That’s all for tonight

Eh insomma caro Catto, le Olimpiadi sono finite, il campionato è ricominciato, settembre dista meno di 10 giorni, l’estate is going to come to the end, tutto insieme quindi.

Sembra ieri quando ti mandavo la foto con il countdown alla cerimonia di chiusura dal sito de La Repubblica e ironizzavamo sul senso di angoscia che metteva. Anche Rio è in archivio, e come sempre le Olimpiadi ci ricordano la bellezza dello sport nel suo senso più profondo ed esteso, ma anche quanto siano fantastiche manifestazioni così che non girano necessariamente intorno al calcio cannibale.

Calcio, appunto, ricomincia la Serie A e di conseguenza è iniziata un’altra via crucis. Abbiamo perso, e come nel 2000 e nel 2011, l’esordio negativo non mi ha stupito, anzi. Tutto normale, il calcio è imprevedibile, ma le cose fatte male raramente possono avere delle conseguenze positive.

E quindi, mancano 37 tappe e sarà come camminare sui carboni ardenti. Ti spiego una cosa ora: nel calcio, se vuoi vincere o almeno essere realmente competitivo, servono due cose, soldi e competenza. Ecco a noi attualmente mancano entrambe. Sul discorso economico ci sono decine di ipotesi, i cinesi hanno i soldi, pero ci sono i debiti e il Fair Play finanziario, e poi dicono che si compra, ma Zanetti smentisce, e forse bisogna vendere prima di comprare. Che ci capisci con questi…

I denari contano, ma anche la competenza è fondamentale. I soldi bisogna saperli spendere ad esempio, e certe scelte fatte male senza criterio, le paghi, tipo via Mancini per De Boer a 14 giorni dall’inizio del campionato. Non voglio lasciarmi andare al “Moriremo tutti” ma io la vedo veramente magra, ma tanto magra. Temo quasi come nel 2000 e 2011, in entrambe le occasioni iniziammo con una sconfitta e non ci qualificammo per la Champions, un’ipotesi che potrebbe essere veramente disastrosa qualora ricapitasse.

Ma vabbè Catto, scusa se mi sono preso questo spazio per fare il punto sportivo, ma dopo l’addio di Mancini ero talmente atterrito (con ragione, pare…) che non avevo scritto proprio niente.

Qui invece l’estate si avvia alla fine con un passo inevitabilmente più rapido di quello a cui sono abituato o a quello che vedrai te. E non sai quanto ti invidio guarda.

È stata una estate ricca di episodi, ma soprattutto carica di insegnamenti. Tante frasi sentite nel passato dal mio caro amico di Hong Kong si sono rivelate vere. Molti passaggi mi hanno riportato alla mente vecchie considerazioni che sono emerse chiaramente. Beh, aveva ragione. Aveva ragione nello spingermi in un certo modo e a vedere le cose con una prospettiva diversa.

Oh, ti devo dire che l’idea di andare a Detroit mi solletica, la trovo molto adatta a noi. Per me è un po’ più Sofia che Atene. Sarebbe bello soltanto per dire un giorno: “Ma te ricordi quando siamo andati a Detroit in pullman? Be che brividi…”

Per riallacciarmi all’incipit invece, terminati i due eventi principali come gli Europei e le Olimpiaidi, o la GMG di Cracovia per quanto mi riguarda a livello lavorativo, presumo che l’ultimo evento grosso sia proprio il tuo sbarco a queste latitudini, per quanto sia ancora abbastanza lontano sul calendario.

Qui intanto come anticipavo nel post precedente, è iniziato una sorta di nuovo percorso. Senza due colleghi e soprattutto due dei tre miei più cari amici, non sarà facile, di certo non lo sarà in queste primissime battute.

Più passano le settimane, che continuano a volare letteralmente, e più maturo una considerazione importante. Alla fine vedi, non credo sia nemmeno tanto un discorso di soldi è proprio qualcosa di motivazionale. Diciamo così. Alla fine il mio tempo sta per finire, e lo avevo previsto soprattutto in prospettiva, inteso come in proiezione di qualche mese. Più che altro sono le motivazioni che stanno venendo meno e quelle non ti tornano nemmeno con i soldi. Sono sempre stato così, a me piacciono le cose che mi spingono a dare il meglio, ad impegnarmi, ad andare oltre. Quando non succede più, è tempo di andare, significa che il ciclo, qualunque esso sia, è terminato.

