Eterna presenza

Non importa che non ti abbia,
non importa che non ti veda.
Prima ti abbracciavo,
prima ti guardavo,
ti cercavo tutta,
ti desideravo intera.
Oggi non chiedo più
né alle mani, né agli occhi,
le ultime prove.
Di starmi accanto
ti chiedevo prima,
sì, vicino a me, sì,
sì, però lì fuori.
E mi accontentavo
di sentire che le tue mani
mi davano le tue mani,
che ai miei occhi
assicuravano presenza.
Quello che ti chiedo adesso
è di più, molto di più,
che bacio o sguardo:
è che tu stia più vicina
a me, dentro.
Come il vento è invisibile, pur dando
la sua vita alla candela.
Come la luce è
quieta, fissa, immobile,
fungendo da centro
che non vacilla mai
al tremulo corpo
di fiamma che trema.
Come è la stella,
presente e sicura,
senza voce e senza tatto,
nel cuore aperto,
sereno, del lago.
Quello che ti chiedo
è solo che tu sia
anima della mia anima,
sangue del mio sangue
dentro le vene.
Che tu stia in me
come il cuore
mio che mai
vedrò, toccherò
e i cui battiti
non si stancano mai
di darmi la mia vita
fino a quando morirò.
Come lo scheletro,
il segreto profondo
del mio essere, che solo
mi vedrà la terra,
però che in vita
è quello che si incarica
di sostenere il mio peso,
di carne e di sogno,
di gioia e di dolore
misteriosamente
senza che ci siano occhi
che mai lo vedano.
Quello che ti chiedo
è che la corporea
passeggera assenza,
non sia per noi dimenticanza,
né fuga, né mancanza:
ma che sia per me
possessione totale
dell’anima lontana,
eterna presenza.

 

Pedro Salinas

 

Nella frescura d’autunno è bello

Nella frescura d’autunno è bello

scuotere al vento l’anima – che pare una mela –

e guardare l’aratro del sole

che solca sopra al fiume l’acqua azzurra.

 

È bello strapparsi dal corpo

il chiodo ardente d’una canzone

e nel bianco abito di festa

aspettare che l’ospite bussi.

 

Io mi studio, mi studio col cuore di serbare

negli occhi il fiore del ciliegio selvatico.

Solo nel ritegno i sentimenti si scaldano

quando una falla rompe il petto.

 

In silenzio rimbomba il campanile di stelle,

ogni foglia è una candela per l’alba.

Nessuno farò entrare nella stanza,

non aprirò a nessuno la porta.

 

Sergej Esenin

L’estate in ritardo. Gabriele. La mia maglia.

Attesa e rinviata, sospirata e quasi inutile, la coda estiva alla fine è arrivata. È stato un ottobre magnifico, che per certi versi rientra nella leggenda delle famose “ottobrate romane” di cui genitori e nonni spesso si riempiono la bocca raccontando di come in altri periodi questo mese, in questa città, fosse davvero caldo. Dopo un’estate che è trascorsa fra vento e nuvole, con gli ombrelli aperti e gli ombrelloni appoggiati al muro quasi in castigo, settembre aveva illuso prima di proseguire sulla falsa riga dei mesi precedenti. L’ondata di caldo c’è stata, il problema è che arrivata con scuole aperte e uffici a pieno regime, con le giornata più corte e la luce che si consuma del tutto alle 18.30. In fondo, è stata la beffa finale, il ritardo che ti infastidisce anche se a memoria non ricordo di essere mai uscito da casa in tenuta prettamente estiva (polo e pantaloncini) al 21 di ottobre e l’esperienza ha avuto un qualcosa di piacevole e stravagante. Il freddo sta per arrivare, avremo ovviamente la classica escursione termica, passeremo da t-shirt a giacche pesanti, con il cambio dell’ora che incombe, novembre vicino e le castagne che non si trovano.

