Quando esagero

A volte esagero, in questi giorni ho esagerato. Va bene riposarsi, non fare nulla, ma esiste anche il ritegno, concetto del quale me ne sono altamente infischiato scivolando in un burrone di bivacchi e di dolcissimo far niente. Dopo la prima settimana di ferie caratterizzata dalla nuova condizione, dal non avere impegni quotidianamente e dal lunedì al mare, quest’altra settimana ha preso una piega preoccupante. Vi dico soltanto che da domenica pomeriggio, quando sono uscito per andare a correre, ho varcato nuovamente la soglia di casa solo oggi per pranzo. Sono stato 60 ore dentro casa, due giorni e mezzo a palleggiarmi fra letto e divano, tv e computer. Questo particolare quadrangolare lo ha vinto la televisione dopo un duello molto equilibrato e deciso solo agli shootout con il pc. Ho visto molti film, tutti comici e quasi tutti di Verdone (Sky li sta proponendo uno dopo l’altro), ho scritto un articolo sul calcio mercato ieri e due post compreso questo. Per il resto, il vuoto più totale. Non so come sia riuscito a far passare tutto sto tempo, rimanere 3 giorni dentro casa, così, senza adoperarsi in qualcosa di sensato è un mio record. I miei non ci sono, sono il padrone totale e sfrutto appieno la condizione, anzi, la sfrutto per non combinare nulla. Rileggendo post vecchi relativi alle estati scorse, notavo come un periodo di noia, di far niente, me lo sono sempre concesso, evidentemente è un passaggio che ha una sua importanza nelle mie vacanze. Solitamente capita subito dopo aver finito qualche cosa, dopo gli esami, dopo il lavoro, la settimana successiva è sempre così. Devo dire che ha un suo valore specifico, credo che mi rigeneri, di certo non mi fa male. Stavolta forse sono andato oltre il limite della decenza, soprattutto nelle ultime giornate, da domani però tornerò a darmi una regolata: andrò a correre con maggior assiduità, uscirò di più, renderò l’estate più affine a quella di un ragazzo e non di un anziano cardiopatico sulla novantina.

 

Buon Ferragosto.

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(Nell’immagine, lo shootout decisivo con il quale il Letto si è imposto sul Computer per 4-3 nel quadrangolare).

 

Grazie Londra 2012

Ha ragione David, la fine di qualcosa è sempre un brutto momento. Non c’era bisogno della cerimonia di chiusura delle Olimpiadi di ieri sera per fare questa considerazione, ma mentre guardavo la tv mi sono intristito e l’unica cosa che mi ha fatto sorridere era il commento dei giornalisti che dicevano le mie stesse cose. Non vuoi mai che finisca una bella avventura, soprattutto quando ti appassiona e ti coinvolge, e ieri avevamo un po’ tutti il medesimo stato d’animo: spettatori, atleti e giornalisti, tutti noi avremmo pagato per trasformare la cerimonia finale in quella d’apertura. Tutti avremmo voluto ricominciare da capo.

Sono volati questi 16 giorni, la cerimonia inaugurale del 27 luglio mi sembrava dietro l’angolo, invece no, tutto finito ed arrivederci al 2016 a Rio de Janeiro, fra 4 lunghissimi anni.

Il tempo vola, queste rassegne tanto belle scappano in una maniera tale che non riesci mai a viverle come vorresti, dovrebbero durare di più, assolutamente. Cala il sipario su Londra 2012, un’edizione delle Olimpiadi di grande livello per spettacolo, organizzazione e sicurezza.

La grande vincitrice è stata proprio la città che ha saputo svelarsi in tutta la sua essenza, le immagini dall’alto di ieri sera mostravano Londra nella sua veste migliore, una città magica, forse La Città per antonomasia al mondo. L’unica in grado di condensare tutto: storia, cultura, efficienza, spettacolo, divertimento, se scrutate il mappamondo un posto in grado di contenere tutto ciò non esiste, ad ogni luogo mancherà sempre qualcosa. Immaginavo che sarebbe stata un grande Olimpiade, dagli americani e dalla gente del Nord Europa ci si deve sempre fidare, non falliranno mai appuntamenti così. Ripenso a Germania 2006 e mi torna in mente la qualità della macchina organizzativa, di quanto tutto funzionò bene in un altro grande evento planetario come i Mondiali di calcio.