Era così all’università al termine della triennale, era lo stesso discorso alla fine della magistrale e dopo due anni sta succedendo anche qui. È un po’ come quando dopo che hai giocato a lungo con un videogame sei talmente bravo che i livelli sono esauriti ed il gioco ti annoia. In qualunque modo anche qui è ormai così. Tutto quello che dovevo fare l’ho fatto, quello che dovevo imparare l’ho imparato, non ci sono margini per fare tanto altro, o tanto più, ma soprattutto qualcosa di diverso.  Mi annoio molto ultimamente e cerco qualunque cosa pur di tenermi impegnato. Ho iniziato a scrivere delle cose carine che filmerò a breve ma insomma questa non può essere la strada a lungo. Quando divento troppo padrone della situazione mi affloscio perché mi manca lo stimolo e la motivazione, è cosi.

Per cui, sommando questo fattore che sta prendendo il predominio a tanti altri dettagli più o meno rilevanti, il quadro è questo. Non devo tenere fede a parole del passato, ma è solo che la sensazione è che il viaggio stia per finire anche perché non può dare proprio tanto di più.

Rimane il fatto che ho spinto forte questi mesi, da quando sono tornato da Roma diciamo. Non è un caso che la scorsa settimana mi sono svegliato con una frase in testa che non so come il mio cervello, un attimo prima di aprire gli occhi, sia andato a trovare in una cartella lontana. Il file su cui ha cliccato la mia mente è una frase che dice Flavio Tranquillo nella finale di Eurolega del 1998 Virtus – Aek Atene prima di due tiri liberi di Lasa a pochi minuti dalla fine, ossia: “È un finale che sarà sicuramente drammatico perché la Virtus ha speso il non spendibile in questi due giorni”.

Il fatto che nel mio cervello sia balenata questa frase non è ovviamente casuale, ma perché so bene che ho speso il non spendibile in questi mesi, soprattutto dal punto di vista fisico e mentale, di quello economico me ne frega relativamente poco.

Che altro posso raccontarti? Beh che ho rimediato una lampada nuova e l’aspirapolvere per casa, una microscopica consolazione della dipartita e del trasloco dei miei amici. Il prosciutto San Daniele intanto è in offerta da Metro a 2,69 dollari fino al 24 agosto, la bicicletta pare che vada bene, sabato sono andato in una bella spiaggia sul Lago Eire due ore abbondanti di macchina da Toronto, venerdì invece ho avuto il barbecue con i colleghi di lavoro (ti ricordi sì che sto paese è fondato sul barbecue?) e poi tappa fissa nella bolgia del Crocodile come ogni venerdì.

E niente, questo è quanto. That’s all for tonight, take care and God bless caro Catto.

Tra beffe e coincidenze. “Perché noi siamo il Torino”

Volevo scrivere questo post ma non sapevo da dove cominciare, o meglio non sapevo come impostarlo, tanto ero consapevole che sarebbe stato criptico e di difficile interpretazione, eppure cercavo lo spiraglio giusto comunque. Ci pensavo fin quando oggi pomeriggio, intorno le 5.30 sotto la metro, alla mia fermata di Dundas, controllo la mail e vedo un messaggio da parte del ragazzo del Basso Lazio. Il nostro vagabondo, il nostro scalatore che va come un etiope e macina km.

Mentre scorrevo le sue parole sul mio display, sorridevo per svariate ragioni e qualcuno si sarà anche domandato il perché del mio divertimento ma non ho badato troppo alle mie espressioni facciali e mi sono riletto la mail di David. Ridevo per alcune sue frasi, e poi per una serie di coincidenze assolutamente folli. Ho smesso da tempo di credere che esistano delle coincidenze, almeno io continuo a sostenere che mi capitino cose abbastanza strane e non perché presto attenzione a sfumature e dettagli, ma proprio perché sono talmente grandi che non posso non coglierle.

