Fino al 2065

Il malumore, il malessere, il fastidio, la tristezza e la malinconia che vengono generati da ottobre è un qualcosa che non esiste in un mondo normale, ma solo nella mia dimensione parallela. Si sbrigasse a passare questo mese, un mese infernale, glielo chiedo con la massima cortesia malgrado l’antipatia che provo. Un’agonia scandita dai giorni, una rottura di coglioni interminabile, una escalation di ricordi, un crescendo di rievocazioni. Ovviamente il primo giorno a Toronto coinciderà con il 28 ottobre in un uragano finale di difficoltà che non a caso si sono sommate tutte insieme. La settimana dopo avrò visite così per mettere una ulteriore spruzzata di pepe, un “dentro tutti” drammatico per riallacciare i fili con il passato e riprendere il comando della situazione dopo l’interregno romano.

In tutto questo, ormai, mi sento dire una cosa soltanto: è stato un altro anno di merda. Assolutamente sì.

Come il 2013, il 2014, come verosimilmente saranno il 2016 e il 2017 ma anche il 2018, 2019, 2020, 2021, 2022, 2023, 2024, 2025, 2026, 2027, 2028, 2029, 2030, 2031, 2032, 2033, 2034, 2035, 2036, 2037, 2038, 2039, 2040, 2041, 2042, 2043, 2044, 2045, 2046, 2047, 2048, 2049, 2050, 2051, 2052, 2053, 2054, 2055, 2056, 2057, 2058, 2059, 2060, 2061, 2062, 2063, 2064, 2065, poi spero basta, 78 anni saranno abbastanza per togliersi dalle palle, soprattutto dopo aver vissuto i precedenti in questo cazzo di modo.

Ecco, questo è il punto, non mi parlate del lavoro, della salute e delle altre pagliacciate perché la mia risposta sarà sempre la stessa: “Non mi interessa”. Devo farne a meno? Ok, a me del resto non me ne frega nulla, non mi interessa minimamente niente. Adesso riparto, poi tornerò, poi non lo so, non so molto, ma non mi cambia niente in fondo. A me in generale, non frega di nessuna cosa.

Questa è la grande considerazione di giornata. Una considerazione grande, così grande da essere una convinzione.

 

P.S. Il post l’ho voluto scrivere solo per fare l’elenco degli anni così. Mi immagino il Catto che se la ride, spiazzato da questa cosa in un post del genere.

Parlami di te

“Dai, parlami di te”. Non so mai da dove cominciare quando mi chiedono una roba del genere, mi è successo poche sere fa e non a caso, quasi istintivamente, sono partito dal 2012.

Ripensandoci bene però, la cena da solo è un qualcosa che mi identifica piuttosto bene. Infatti, l’ho scritto nella chat congiunta con i miei amici, chiedendo loro di raccontarmi così: uno che esce dalla redazione e va a cena da solo, perché aveva voglia di andare in pizzeria.

Come ritratto non è un granché però ci può stare, fornisce un messaggio chiaro e immediato del personaggio. Per il resto faccio fatica ma ci provo, e come i bambini posso dire di essere alto e magro, con le occhiaie perenni, mi gratto un sacco la testa, ho svariate allergie (motivo per cui mi gratto) e fra 5 mesi compio 29 anni.

Penso di aver detto già abbastanza, ma se scavo un po’ di più e mi impegno, qualcos’altro lo trovo.

Faccio il lavoro che sognavo da bambino, ho vissuto in due paesi all’estero e in un continente diverso dove a breve tornerò, ho già viaggiato parecchio ma non dormo mai su treni, pullman e aerei. Ho una relazione complicata con il sonno. Non ci siamo mai capiti troppo e ho sempre dormito molto poco a mio avviso. Ma quando suona la sveglia mi alzo subito, “altri 5 minuti” è un stile di vita che non m’appartiene, anzi, mi irrita. Che cazzo ti cambiano quei 5 minuti così?

Pur avendo una vita discretamente impegnata mi annoio spesso. Sono attivo, lavoro, mi impegno, ma comunque sia una parte di me si annoia irrimediabilmente. Guardo poco la tv, scrivo tanto ma leggo sempre meno, non sto su Facebook da tempo perché non mi interessano gli affari degli altri, Twitter invece mi diverte di più. Mi sembra uno strumento più utile.

Sto spesso da solo, una capacità che ho sviluppato da bravo figlio unico. Ho bisogno di stare da solo, come se dovessi entrare in una mia dimensione familiare. È una necessità. Non mi piacciono troppo gli animali, mi piace invece la pasta, la pizza, il Gatorade e il salame. Non ho vissuto nemmeno 3 decenni eppure tutto quello che sognavo è già successo: ho visto l’Inter vincere ogni trofeo, l’Italia il Mondiale e la Juventus in Serie B. Mi sono così consegnato ad un futuro opaco, senza frenesie e colpi ad effetto, vivo una vita che per qualcuno è interessante ma per me è normale, così normale che come detto mi annoio. Mi appassiono a poche cose, pochissime. Mi interesso a poche persone, quelle però a cui tengo, tengo davvero, al punto tale che vivo le loro vicende personali con grande trasporto, quasi fossi io il diretto interessato.

Non mi piace piacere. Non mi frega nulla dell’opinione degli altri su di me. Non faccio nulla per piacere ma credo sia una buona strada per vivere più sereni.

