Basta poco

 

L’immagine che mi rimarrà in mente di quest’estate è una in particolare, apparentemente inutile ma molto simbolica: metà luglio, io che corro una domenica nel tardo pomeriggio da solo, all’altezza dell’incrocio fra Via Columbia e Via Cambridge, davanti la mia facoltà, penso “Eppure qualcosa deve succedere, un brivido, un qualcosa…per forza!”.

È un’istantanea curiosa, ma ricordo perfettamente questo pensiero e quel momento, racchiuso in una considerazione che era figlia di un’estate fino a quel punto inconsistente, vuota e arida di tutto.

Il punto però è che a volte le cose succedono e noi non siamo completamente gli attori di ciò che capita, molte cose sfuggono al nostro volere, spesso le intenzioni non corrispondono ai fatti e viceversa. Tutto quello che infatti è avvenuto dopo, dal 27 agosto in poi, non era minimamente preventivabile a Ferragosto, figuriamoci a metà luglio quando il sole batteva e io correvo in una desolata Tor Vergata.

Fino a lunedì 26 agosto, giorno in cui ho comprato il biglietto del treno per Milano, la sensazione chiara era quella di un’estate così insipida che avrei ricordato in eterno per il suo essere stata inutile.

Fino a quel giorno avrei potuto raccontare di essere stato a Roma, di non aver fatto ne viaggi o vacanze, di essere andato 7 volte al mare, di essere uscito poco, di non aver trovato lavoro, di aver rivisto quasi tutte le 5 serie de Il Testimone di Pif, lo speciale in 8 puntate sui Club Dogo e di aver rivisto tutta la prima edizione di MTV Trip, anno 2000, quando Luca e Paolo erano due semi sconosciuti che viaggiavano per l’Italia con un carro funebre ma a me facevano già molto ridere.

Avrei ricordato l’estate 2013 così, in un modo oggettivamente piatto e senza clamori, tra la sensazione forte di aver perso del tempo e la convinzione che qualcuno me lo avesse fatto sprecare non dandomi segnali di alcun tipo a livello lavorativo.

Sarebbe finita così se una serie di cose non fossero successe per ricordarci che il destino ha veramente più fantasia di noi, e di come certe trame nascano da lontano, magari da David a Dublino che si ricorda di dare il mio indirizzo mail a chi gli avevo detto. Oppure al blog e alla sua funzione Contatta l’autore che mi scuote in un sabato sera di inizio agosto mentre ero a cena da Ivo a Trastevere. Sarebbe stata un’estate diversa se non avessi deciso di rientrare per 24 striminzite ore su Facebook per mandare un messaggio ad una persona che oltre tutto non era nemmeno nei miei amici.

Insomma, se non ci fossero state tutte queste cose, sommate poi inevitabilmente al fomento e alla voglia di farsi trascinare dalle onde, starei qui a parlare di tutt’altro.

Invece no, perché poi le cose succedono e quello che auspicavo sudando mentre correvo a Via Columbia in fondo è capitato, e basta veramente poco per cambiare completamente il giudizio su un’estate, per toglierle l’etichetta “Pochi Brividi” e metterle quella con scritto sopra “Montagna di Brividi”. Basta poco. Un amico, una mail, il blog, Facebook e una doppia dose di entusiasmo e follia ben mescolate fra loro.

 

“Puoi svegliarti anche molto presto all’alba, ma il tuo destino si è svegliato mezz’ora prima di te”.

 

(Proverbio africano)

 

 

estate, riflessioni, 2013, svizzera

(Lugano, sabato 31 agosto, a mangiare le costine)

“Chi tifa David Spera, non perde mai”

 

“Non oso immaginare cosa sarebbe la vita senza Il Catto”. Questa è una delle considerazioni che faccio più volte, e mi domando come sia riuscito a vivere dal 6 marzo 1987 fino al 2 ottobre del 2006.

Intorno al nostro amico, personaggio funambolico e inarrivabile, si è creata negli anni una sorta di letteratura di cui io sono stato uno dei precursori, mentre Alfredo ne è diventato uno dei maggiori esponenti. Una religione, un dogma, un ideale da difendere, il simbolo di una Fiuggi che ormai non c’è più, David Spera (non sbagliatevi mai a chiamarlo Davide) è un sacco di cose. E poi, tifiamo tutti per lui, solo per lui, qualunque cosa faccia, perché l’affetto va al di là degli egoismi: se penso che in 9 mesi siamo stati per due terzi lontani a migliaia di kilometri mi domando come abbia fatto a sopravvivere.