Pensavo quindi al Catto che gioca la sua partita mentre io disputo la mia, sui rispettivi percorsi ci hanno tagliato la strade due canadesi, piuttosto normale nel mio caso, molto meno nel suo.

Le considerazioni che facciamo entrambi a fine giornata sono uguali, e le pensiamo senza rivolgersi all’altro, ignari completamente di quello che sta succedendo dall’altra parte del mondo. Il tutto si consuma con un finale da Torino. E quindi con quella amarezza e quel fastidio, quel senso di beffa strano, come quando dici “Ho visto tutto, che altro può succedere?” E invece devi fare marcia indietro e aggiornare il tuo quadernone di situazioni al limite dell’improbabile.

Tutto questo succede in una settimana in cui io ho cambiato la foto copertina su Twitter mettendone una che a me fa molto ridere perché la trovo ironica, amara ma vera: “La vita è come Juventus – Torino. E tu tifi Torino”. Una settimana in cui decido di cominciare a leggere il libro regalatomi proprio da David su Gigi Meroni…che il mio amico vergò nella prima pagina con una bella dedica molto calzante. Siamo il Torino. E se sei il Torino, aspettati situazioni al limite del paradossale e con colpi di scena che non ti agevoleranno.

D’altra parte, appunto, sei il Torino, e quindi, che cazzo pretendi?

NYC16

Valla a spiegare New York. Ci provo mentre aspetto di lasciarla, con l’orario di partenza che continua a cambiare e a essere posticipato, ad ora, 20.05 di Manhattan dovrei partire alle 22:01, oltre due ore di ritardo sulle 19:50 previste.

Me la sono goduta più di quanto immaginassi e l’ho apprezzata e vissuta in modo diverso rispetto ad undici anni fa. In primis perché vivo da queste parti ed essere abituato a questo contesto aiuta, poi perché era la seconda volta e quindi non c’era l’angoscia di volere e dover fare tutto necessariamente, ma un senso di serenità diverso, un vivere il tempo in modo differente e più rilassante. Di certo avere anche 29 anni (quasi) e non 18 e aver visto tanto altro nel frattempo, in questa decade abbondante , ha il suo peso. Essere da soli è sempre uno status speciale nei viaggi, a New York è relativo perché c’è talmente da fare e vedere che a volte ti dimentichi con chi stai, io ad esempio non mi sono annoiato per un singolo secondo, cosa che in qualche modo è sempre avvenuta in viaggi in solitaria del passato.

Onestamente ho pianificato tutto giorno per giorno, lasciando spazio a improvvisazione e cambi, eppure, malgrado tutto, ci sono stato dentro in maniera impeccabile, come non mai. Ho girato per la città con grande autorità, non so se sia il termine adatto ma mi viene questo, dopo poche ore tante cose mi sono tornate in mente e con la mappa davanti di Manhattan tutto mi è sembrato molto più familiare di come invece lo ricordavo.

New York è un mondo indubbiamente a parte, non paragonabile e non possibile da mettere in categorie. A me, onestamente è l’unico posto al mondo che esalta veramente, come niente e nessuna altra città. Times Square di sera ti travolge sempre come fosse la prima volta e ci sono passato in continuazione, come un bambino attirato dalla luci del Luna Park, perché tante luci così le vedi solo in quel pezzo di Manhattan, intorno la 42th.

Io non so cosa abbia di speciale, forse il clima, l’aria che respiri, il fatto che sai di essere al centro del mondo, come quando cammini per Wall Street e sai che lì si muovono i soldi che fanno letteralmente girare il mondo. E poi non lo so, vedi i gay che si baciano per strada, i matti sotto lo metro, i topi che camminano sui binari, gli afro che ballano per conto loro, le bandiere a stelle e strisce ovunque, negozi di una grandezza a volte inutile e ingiustificata. Sì, è tutto big ma non è solo quello. È il futuro, ma nemmeno tanto, l’evoluzione, o il voler fare le cose in modo semplicemente diverso.

