Chiudete le valigie, si torna a Venezia

La prima settimana è andata, anche se sono stati 8 giorni lunghi almeno doppio per intensità, impegni e strattonate emotive. Ci sarebbero da scrivere 4/5 post kilometrici per raccontare questo primo pezzettino di ricongiungimento, ma stasera è già tempo di vigilia, di partenza con destinazione Venezia e poi Verona.

Due destinazioni che mi riportano veramente indietro ai tempi dell’università. La laguna imbiancata per Capodanno 2008 con David e Antonio, il nostro primo viaggio; mentre la città di Romeo e Giulietta è il concerto di Ligabue dell’ottobre 2009, forse l’apice di fomento, lo zenit della Cerchia.

Domani si parte in treno, ma con Italo e non Trenitalia, in due e non in tre, senza il pandoro Bauli di Antonio residuo delle feste ma con il trolley da viaggiatore imborghesito.

Sarà un’altra pagina per arricchire questa avventura, questo viaggio. Ero a Toronto quando fantasticavo sul fare un giorno queste cose, camminavo su Dundas con Made in Italy appena uscita di Ligabue e pensavo a “Venezia che affonda, bellezza che abbonda…”

Chiudete le valigie, si torna a Venezia!

P.S. Per chi viene dal Venezuela, Venezia ha un valore speciale. Pensate all’origine del nome, se fate qualche ricerca Google vi spiegherà il perché…

It is time to go

“Se la curiosità è una emozione, allora io sono emozionatissimo”.

Da giorni ho coniato questa espressione e l’ho ripetuta diverse volte per descrivere la situazione e questo ricongiungimento. C’è un grande mix di sensazioni e pensieri naturalmente, anche se penso di aver vissuto l’avvicinamento nel modo più sereno.

Il 27 agosto all’aeroporto di Bogotà sapevo che non era un addio e in questi cinque mesi non ho mai cambiato idea. Era un arrivederci e così è stato, anzi, così siamo riusciti a renderlo.

Certo, raccontata in questi termini sembra facile, ma non lo è stata. Mai ho sottovalutato la distanza, anche se a fine ottobre, dopo due mesi, ho iniziato ad accusare una certa fatica, in quel momento però abbiamo anche cerchiato una nuova data sul calendario, e da lì in poi è iniziato un countdown molto lungo ma che almeno ci ha rianimati, consapevoli di correre verso un obiettivo comune.

Non è stato semplice, ma siamo stati bravi. In un mondo in cui la gente impazzisce per un messaggio visualizzato su Whatsapp al quale non si replica immediatamente, vivere per cinque mesi con 7 (e poi 6) ore di fuso, limitazioni lavorative, orari scomodi e mai sovrapposti in qualche modo, è davvero dura, ma noi siamo andati oltre.

Rispetto, fiducia, forza. Le energie mentali spese sono state naturalmente tantissime, mai siamo stati determinati a venirne fuori nel modo migliore, insistendo sempre.

Un traguardo è stato raggiunto, un traguardo che però dall’altro lato recita la scritta “Start”, un nuovo inizio, un altro inizio direi. Ci sarà molto da scoprire e questa è la meraviglia che genera la mia curiosità menzionata all’inizio. Comincia veramente un nuovo campionato che ad oggi, biglietti alla mano, sarà di tre mesi, un campionato che dura come quelli di GoalUnited, la speranza non nascosta  però, è che possa essere l’anticamera di qualcosa di altro, possibilmente di più duraturo.

Ricordo ogni momento in cui si è parlato di questa ipotesi, di questo grande piano di riunirci a Roma. Sembrava a suo tempo, febbraio scorso, una cosa molto grande, forse fin troppo, eppure con il tempo l’idea non è mai svanita ma si è solo rafforzata. Abbiamo disegnato le nostre traiettorie anche per arrivare a questo appuntamento.

Ricordo la prima volta che ne parlammo, a casa mia, vicino ai fornelli in attesa di buttare la pasta, o da Burgerator a Kensigton Market un sabato sera.

Ripenso anche alla conversazione a maggio, seduti al Cineplex di Dundas Square guardando Yonge Street, oppure quella volta che a Zipaquira camminavamo per guadagnare la stazione dei pullman per tornare a Bogotà.

Non sono state parole buttate, non sono stati discorsi fatti per fantasticare. Io ci credevo e lei evidentemente pure, forse più di me considerando che è la persona in procinto di muoversi.

“Bisogna crederci e ci dobbiamo provare” ho detto spesso, era doveroso darci una possibilità diversa, su un campo differente e tutto ciò sta per compiersi.

Da domani inizia un altro viaggio, è tempo di andare.

“Quando tutto inzia”

Non avevo finito nemmeno di leggere il libro che già smaniavo per scrivere questo post. Una specie di recensione, più che altro una nota di disappunto.

“Quando tutto inizia”, l’ultimo libro di Fabio Volo pubblicato lo scorso novembre, è veramente poca roba. Ma pochissima roba aggiungerei. Sarei tentato di scrivere che è un pessimo libro, ma penso che in questo caso incida anche un po’ l’aspettativa ed il fatto di aver letto tutti i suoi romanzi precedenti.

Senza ombra di dubbio questo libro è il peggiore dei sette pubblicati in questi anni, non credo sia una mia opinione personale anche perché facendo un giro sul web ho percepito lo stesso sentimento.

Nel corso degli anni non mi aveva entusiasmato “Le primi luci del mattino”, che a mio avviso ha un finale troppo breve e in parte fuori luogo come quest’ultimo. Al tempo stesso però ne avevo apprezzato la scelta, rischiosa indubbiamente, di scrivere il romanzo in prima persona ma in qualità di donna, un ruolo non semplicissimo, nonostante l’espediente del diario-racconto ad agevolare l’impostazione narrativa.

