Roberto

Nei tanti fatti di cronaca che hanno riempito le pagine dei giornali in questi giorni c’è stata una vicenda che mi ha colpito in modo diverso, per certi aspetti in maniera diretta. Il caso della scomparsa di Roberto Straccia ha catalizzato l’attenzione dei media da metà dicembre, dal giorno della sua inspiegabile scomparsa sino a qualche giorno fa. La scorsa settimana il suo corpo è stato ritrovato sul litorale di Bari, a circa 300 km dal punto in cui era misteriosamente sparito, nei pressi del lungomare di Pescara. Ancora non si riesce a capire cosi sia realmente accaduto: non si sa se Roberto sia stato ucciso, se si sia suicidato, non si sa nulla. Le indagini non hanno ancora chiarito la tragedia, anche se nelle ultime ore si fa largo la pista che possa essere stato narcotizzato e quindi gettato in mare ma è una ipotesi ancora da dimostrare. Il ritrovamento del suo cadavere, il riconoscimento degli abiti da corsa con cui era stato visto per l’ultima volta, oltre alle chiavi e al i-pod identificate dalla madre hanno certificato la morte del ragazzo ventiquattrenne spegnendo ogni speranza. Credo che la vicenda mi abbia intristito particolarmente anche per una serie di punti in comune che mi hanno avvicinato in modo ideale a questa triste storia. Dai racconti degli amici e dalla testimonianze dei parenti Roberto è stato dipinto come un ragazzo semplice e tranquillo, prossimo alla laurea, uno che non disdegnava una sana corsetta e che come me non si portava dietro il cellulare mentre correva perché un peso del genere nel k-way non fa mai piacere. Mi ha intristito tutto: il ritratto di un giovane che era uscito per fare un po’ di sport come chissà quante altre volte e che non è mai più tornato. Ho pensato molto a Roberto Straccia in questi giorni, soprattutto domenica scorsa quando sono mi sono messo le scarpe da running, pensavo a lui e non poteva non pensare a me.