Ho camminato tanto, ma il bello do NYC è proprio quello, fare su è giù, e la Fifth Ave rimane un piacere calpestarla. È stato bello attraversare Central Park all’imbrunire, con un po’ di neve qua e là, vedere St Patrick di notte e di giorno, tornare sul ponte di Brooklyn e camminare ammirando lo skyline della City. Ho visto gente pattinare al Rockfeller center, con tanto di proposta di matrimonio nel mezzo della pista all’improvviso. Ho sentito uno russare chiuso nel gabinetto di un bagno del Columbus Circus Mall, ho incontrato Cristina, serba di Belgrado che vive a Copenaghen e ce l’ha con i danesi, ho scoperto il Whole Food Market che è stata la mia svolta alimentare. Una salvezza unica. Ho girato 5 giorni con gli occhiali, sempre e comunque per non perdermi nulla, ho vissuto insomma NYC in HD.

Ho incontrato anche il frocio cinese. Sì, lo voglio definire così, le cazzate e l’ipocrisia la lascio agli altri. Fosse stato gentile avrei detto gay, avendo rotto i coglioni lo chiamo frocio. Perché ha dato fastidio quando era uno sconosciuto e non mi ha fatto godere il Guggenheim come volevo, è diventato pesante quando ha dichiarato la sua omosessualità gratuitamente. Dopo che mi ha stretto il braccio, l’ho guardato e ho pensato solo: “Rifallo ancora e ti faccio male. Aspetto che prendi lo zaino, ti aspetto fuori e ti lascio per terra”.

Già il fatto che dire “Parlare del Papa è noioso” dopo 5 minuti che dialogavamo me lo aveva fatto etichettare come inopportuno, andando avanti è diventato un cagacazzi. “Non so se tu sei gay”, “No, non lo sono”. A mai più, anche perché la mail che mi ha chiesto prima di dichiararsi è ovviamente sbagliata, quindi scrivi pure che ti risponderò sicuro.

New York è anche shopping, non necessariamente quello dei grandi negozi ma soprattutto quello dei posti come il Century 21st o Macy’s. Mi sono comprato di tutto, anche perché cose del genere a prezzi di questo tipo a Toronto te le sogni. Un orologio, una cravatta, due maglioni, due camicie, le cuffie (credo il paio numero 48), tutto il possibile insomma anche perché una delle peculiarità di NYC è quella di farti credere che tutto sia possibile, tutto alla portata.

In qualche modo è il posto dei desideri. E non a caso, l’ultima sera, camminando per la città con un po’ di musica in sottofondo, cosa che faccio dappertutto per godermi il posto con la base che decido io, è partita random  “Il meglio deve ancora venire” mentre lasciavo il Madison Square Garden e mi dirigevo verso Times Square.

E io c’ho voluto credere, almeno per qualche secondo, anche perché se non sogni un po’ nella città dei sogni dove altro devi farlo?

 

A presto NYC,  a presto…

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Fermare le lancette

Quell’orologio lo aveva comprato per le vie del centro di Cagliari, un pomeriggio di agosto di due anni prima. Faceva caldo, era umido e dopo un gelato si era fermato a guardare la vetrina di un negozio, piccolo ma pieno di tutto, non solo orologi ma anche collane, perle e brillanti. Il cinturino rosso, accompagnato da lancette blu ed un quadrante bianco, aveva rapito la sua attenzione e così dopo aver ispezionato tutta la vetrina decise di entrare mentre il suo amico, terminata una granita alla menta, era ancora impegnato in una conversazione telefonica seduto al bar.

Poche battute, chiese di vedere l’orologio dal vivo e senza troppe esitazioni tirò fuori la carta di credito e lo comprò. Un acquisto come tanti, anche se non spendeva mai troppo in vestiti e scarpe, però gli orologi avevano su di lui un particolare influsso, un ascendente strano da spiegare. Quell’orologio fu l’ultima cosa che si comprò prima di incontrarla. Due settimane dopo, di ritorno dalla vacanza, in una classica quanto scontata festa di amici, amici in comune ovviamente, la vide.