 

Inevitabilmente di questo periodo semi-estivo ne ha goduto il mio fidato amico di ritorno dalla Cina. Per giorni l’ho avvisato che il clima era simile a quello delle Baleari ma lui ha comunque deciso di portarsi dietro tutta roba fuori stagione, felpe e maglioni di cotone, capi assolutamente impossibili da indossare anche di sera. Ha superato già la metà del suo soggiorno italiano, altri dieci giorni e poi farà nuovamente le valigie ma fra i tanti impegni, le numerose richieste di incontri e uscite, in qualche modo siamo riusciti a ritagliarci finora uno spazio importante. Tre volte ci siamo visti e in tutte le occasioni il tempo trascorso insieme è volato, in particolare il primo giorno, dalle 15 alle 24, senza pause, un assaggio condito da mille cose. Abbiamo replicato venerdì e sabato, sforando comodamente le tre di notte, come in passato, quando il “Ti riporto a casa” era il preludio alla chiacchierata finale, quella più ricca, la coda che suggellava tutto e si rimaneva in macchina a discutere nuovamente. È successo e non ho nemmeno avuto tempo di godermi questo sapore antico, in fondo mi è sembrato quasi tutto normale, come se fosse ieri, come se l’ultima volta non fosse stata 21 mesi prima. Parte di me vuole passare del tempo con lui, un’altra parte è restia perché creare una sistematicità di incontri in rapida successione potrebbe darmi un vago senso di abitudine che però non posso e non devo prendere sul serio. Fra dieci giorni sarà tutto un ricordo e per questo motivo mi tornerà in mente che quando era più o meno “stabile” a qualche km da casa mia, ero una persona più felice e serena, rincuorato dal fatto che mi sarei potuto rivolgere a lui immediatamente.

 

(Parentesi personale) Qualche giorno fa ho comprato su Ebay una maglietta dell’Inter anno 1993-94, sponsor Fiorucci, firmata Umbro. Ho concluso l’affare ad un prezzo molto vantaggioso e questa divisa va a impreziosire la mia collezione ultra ventennale, ma soprattutto è la mia personale risposta allo schifo con cui la mia squadra deve giocare quest’anno. Gli ottanta euro che pago ogni anno per la maglia dell’Inter per questa stagione li spendo così, comprando altre maglie dell’Inter, quelle vere, quelle con i colori giusti, quelle della storia e della tradizione, quelle che mi scaldano il cuore e mi ricordano quando la domenica era bella o brutta in base al risultato della partita. Il pigiama gessato nero e celeste lo comprate voi, io no.

fiouytv

“Si chiaman Balilla”

Nel corso della Guerra di successione austriaca (1740-1748) la Repubblica di Genova era alleata con gli Spagnoli e i Francesi contro gli Austriaci e il Regno di Sardegna. Nel settembre 1746 Genova fu presa dalle truppe austro piemontesi al comando del generale Brown e dovette accettare pesanti condizioni di resa, tra le quali la consegna delle armi e delle artiglierie.

Al tramonto del 5 dicembre 1746, mentre un drappello di soldati austriaci stava trascinando per la via di Portoria un mortaio prelevato da una postazione sulle alture di Carignano, la strada sprofondò sotto il peso del pezzo d’artiglieria, che rimase impantanato. I soldati cercarono allora di costringere la gente del posto ad aiutarli e presero a bastonare chi si mostrava riluttante. Di fronte a questa prepotenza un ragazzo raccolse un sasso e lo scagliò contro l’ufficiale che comandava il drappello gridando «Che l’inse?» («Si comincia?»). Il suo gesto fu immediatamente imitato e una fitta sassaiola costrinse gli austriaci ad abbandonare il mortaio e a darsi alla fuga. Fu la scintilla che fece sollevare il popolo genovese e diede inizio a una rivolta che scacciò dalla città gli invasori austro piemontesi.

Quel ragazzo di Portoria non è mai stato identificato con sicurezza, ma una solida tradizione vuole che si chiamasse Giambattista (Balilla) Perasso.

http://www.radiomarconi.com/Marconi/divisi/index.html