Questo ultimo romanzo è un lunghissimo racconto di nulla per circa 100 pagine. Sbrigate le pratiche dell’introduzione, si passa a descrivere l’incontro fra il protagonista single e una donna sposata e con un figlio. Nasce un rapporto quindi clandestino che si sviluppa solo ed esclusivamente fra le mura dell’appartamento di lui, un rapporto in cui non emerge nulla. Molta retorica voliana, che in altri contesti si manda giù senza troppe storie, qui molto meno essendo la trama pochissima roba.

I personaggi raccontano il nulla, non si va mai in profondità, tutto rimane superficiale, rari flashback evidenziano qualcosa di interessante, i dialoghi sono abbastanza elementari e cadenzati dalle performance sessuali e immancabili dei due.

Una aridità narrativa che mi ha stupito molto onestamente: quando ho scollinato pagina 100 mi sono domandato cosa avessi letto fino a quel punto e la risposta è stata un semplice silenzio, non avendo nulla da dire. La speranza che il finale potesse regalare qualche spunto interessante è stata vanificata rapidamente. Un salto temporale in avanti di alcuni anni, il protagonista che è tornato ovviamente a galla dopo la delusione generata dalla storia finita male con l’amante sposata, la quale a un punto, unico snodo del libro, decide che non se la sente di mollare tutto per lui, dopo che gli ha sentito proferire pubblicamente il suo coinvolgimento sentimentale.

Un libro veramente piatto, in cui ho rimpianto quei Natali in cui il libro di Volo regalato mi accompagnava puntualmente dopo le serate di festa e tombole.

La sensazione è che questo romanzo sia veramente figlio dei vincoli contrattuali. Conseguenza della Mondadori che ti ha messo sotto contratto e si aspetta da te un libro per Natale 2017 come successo in tanti altri precedenti. Un libro scritto perché quello dice il contratto e non si può far altrimenti.

Una imposizione che ti obbliga a tirare fuori qualche idea, scarna e tirata per i capelli, a impostare una storiella basica con qualche spunto da vecchi scritti precedenti e chiudere tutto in maniera fugace.

Male, veramente male, questo “Quanto tutto inizia”, 19 Euro abbastanza buttati ed un grossissimo passo indietro per un autore che ho sempre letto con grande piacere perché lo ritengo capace di parlare e raccontare vicende con un tono gradevole ed un lessico adatto.

L’ho sempre apprezzato, questo volta però hanno avuto ragione, almeno per una volta –aggiungo- i suoi detrattori, quelli che per pura invidia, o senza aver mai sfogliato un suo romanzo, lo bastonano da anni a prescindere.

3 anni fa

Tre anni fa era il mio primo giorno di lavoro a Toronto, ma soprattutto iniziava realmente la mia nuova avventura canadese. Tre anni di lavoro nella stessa azienda non sono pochi quando ne hai 30, e non sono pochi considerando questa durata in un mercato lavorativo come quello nord-americano, fatto di continui spostamenti e challenge, e non sono pochi nemmeno se traslati nella realtà italiana per ragioni ben diverse.

Tre anni, ma a me, ovviamente, sembrano molti di più, indubbiamente per la quantità di cose fatte e imparate, così come per il numero di persone incontrate e situazioni vissute.

Ho imparato moltissimo, ma questo è quasi naturale in certi contesti e soprattutto dopo un po’ di tempo. Ho più che altro approfondito e sperimentato una quantità davvero notevole di idee.

Da qualche mese, grazie anche a quel 13 gennaio 2015, sono tornato a Roma, a fare il corrispondente. Era un po’ il mio pallino ed un obiettivo che vedevo lontano ma che ho sempre tenuto a mente fin dal giorno in cui sono partito.

Ho avuto finora la fortuna di far parte di una azienda veramente speciale, dove rispetto e collaborazione sono aspetti basilari e mai di contorno. Dove c’è un occhio di riguardo alla parte umana, a quanto sei capace sicuramente, ma in particolar modo a chi sei. Al modo in cui ti sai rapportare anche con gli altri.

Ho imparato molto e da diverse persone, con una costante però: come già capitato in passato, alla fine ho sempre imparato da chi non si è mai messo nel ruolo di colui che voleva insegnarmi qualcosa per forza.

Ho avuto la possibilità di fare qualche viaggio, di vedere e vivere davvero un mondo diverso. Se la crescita professionale è stata grande, quella umana ha superato qualunque altro elemento. Mi auguro davvero infatti che in questo 2018, nonostante la solitudine e l’irregolare vita del corrispondente avrò altri insegnamenti da apprendere.

Ho sempre avuto un rapporto piuttosto conflittuale con Toronto, a volte forse esagerato, anche perché non vedevo da un punto di vista ciò che mi stava dando sotto traccia, di certo, negli ultimi tempi quell’astio si è tramutato, e oggi, forse anche grazie alla lontananza, posso rivalutare e vedere in modo diverso alcune angolature.

Tanto mi è stato dato, abbastanza credo di aver restituito a chi mi paga ogni 15 giorni. Continuo a impegnarmi sempre più perché ho ricevuto in dono la possibilità di fare il mestiere che desideravo e non passa un giorno che non mi ricordi questo, perché nella mia testa non deve assolutamente passare il messaggio che a un punto sia normale, scontato o quasi dovuto.

Ho avuto molto e tante cose a volte non si possono nemmeno spiegare, ma di regali ne ho avuti abbastanza, come quello che è in arrivo, roba grossa, importante.

Ecco, quella sera del 12 gennaio 2015, la mia prima sera in Canada, davanti a un filetto di carne con fagiolini bolliti, a casa Garin, non avrei mai immaginato tanto.