Abbiamo assistito a tanti momenti emozionanti, chiudiamo con un bottino interessante: 28 medaglie, una in più di Pechino, ottavi nel medagliere e con più di qualche rivendicazioni per una serie di furti di cui siamo stati vittime. Quello di Cammarelle ieri è vergognoso, ma capita anche questo, abbiamo finito bene, con qualche rimpianto anche se con un pizzico di fortuna in più avremmo avuto un bilancio medaglie trionfale.

Salutiamo Londra con gli occhi un po’ lucidi, mai come stavolta ho seguito le Olimpiadi, grazie a Sky che ha fatto un lavoro eccezionale, quasi esagerato. La prossima tappa sarà Rio, ma per me, essendo ultra eurocentrico dovrebbero fare le grandi rassegne solo in Europa, nel resto del mondo non mi trovo mai a mio agio. Sarà per gli orari, per le stagioni, resta il fatto che non mi entusiasmo mai, se penso alla cerimonia di apertura di Rio immagino colori, sfilate, gente che balla, il regista che inquadra tutti i culi possibili, un mezzo carnevale. Se penso invece alle due cerimonie londinesi non vedo chi potrà fare meglio: inimitabile la prima per riferimenti storici, grandiosa quella di ieri, chi può al mondo pareggiare l’Inghilterra nella musica? Nessuno. Tra le Spice Girls e Liam Gallagher subito dopo che cantava Wonderwall (per la prima volta dopo la scissione dal fratello) in 10 minuti mi è passata davanti la mia infanzia e la mia adolescenza, un mix di brividi, prima di chiudere con Baba O’Riley degli Who, una delle mie canzoni preferite.

Grazie di tutto Londra, davvero, grazie per aver reso l’appuntamento sportivo più democratico del mondo ancor più unico, la rassegna in cui tutti possono sognare, l’esaltazione di ciò che rappresenta il vero sport.

 

 

Frase delle serata

 

Pierluigi Pardo: “Non c’è niente da fare. La nostra vita sarebbe peggiore senza lo sport. Di molto”.

 

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Tante facce, tante storie (Parte 2)

Parli di Olimpiadi e pensi a Bolt. Era l’uomo più atteso dei Giochi, l’eroe della seconda settimana e alla fine non ha tradito le aspettative vincendo, trionfando, esagerando nei distacchi.

Bolt è impressionante per la facilità di corsa, per come allunga, per come faccia sentire gli altri impotenti. Mi ha riportato indietro nel tempo, ad Atlanta 1996, quando mi alzavo la notte per ammirare un mio idolo Michael Johnson, un altro velocista unico, quello che sembrava volare con le sue scarpette d’ora firmate Nike. Scattava, partiva forte e poi allungava, dietro, il vuoto.

Bolt, seppur su distanze diverse come nei 100 metri, è l’erede di Michael Johnson ed il pubblico lo ama alla follia.

È stata l’Olimpiade anche di Josefa Idem, un mostro di longevità, la faccia più bella dello sport. A settembre compirà 48 anni ma alla sua ottava esperienza ai Giochi ha dimostrato di essere una campionessa unica, determinata e affamata. Donna, moglie, mamma, atleta, Josefa è l’emblema del sacrificio e della passione, lo spot più bello per chi vuole credere a certe favole.

Penso a Josefa, alla sua forza, alla sua grinta e mi viene in mente anche Schwazer, l’uomo su cui puntavamo per i 50 km di marcia, colui che poteva regalarci un altro oro dopo Pechino.

Non è andata così, la sua avventura non è nemmeno iniziata. Fuori prima di arrivare a Londra: niente gare, niente podio, zero sogni di gloria. Voleva essere più forte, ha dimostrato di essere il più debole, non sulla strada ma nella vita. Ha ammesso tutto, ha pianto e ha provato a giustificarsi senza nascondersi. Negli ultimi anni aveva perso male, si era ritirato, era diventato il fidanzato di Carolina Kostner, quella che nel frattempo aveva iniziato a vincere. Complessi di inferiorità? Paura di perdere ancora? Fragilità mentale? Può essere tutto, alla fine Schwazer ha perso ogni cosa nel modo peggiore, senza correre, senza lottare, consapevole di aver ingannato.

È stata la pagina più nera di Londra 2012, una macchia scura che non deve però rovinare le imprese della nostra spedizione.

