Il frasario di mia nonna (Parte II)

A distanza di undici mesi è giusto dare un seguito a quel post che scrissi il 27 settembre dello scorso anno riguardo il colorito e inarrivabile frasario di mia nonna. Ascoltandola, imitandola e ripetendo le sue frasi per scherzo, ne ho appuntate altre che meritano di essere pubblicate e spiegate.

 

“E a me mica m’è gnente…” – Un pezzo forte di mia nonna è il rivendicare il livello di parentela, il concetto di sangue e famiglia. Se uno esce da questo circolo, la frase è automatica. Solitamente viene usata in relazione ai regali, e lo scambio è il seguente: uno le domanda se ha fatto un regalo a qualcuno e lei risponde così, mettendo l’accento sul fatto che la persona in questione a lei non è niente, che tradotto significa non è parente. Quel “gnente” alla fine è poi uno dei marchi di fabbrica del romanesco, con il passaggio del gruppo “ni” davanti a vocale che si palatalizza in “gn”.

                                                                      

“Sì, ‘n artro bono” – Gemma, colpo secco venato da fastidio e consapevolezza. La frase indica la convinzione di mia nonna nel giudicare una persona appena citata. Ovviamente il “bono” è ironico, ma l’ “artro” che precede l’aggettivo, fa capire come ci siano già molte persone di cui non è il caso fidarsi.

 

“E a me che me frega” – Reazione diretta, senza troppi giri di parole. Posizione netta che non ammette repliche. Quando dice che a lei non interessa, la discussione finisce lì, non ci sono margini. È Cassazione.

 

“Non ce se vedeva manco a bestemmià”- Onestamente, quest’ultima frase, l’ha tirata fuori mio padre recentemente, io l’ho sentita forse mezza volta e anche molto tempo fa. Non è facile da spiegare, o meglio, non è particolarmente sensata. Ovviamente si usa in situazioni di totale oscurità, buio pesto, e anche l’aggrapparsi a soluzione blasfeme non riesce a risolvere il problema.

 

“Io vorei annà sulla Luna, guarda un po’”- Eccoci dinnanzi ad una frase epica, un must di mia nonna. Questa è una delle uscite più gettonate, senza dubbio. Nasconde (nemmeno tanto) il fastidio e la disapprovazione per qualcosa appena visto o sentito. Di solito è una frase successiva a qualche polemica familiare, tendenzialmente legata a mia zia. La volontà di mia nonna è di conseguenza quella di diventare astronauta e volare verso la Luna, lì, nella sua idea di universo, potrebbe essere isolata e lontana da discussioni. Naturalmente la “r” di “vorrei” è scempia essendo intervocalica e il verbo “andare” in romanesco diventa “annà” forma apocopata e con l’assimilazione progressiva ND – NN.

 

“Je le imparano tutte”- Partiamo da un dettaglio: a Roma e in tanti posti prevalentemente del centro-sud, il concetto “Io insegno e tu impari” è talvolta ancora nebuloso. Ci sono tantissime persone che utilizzano il verbo imparare al posto di insegnare, il problema è che spesso si sente anche in ambito giovanile, diversi miei amici o conoscenti si sono macchiati (e lo fanno tuttora) di questo obbrobrio semantico e logico. Mia nonna ha qualche giustificazione in più rispetto ai miei coetanei e usa imparare nella doppia valenza. Nel caso specifico la frase è rivolta a mio cugino di sette anni che rendendosi autore di gesti inconsulti (altro che marachelle) è il bersaglio delle sue ire (spesso condivisibili), anche se poi mia nonna rigira le responsabilità a chi insegna (“impara”) certe cose al bambino.

 

“Ah guardà Matté, io non vojo dì più niente” – Questa fa il paio con la sua volontà di fuggire sulla Luna. Siamo sempre nel campo delle polemiche e mia nonna si estrae volutamente dal discorso annunciando il suo personale silenzio stampa per evitare ulteriori polveroni. Gesto chiaro e intento a spegnere gli animi. Naturalmente “voglio” diventa “vojo” per effetto della palatalizzazione di “gli” in “jj” con tanto di scempiamento in “j”.

 

“E mi cojoni” – Una delle mie preferite. In questa espressione tipicamente romanesca, e quindi profondamente del popolo, c’è tutto. Spiegarla non è facile, è parente del più trasversale “E sti cazzi” (nel senso non me ne frega niente), e una sfumatura volgare del più banale “Alla faccia!”. Può intendere sorpresa e stupore, ma in base al contesto può esprimere anche un pizzico di fastidio o la volontà di non essere coinvolti in qualcosa di non troppo conveniente per se stessi. Se dici a Roma “E me cojoni” con il tono giusto non sarai mai frainteso, mia nonna però a livello di pronuncia chiude inspiegabilmente la E in I rendendo a mio avviso l’espressione ancor più esilarante.

Il frasario di mia nonna (Parte II)ultima modifica: 2014-08-04T14:37:46+02:00da matteociofi
Reposta per primo quest’articolo