Benicassim

Basta poco cantava Vasco Rossi. Basta poco per cambiare una stagione, un’annata, un periodo. Basta una chiamata, o semplicemente una gravidanza. Un sabato di future mamme che spianano strade, una ha aperto lo spiraglio ad un amico, un’altra invece renderà un mio vecchio compagno di scuola papà: due notizie, due botti in un giorno. In un sabato di sole e primavera, di panini e pic-nic fra le margherite di Villa Borghese, davanti la fontana dove una volte mi tuffai vestito con tutte le scarpe uscendo da scuola l’ultimo giorno, oggi invece, non c’è più nemmeno l’acqua. Basta poco dicevamo, basta un sabato insolito per rientrare in un posto dove da ottobre 2012 non avevo più messo piede, volutamente, ma anche un po’ per caso.

Altre due settimane e poi sarà aprile: orari legali, allergie, Pasqua, primi caldi, ponti, cose che da un anno esatto ci attendono sedute là, mescolate fra le pagine del calendario, fra l’inverno e l’estate. Intanto bambini di 9 anni confessano di voler diventare chef, ripenso a quelli della mia generazione e mi ripeto che noi volevamo essere solo tre cose: calciatori, piloti e astronauti, la televisione ci domina e qualche ragazzino di quarta elementare inizia a svalvolare evidentemente. Ma questo è quello che circola, tutto corre troppo e molto si consuma velocemente, settimane che passano senza averne memoria, leggo Pavese e trovo la risposta: qualcosa che non ricordiamo significa che non è stata importante.

È 17 marzo intanto, e mentre i pub del centro si adoperano per organizzare lunghe bevute sfruttando la festa irlandese di San Patrizio mi ricordo che sono 153 anni da quando questa terra è stata unita. Forse non interessa più a nessuno, in realtà l’eccesso di esterofilia ci stordisce, allontana e rovina, festeggiamo gli altri e ci dimentichiamo di noi, facciamo gli auguri agli sconosciuti e snobbiamo il nostro compleanno. Siamo un popolo unico, cintura nera di karate per salvezze last second e medaglia d’oro nella specialità “quattro frecce accese con la macchina in seconda fila”, ma nonostante tutto, ti ricordo con tenerezza vecchio Stivale.

E allora, auguri Casa, auguri Perla d’Europa.

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Un inedito

Un bel post inedito trovato giorni fa in un file incredibilmente nascosto e dimenticato nel computer. Un post di sensazioni, di attesa, tra un volo e un altro, durante lo scalo a Monaco il 13 dicembre 2010. Un post che mi ha scaldato il cuore appena l’ho trovato e riletto, una pagina word salvata alle 19.58 di quel lunedì…

Sono a Monaco, Monaco di Baviera, nel Principato ci sono stato già quattro mesi fa. Sono seduto su dei divanetti tondeggianti, di diversi colori, comodi, spero possano essere confortevoli allo stesso modi anche i sedili dell’aereo, quelli su cui tra un paio di ore mi siederò prima di dirigermi verso l’ultimo sogno che mi è rimasto da esaudire, l’ultimo desiderio di me bambino. Fa freddo a Monaco, tantissimo, a Roma era una bella giornata, qui nevica, spero che non ci siano ritardi e che si possa decollare in orario. Non ho parlato con nessuno, sono agitato, vorrei essere già a domenica 18. Ho fatto un giro in questo aeroporto ultra funzionale e moderno, bello, pulito, una “chiccheria”. Sono passato davanti lo store del Bayern Monaco, e pensare che oggi al posto mio, al posto nostro, ci sarebbero potuti essere loro, e invece no, ci siamo noi, ma soprattutto ci sono io.

Ho mangiato un panino, una rosetta con il salame, anzi “salami” come dicono i tedeschi, la commessa voleva infilarci dentro di tutto ma alla fine ha capito che volevo solo e semplicemente un panino con del salame, stop. Ho preso anche una Radler, pagherei per ubriacarmi e buttarmi sull’aereo stravolto e svegliarmi domattina nell’afa di Abu Dhabi. Sono rientrato per farmi un altro panino, e volevano farmi ripagare la Radler che ancora non avevo finito, meno male che avevo lo scontrino e ho potuto mostrare la mia onestà. Ho avvertito casa, il wi-fi non va ma un sms è stato sufficiente. Sul treno per raggiungere Fiumicino ho ricevuto un po’ di messaggi di incoraggiamento, mi fa ridere sta cosa, sembra che l’Intercontinentale me la stia andando a giocare io in prima persona. Sono ripartito da casa di mia nonna, come a maggio prima di andare a Milano in quell’altra finale e come ad agosto per la Supercoppa, una volta che ho cambiato percorso abbiamo perso. La scaramanzia è tutto, ti attacchi a ogni cosa quando vuoi raggiungere un obiettivo con qualunque cellula del tuo corpo.

Poco fa pensavo che è giusto così, è stato corretto partire da casa di mia nonna perché per anni ha dovuto sopportare questo nipote che giocava con la pallina dentro casa e sognava di vincere la coppa Intercontinentale. Quel momento è arrivato, o meglio, la possibilità stavolta c’è. Tutto ha un senso, un sottile collegamento, e con il destino e la fortuna è bene essere educati e rispettosi.

