare, non a rubare o evadere”.

 

(Mario Sconcerti, Corriere della Sera, 1.7.2012)

 

John Foot ha scritto un libro “Calcio 1898-2007: storia dello sport che ha fatto l’Italia”, un testo straordinario che ho utilizzato anche nella mia tesi, un libro che sociologicamente e storicamente racconta il nostro Paese attraverso la passione calcistica. Siamo a poche ore dalla finale europea con la Spagna, un traguardo che un mese fa sembrava impossibile. Ancora un po’ di attesa e poi capiremo chi potrà salire sul trono continentale; nel frattempo la tensione cresce, il fermento del Paese è evidente, tutti uniti, pronti per vivere una serata memorabile che potrebbe diventare leggendaria. Riportare il titolo in Italia dopo 44 anni sarebbe qualcosa di veramente grandioso e noi ci crediamo, io almeno, ci credo tantissimo. È bello vedere l’emozione che sprigiona un evento del genere, è entusiasmante condividere certi momenti con tanta gente che spera le tue stesse cose, che sogna di assaporare il medesimo brivido. Il calcio rimane un passione inarrivabile, solo il pallone sa unire così, non esiste nient’altro in Italia in grado di scatenare reazioni e sentimenti così potenti. Quando c’è la Nazionale, quando si arriva a momenti del genere, siamo tutti uniti, tutti fieramente legati alla nostra Patria. Nel Paese delle contrade e dei comuni solo questo sport ci fa stringere, siamo un popolo diviso da tante cose, siamo la terra del campanilismo più marcio e marcato, una nazione che sa volersi bene solo per il calcio, solo per gli Azzurri. È ovvio che il calcio sia una cosa straordinaria, e chi non lo capisce in giornate così penserà che siamo tutti matti. Si piange e si ride, ci si abbraccia, milioni di persone in piazza sogneranno di vincere e non baratterebbero con nulla al mondo la vittoria di stasera. Saremo tutti completamente persi, concentrati su un’unica cosa, in quale altra circostanza avviene tutto ciò? Pensateci bene. Solo il calcio sa regalare momenti così e non lo dico perché amo questo sport, il pallone in Italia significa molto di più di una partita, di 90 minuti e 22 giocatori. È l’unico collante di una popolazione, un magnete troppo forte dal quale sottrarsi.

Amo queste giornate, queste vigilie, vedere milioni di persone mobilitarsi e tifare tutti insieme, ci siamo, ancora una volta.

Coraggio Azzurri, siamo tutti con voi, come non mai.

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P.S. Ma quei napoletani che durante la finale di Coppa Italia fischiarono l’Inno di Mameli, stasera faranno il tifo per la Nazionale? Canteranno “Fratelli d’Italia”? Se dovessimo vincere faranno festa? Oppure avranno il buon senso di essere coerenti con quell’ignoranza becera che hanno dimostrato a maggio?

Bisogna essere italiani sempre, non soltanto in certi momenti.