Un’istituzione, uno dei grandi personaggi della facoltà, non è un caso se io e lui siamo all’interno della clip dell’Università di Tor Vergata. A differenza degli altri io ho avuto la fortuna ed il privilegio di viverlo da amico, collega e compagno di viaggio, il contesto in cui si esalta maggiormente.

Sarà che condividiamo tante cose: gli studi, gli interessi e quel senso di ironia e autoironia che negli anni ci ha contraddistinto, insomma una serie di fattori che rendono tutto più facile e alimentano i rapporti. Proprio l’autoironia è un pregio che gli deve essere riconosciuto, un sintomo di intelligenza e quella capacità di sdrammatizzare anche momenti davvero tragici.

“Chi tifa David Spera non perde mai” è una frase coniata nell’agosto del 2010 tornando in treno da Milano, un altro tormentone che negli anni ha resistito ma che ha un reale senso di verità. E per questo, la sua scelta dublinese vissuta tra difficoltà, alti e bassi, rappresenta al meglio la sua tenacia e la voglia di insistere e crederci.

Fabi dice che io ed Alfredo ci comportiamo da bulli nei confronti del nostro amico fiuggino, ma fa tutto parte di un grande gioco, della capacità di prenderci in giro reciprocamente, di recitare dei ruoli prefissati. Se il Fabi-Pensiero è vero, aggiungiamo anche che noi per il Catto saremmo pronti a prenderci pure una zaccagnata, una coltellata, come disse senza mezzi termini in passato Alfredo.

Il balzo del Catto, il fatto che beva litri di acqua durante la notte, il Lettone, il raddoppiamento fonosintattico della C intervocalica (sto alzando il livello eh), lo smalto, i versi, il suo blog, il suo essere patriota ma di sinistra (un Orwell dei tempi nostri), la curiosità, il lavarsi i denti appena rientrato in casa con ancora il cappotto addosso, la borsa della Marina Militare, il parlare usando anche solo brivido-fomento-mi schiero, e la rara caratteristica di non tirarsi ma indietro.

Tutto ciò appartiene a quest’ultimo eroe dei nostri tempi, quello che alle 5 del mattino, di un sabato sera prima della grigliata a Monteporzio, era in giro per Fiuggi a fare qualcosa che non sapremo mai.

Lui è il nostro idolo. Senza di te saremmo tutti un po’ più poveri.

Bentornato Gallo…Ueeeeeee!!!

 

David: “E questi…questi, questi, questi so’ brividi eh…”.

(Frase delle frasi, dicembre 2008)

 

 

 

david, catto, amici, università

 

(Verona, ottobre 2009. Secondo David, la nostra foto migliore. Secondo me, una delle meno peggio).

Un altro pezzo da museo

 

A malincuore è arrivato il momento di salutare e rendere omaggio ad un altro pezzo della mia storia recente che in qualche modo lascia il testimone e va in archivio.

Il mio Nokia XpressMusic 5800 da ieri è stato ufficialmente rimpiazzato da un Samsung, da uno di quei smartphone di cui il mio cellulare era stato uno dei padri fondatori.

Dopo quasi 4 anni va in pensione questo telefonino storico, inarrivabile per quello che ha vissuto e visto. Andrà a fare compagnia al Motorola V3 comprato nel maggio del 2007 e dismesso il 18 dicembre 2009, la sera della mia festa di laurea triennale fatta a casa con la mia famiglia.

Quel pomeriggio infatti mi recai da MediaWorld e comprai per 279 euro questo Nokia, nero con la striscia rigorosamente azzurra a differenza di quello di Francesca che aveva il bordo rosso.

Da quella sera, è stato il mio cellulare per antonomasia, quello più pagato, duraturo e di qualità. Dentro ci sono ancora tanti messaggi, oltre 240 e partono casualmente da sabato 22 maggio 2010, una di quelle date spartiacque, la notte attesa da una vita.

È curioso il fatto che l’ultima persona che mi ha scritto sul Motorola fu la prima a scrivermi sul Nokia, mentre l’ultima che mi ha scritto su quest’ultimo sarà probabilmente anche la prima a mandare un sms sul nuovo apparecchio.

Poche foto, tanti sms, qualche video, questo cellulare ha immortalato l’Annus Mirabilis, molti viaggi, grandi momenti, la magistrale, Dublino, e ha vinto non si sa quanti trofei.

La foto del display sarà immediatamente trasportata sull’altro, mentre tutto il resto rimarrà in questo strumento che è uno scrigno di racconti e aneddoti, un recipiente di brividi.