Fa caldo qua dentro, farà caldissimo quando sarò dall’altra parte, quando atterreremo. Non mi pare vero, sono mesi che ci penso ma ancora non mi sono calato nella situazione, ancora non ho assorbito questa idea: ma cazzo, ma è proprio possibile che stia succedendo tutto ciò? Cioè, è possibile quello che ho detto prima alla signora Cadau incontrandola davanti il cancello, quando mi ha visto con la valigia?. “Vado a vedere l’Inter in finale di coppa Intercontinentale”, questa è stata la mia risposta. Incredibile. Non lo so, ditemi che è tutto vero e che non sono qui a Monaco per qualche strambo motivo. Ditemelo, vi prego, perché se fra un po’ mi sveglio e sto nel letto di casa, sto giro mi incazzo di brutto. Chissà, magari invece fra un po’ mi addormento e mi ritrovo davvero ad Abu Dhabi. Speriamo. Allora, adesso vado al bagno, poi mi avvicino al controllo e poi salgo su. Un po’ di tempo l’ho trascorso, la sosta dello scalo l’ho riempita.

Ora si va, a caccia dell’ultimo tassello, per far felice quel ragazzino che aspetta da un sacco di tempo questo momento e che nel 1996, al gol di Del Piero a Tokyo, si domandava: “Ma noi ci arriveremo mai lì?”. Sì, ci siamo, siamo arrivati lì, 7 ore di volo e ci siamo sul serio.

Divertiti, bambino.

Ratataplan

È tutto un fatto di numeri d’altra parte. Cento giorni alla maturità e un laureato su quattro non ha lavoro. Numeri, calcoli, parole che si affastellano e cambiano poco, ovviamente. Non ho fatto i cento giorni, dovevo andare scuola, non si poteva saltare un giorno per me. Maratoneta nell’animo, operaio tra i banchi quando il talento è poco e allora la butti su tutto il resto. Avevano previsto bel tempo e invece è sempre coperto, ma è marzo, e per gli aperitivi lungo mare è troppo presto, c’è da aspettare. Ancora.

Impazza la moda del selfie, tanti scatti rubati e spesso venuti fuori male, ma a me piace ancora la foto, uno che te la fa, un passante straniero con la mappa in mano a cui chiedi di immortalarti. Intanto è ricominciato il Grande Fratello e torniamo tutti a essere un po’ spioni, non ci piace ma un po’ ne sappiamo, e mi chiedo se sei più stupido te che lo vedi o quello che ti giudica cretino per ciò che osservi in TV sdraiato dal tuo divano, ma alla fine, sono opinioni. Vale tutto, come sempre.

Diciotto e non sentirli, ventisette e viverli con un po’ più di peso, guardo le mie cugine e provo invidia per chi ha meno anni, forse per la prima volta. Nel frattempo, il traffico ti risucchia dentro, il telefono squilla ma non rispondi, riconosci il numero e sai che le offerte impazzano e tutti si litigano i clienti e quindi, meglio starne alla larga.

Applicazioni che non vanno, ritardi, messaggi non recapitati, la tecnologia ci strangola e ci strapazza, fastidiosa come un bambino con la pistola ad acqua, ci irride e noi sottostiamo ma tanto è già mercoledì, anche questa settimana è scavallata e qualcuno ti ricorda che l’onore è ancora un pregio.

Pareri e sapori, torte colorate e pizzette avanzate, il compleanno è alle spalle, ora dritti verso il resto e quindi l’ignoto, occhio alla prossima puntata dicono, pare sia sempre la migliore, ma poi la radio passa un pezzo di Daniele Silvestri e ti ricordi tante cose. Fortunatamente belle.

Altri messaggi che sono arrivati (Parte due)

Già alcuni mesi fa, in un post estivo del primo agosto, avevo raccolto le risposte ricevute da tutti coloro i quali avevo contattato nella ricerca di un lavoro. Dopo l’Epifania ho inviato 44 curricula e ho ricevuto ben 6 risposte, quelle che ho riportato qui di seguito, tutte ovviamente negative. Ho avuto un colloquio per uno stage non pagato, ho ricontatto vecchie redazioni, incontrato il mio ex direttore di Dublino, portato cv a mano bussando direttamente alle porte degli uffici. Mi sono iscritto al centro per l’impiego, ma dopo due mesi questo è il quadro, questo è tutto ciò che ho racimolato.

 

Gentile Dottore

Ho letto il curriculum che ha avuto la cortesia di inviarmi. Devo tuttavia comunicarle, purtroppo, che nel breve periodo non intravedo possibilità di inserimento negli organici dell’emittente.

Cordiali saluti

Grazie per averci scritto. Purtrioppo al momento non siamo in grado di accettare altre collaborazioni

Cordiali saluti

 

Gentile dottor Ciofi,

la ringraziamo, a nome del Direttore, per essersi reso disponibile a

collaborare con XXXXXX XXXXX.

Siamo davvero spiacenti di comunicarle che, al momento,  non prevediamo un

aumento del numero dei collaboratori esterni.

Non possiamo, quindi, rispondere affermativamente alla sua cortese proposta,

che terremo comunque in considerazione per il futuro.

Ringraziandola nuovamente della disponibilità le inviamo un cordiale saluto.

La Segreteria di Redazione

Gen.mo Matteo, siamo dispiaciuti ma al momento le assunzioni sono bloccate per una regolamentazione ed una riorganizzazione interna a xxxx xxxx xxx. Speriamo in un futuro più roseo. Non ti scoraggiare nella ricerca!

 

gentile matteo, 

XXXXXXXXX è una testata riservata agli studenti iscritti alla scuola di giornalismo Luiss, Pertanto non può prendere in considerazione candidature esterne

Saluti, 

Gentile Matteo,

purtroppo il requisito dell’età è stringente. Lasciando il posto fra un mese esatto, ti invito a contattare la redazione una volta che il nuovo editor si sarà insediato. Grazie per il tuo interesse,

Saluti,