Dopo due anni, mentre si preparava per uscire e passarla a prendere, quando aprì il cassetto andò dritto su quell’orologio. Si stupì per non averci pensato prima, si sentì quasi in colpa per aver mancato quel dettaglio nell’attentissima preparazione di una serata che per troppi motivi non poteva essere come nessun’altra.

Sì, perché nel cassetto che aveva aperto c’era l’anello. L’anello per lei. Lo prese ed un attimo dopo la coda dell’occhio visualizzò l’orologio. Lo indossò, si infilò la preziosa custodia contenente l’anello nella tasca sinistra, spense la luce della sua camera e uscì di casa.

Nel tragitto verso il ristorante, un posto che dominava la città regalando una panoramica sensazionale, cercava di nascondere in qualche modo le sue emozioni. Lei non sapeva nulla e soprattutto, conoscendola molto bene, aveva capito che non aveva intuito l’epilogo di quella serata. Celò meravigliosamente la sua adrenalina, pur sentendosi sempre un po’ in difetto, aspettava come non era mai successo prima in vita sua quel momento fra la fine del gelato e il momento di chiedere il conto, ma intanto, ancora non avevano parcheggiato la macchina.

L’Imago Roof Restaurant era in cima alla scalinata di Piazza di Spagna e accanto all’imponente chiesa di Trinità dei Monti, erano tornati lì perché poche sere prima erano stati invitati ad una cena di lavoro dei colleghi di lei ed erano rimasti ammaliati dal posto, al punto tale da volerci tornare il prima possibile.

Mentre le luci di fine settembre iniziavano a far brillare Roma, presero posto a tavola e ordinarono senza tergiversare un attimo la specialità del ristorante, una delle delizie che avevano mangiato nell’occasione precedente.

A lui non tremava mai la voce, nemmeno la mano, o i polsi come recitava il detto popolare, eppure nei momenti che lo conducevano ad estrarre dalla tasca quell’anello e a proferire un paio di frasi sulle quali in fondo non poteva troppo fantasticare, sentì un lungo e profondo brivido pervadergli ogni centimetro del corpo.

Se la cavò più che bene e rimase fisso sugli occhi di lei, come se tutte le altre parti del busto fossero sparite. La scrutò per alcuni secondi ma gli sembrarono molto più lunghi, eterni, quasi cinematografici. Il tavolo riservato, e voluto fortemente in una zona meno popolata e con una vista ancor più esclusiva, gli permise di non aver occhi indiscreti su di lui, perché quelli di lei, iniziarono a grondare lacrime mentre lui continuava a battere il piede destro come aveva sempre fatto. Un vizio, un tic, un qualcosa che insieme al guardare ripetutamente l’orologio senza poi mai vedere l’ora, era un marchio di fabbrica che lo contraddistingueva, un qualcosa di molto suo.

Al sì, ai baci e agli abbracci, al conto rimandato due volte perché non c’era la lucidità per chiederlo e nemmeno ovviamente la voglia di interrompere una tale magia, gli tornò in mente il suo orologio, messo per l’occasione, indossato per un motivo speciale.

Quando dalla termosfera nella quale orbitavano scesero quanto meno sulla troposfera, a 15 km dalla Terra, si slacciò il cinturino e con un gesto netto e deciso tirò verso destra la rotella. Fermò le lancette sulle 22,42 e appoggiò delicatamente l’orologio sul tavolo mettendolo in direzione di lei.

Lo guardò senza aver capito bene il gesto e gli chiese il perché, la fissò e le disse semplicemente che non poteva fermare il tempo, almeno non poteva fermare quel momento e quelle emozioni, l’unica cosa che poteva fare era arrestare le lancette di quell’orologio comprato poco prima che il destino li mettesse sulla stressa strada. “Rimarranno bloccate su quest’ora, per sempre” le disse, quando lo vedremo ci ricorderà questo momento, perché da ora in poi il tempo che avremo davanti sarà solo nostro e non più di ciascuno di noi.

Erano le 22,43 a quel punto, e Roma emanava un profumo di vita che non avevamo mai sentito prima.