Ultimamente si era palesato un problema alla vibrazione e probabilmente il quarto anno che incombeva è stato fatale, sono stato restio a cambiarlo per tanto tempo e mi ci sono affettivamente legato, ma come tutte le cose, soprattutto gli oggetti, arriva un punto in cui si deve cambiare e sostituire.

Quando tra cento anni faranno un museo sul sottoscritto, oltre alla camicia a maniche corte blu usata per l’orale della maturità, il Nokia 5800 sarà uno di quegli oggetti in bella vista, subito all’ingresso.

Ha raccontato e raccolto la mia storia recente, non sarà mai un telefonino come tanti altri.

 

telefono, cellulare, nokia

Il salumiere, il pistacchio, Al Qaeda: il mio 11 settembre

 

Mentre New York si stava svegliando per onorare la memoria dell’11 settembre, io ero appena tornato dall’Ospedale Pertini dove avevo accompagnato mia nonna per delle analisi del sangue. Mentre gli americani facevano colazione, io mi stavo per mangiare una fetta di prosciutto poco prima di pranzo inconsapevole di essere ad un paio di passi dalla mia fine.

Sì, assolutamente, la mia fine intesa come morte prematura ed accidentale, una di quelle cose che leggi il giorno dopo sul giornale e pensi: “Poveraccio, che brutta cosa, e poi era così giovane…”.

Ma passiamo ai fatti.

Dopo l’ospedale ho accompagnato mia nonna anche al supermercato a fare la spesa e ci siamo divisi i compiti per accelerare i tempi: lei al bancone del pane, io a quello dei salumi dove sotto rigide direttive chiedevo un etto di prosciutto crudo dolce ed un etto di mortadella senza pistacchio.

Il cortese salumiere mi rispondeva che aveva solo quella con il pistacchio e che avrei dovuto toglierlo con le dita, una risposta di circostanza non consapevole che nel frattempo io pensavo: “Si col cazzo che io mi metto a giochicchiare con il pistacchio, la mortadella così la mangia mia nonna”.

Alla fine però, previo consulto con quest’ultima, ordinavo un etto di mortadella che ovviamente non mi avrebbe riguardato. Rientrato a casa, con un certo appetito e con la colazione che era ormai un lontano ricordo per lo stomaco e la mente, mi appropriavo furtivamente di un pezzettino di pane e di una fetta di prosciutto crudo. Infilata in bocca parte di quest’ultimo, notavo con stupore dei pezzi di pistacchio all’interno della carta che fungeva da involucro al prosciutto. Sorpreso più che intimorito, analizzavo da vicino i due pezzi verdi e avevo immediatamente la conferma che si trattava davvero di pistacchio.

Dopo aver imprecato e sputato il tutto, mi scorreva davanti tutta la mia vita: le lauree, i viaggi, la notte di Madrid, il Catto, i miei genitori, il Lago di Lugano, Molly Malone e avvertivo mia nonna del disastro che stava per avvenire.

Lo spavento di mia nonna ha superato il mio timore, ma dopo aver bevuto mezzo litro di Gatorade pensando: “Morirò, ma almeno chiudo con una cosa che mi piace”, notavo che nella fatalità più nera le mie labbra non avevano toccato nulla di pistacchioso (non si dice ma ci siamo capiti).

Nessun gonfiore immediato, niente shock anafilattico, nessuna morte per soffocamento. Salvo e ancora padrone dei miei sensi, riflettevo sul fatto e sulla sua assurdità: evidentemente nell’affettatrice c’era del pistacchio fuoriuscito dalla mortadella da chissà quanto, nel tagliare il prosciutto questi fottutissimi pezzetti verdi erano terminati nella carta e io stavo per morire.

Forse a volte mi dimentico che effettivamente per gente come me vivere significa abituarsi ad avere una pistola puntata alla tempia, con un colpo solo, a volte ti dice bene come oggi, perché Dio ti mette una mano in testa, altre invece finisci che vai al pronto soccorso e ti iniettano via flebo qualcosa. Altre invece…ci siamo capiti.

Dopo il 5 maggio del Catto (post che ho letto ieri senza un motivo valido) poteva esserci l’11 settembre di Matteo, se sto qui che scrivo e provo ad ironizzare significa che alla fine non è andata così male.

 

allergie, pistacchio, 11 settembre

(Non era il momento su, ho ancora qualcosina da fare, lasciami vivere altri 3-4 anni dai)