Poteva essere l’Olimpiade di Federer, alla fine lo svizzero ha portato a casa un argento al termine di una finale in cui è stato travolto dalla voglia e dall’atletismo di Murray, spinto dal pubblico di casa e desideroso della rivincita di Wimbledon. Federer poteva coronare al meglio un 2012 importante ed una carriera unica, per lui vale lo stesso discorso di Bolt e Phelps, essere testimoni di questi campioni, averli visti in diretta, è una fortuna di cui forse in molti non si rendono conto.

Essere contemporanei a certi miti è un privilegio perché le loro imprese rimarranno per sempre, sono i tre atleti più grandi di tutti i tempi nelle rispettive discipline e noi li abbiamo apprezzati un passo alla volta. Fra qualche decennio racconteremo le loro gesta davanti ad un camino, come accade nei film, perché certe facce entrano nella storia e diventano leggende, favole, e non si possono non raccontare ai propri figli.

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Tante facce, tante storie (Parte 1)

Siamo quasi arrivati alla discesa finale ma undici giorni di Olimpiadi sono più che sufficienti per raccontare storie ed imprese, vittorie e delusioni, per far emergere volti nuovi e ricordarcene altri che rimarranno impressi per sempre. Bolt, Phelps, il duo Menegatti-Cicolari, Schwazer, Josefa Idem e molti altri hanno segnato questi Giochi, ciascuno a modo proprio caratterizzando questo infinito show sportivo. Ancora una volta la piscina ha raccontato tante storie, i nostri eroi d’acqua si sono sciolti dinnanzi allo strapotere di statunitensi, cinesi e francesi. La nostra teorica portabandiera, Federica Pellegrini, ha fallito le gare per cui aveva lavorato in questi anni, due volte quinta e quella sensazione di impotenza e di non essere al top nel momento decisivo. Il suo compagno ha fallito altrettanto e questo crollo ha aumentato le chiacchiere sul loro conto e sul rapporto che li lega, il classico ragionamento extra sportivo che si abbatte su chi non riesce ad ottenere risultati.

Parli d’acqua e automaticamente pensi a Phelps, un fenomeno, l’uomo-pesce, il più grande olimpionico di sempre. Basta dire 22 medaglie, 18 delle quali del metallo più prezioso, e non c’è altro da aggiungere. Phelps ha battuto ogni record, a Pechino scalzò le imprese e gli ori di Mark Spitz che sembravano inattaccabili, a Londra si è limitato a 4 ori e 2 argenti, ha chiuso la sua esagerata carriera da campione vero, da atleta strepitoso, da autentico padrone del podio.

Ancora una volta la scherma ci ha fatto sorridere, uno sport che malgrado i trionfi continua a non “appassionare” gli italiani, forse per le regole, forse per le diverse discipline non chiare a tutti.

Il podio tricolore femminile, così come le vittorie a squadre, sono state l’ennesima riprova di un movimento che pur non avendo troppi sponsor e con una scarsa visibilità continua a dominare il mondo, in pedana il colore che governa rimane l’azzurro.  

Parlando di donne i due personaggi per cui ho simpatizzato e ho seguito con molto interesse sono state le ragazze del beach volley, la coppia Menegatti-Cicolari. Su questa disciplina si fa forse troppa ironia, soprattutto quando si parla al femminile per le inquadrature “basse” e i costumi. Credo che le ragazze di questo sport abbiano il miglior fisico dell’Olimpiade: alte, toniche, giuste, senza le spalle enormi delle nuotatrici, o i muscoli delle ginnaste.

Tralasciando gli aspetti estetici, il beach volley l’ho seguito casualmente al secondo giorno dei Giochi durante la sfida Italia-Russia e mi ha coinvolto parecchio. Essendo uno sport nel quale ciascuno di noi si è cimentato almeno una volta, ho apprezzato i movimenti, la rapidità degli scambi e la spettacolarità.

Mi è piaciuto soprattutto lo spirito delle azzurre, in due ma unite come fossero un battaglione, una squadra vera ed affiatata. Con le loro unghie smaltate di tricolore sono andate avanti fino ai quarti, fino alla sfida impossibile con gli Usa, ma per me rimangono una delle novità più interessanti e una speranza vera per una medaglia a Rio.

(continua)

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