Non piango mai, ma mi commuovo spesso in certi periodi, solitamente per cose che il 99% della popolazione mondiale non troverebbe degne di nota. Qualcuno mi definirebbe intelligente, non è vero, non lo sono, non lo sono mai stato e mai lo sarò. Penso tanto e ho una velocità di pensiero che è nettamente superiore alla media. Ho pochi spunti, sono ripetitivo, abitudinario, pigrissimo per delle cose stupide e banali, come alzarmi dal divano per rispondere al telefono quando squilla. Quando perdo l’interesse per qualcosa o qualcuno è impossibile riaccendermelo. Non ho l’Iphone, ascolto musica in modo trasversale, oggi ho sentito Roberto Vecchioni, la canzone dopo era Marracash, non mi piacciono i film se non quelli italiani.

Che altro? Pochi amici, pochi ma di livello e spessore. Ho sempre preferito la qualità alla quantità, così come due camicie di Lambert che la tuta di qualche squadra estera.

I colori della mia vita sono quelli del cielo e della notte, il nero e l’azzurro. Sono una persona educata e rispettosa ma potrei dare anche due schiaffi a uno per un discorso di principio o anche per una causa sportiva. Pensa te.

Ho studiato quello che volevo, ho fatto spesso quello che mi piaceva, ho scritto una tesi di laurea magistrale di cui sono profondamente orgoglioso perché era “mia” dalla prima all’ultima pagina. Non rinnego niente, rimpiango poche cose, forse un po’ il tempo che trascorre perché sono una persona mediamente triste e nostalgica. Non tornerei mai al liceo, pagherei invece per essere davanti alla segreteria di facoltà per immatricolarmi nuovamente. Quello rimane il mio periodo migliore. Non mi godo mai nulla, non so per quale ragione, ma non sempre è colpa mia, resta il fatto che questo aspetto mi tormenta. Non mi fa paura niente, la gente però mi deve lasciare in pace. Non rompo i coglioni e gradisco che lo stesso trattamento venga riservato anche a me.

Malgrado tutto, il mio inglese non migliora da anni in modo inspiegabile. Ho una Fiat 600 bianca del 2001, comprata nell’ottobre del 2006. È un pezzo della mia vita e mai la venderò. Sì, sono possessivo solo dei miei oggetti, come ogni figlio unico che non ha mai dovuto condividere nulla da bambino, ma non sono geloso delle persone.

Non faccio prigionieri, chi non vuole far parte della mia vita non lo rincorro. Sono curioso ma solo di alcune cose, mi taglio i capelli una volta al mese e mi faccio la barba una volta alla settimana.

A volte parlo tanto, altre no, forse perché non ho troppo da dire e penso sempre che gli altri non siano interessati a quello che devo dire. Rimango un introverso, un timido, un riservato, poi però si accende la luce rossa della telecamera e non so che cazzo mi succede. Mi trasformo.

Ho sempre un piano B: sono organizzato, ordinato, non mi piacciono disordine e caos. Sono un grande playmaker, in campo e fuori. Non ho manie, ma guardo sempre l’orologio. Non uso il profumo, ma sono pulito. Non fumo, non mi ubriaco, non mi drogo, non leggo fumetti e non compro dischi. Non ho vizi, se non quei 90 minuti a settimana.

Non sono un centometrista e nemmeno uno scattista. Non sarò magari un maratoneta, ma esco sempre alla distanza, sulla fatica e sulla resistenza. Se hai pazienza, la metà di quanta ne ho io, forse mi apprezzi dopo un po’. Quando serve e conta veramente però, le mie mani non tremano mai.

Il mio futuro può essere da 10 o da 3, non lo so, credo che dipenderà molto più dalla fortuna che da me stesso, anche se fin da piccolo non ho mai avuto una visione del mio avvenire così brillante o positiva. Non so perché.

Mi piace andare in palestra e correre, ma non più di mezz’ora. Lo sport è fantastico e rimane la più grande metafora della vita. Indubbiamente.

Ho un rapporto ambiguo con la mia città, mi sento molto italiano ma non particolarmente romano. Nonostante questo, reputo Roma indiscutibilmente la città più bella del mondo. Mi piacciono le metropoli, poco i paesi, ma spero di morire serenamente in provincia.

Sono un fine osservatore, mi ricordo tutto in maniera quasi patologica, forse è un disturbo mentale. Ricordarsi tutto è un grosso problema perché significa non dimenticarsi niente, e nella vita, a volte, non è così d’aiuto.

Qualcuno mi ha definito asessuato, forse per la mia straordinaria capacità di diventare grandissimo amico di quelle che poche che mi piacciono. Preferisco le bionde alle more, ma poi capita sempre il contrario. Non mi sono mai piaciute tutte. Per questa ragione ne ho avute solo un paio, ma l’aspetto numerico non mi interessa. Una resta fuori categoria, perché ha un valore diverso. Le altre fanno da cornice.

Meglio il mare che la montagna, meglio l’estate che l’inverno. Maggio però mi piace in modo speciale. Se avrò una figlia la chiamerò Elena, se avrò un figlio spero che giochi a basket piuttosto che a calcio.

“Con me non uscirei mai a prendere un caffè” ho detto tempo fa, lo confermo e lo ribadisco ancora oggi.

Quando sono all’Anagnina passo sempre dal cancello 9, da dove partono i pullman per San Cesareo.

Non so perché, o forse sì.

A cena, da solo

Forse sì, forse faccio cose strane, ma a me non sembrano nemmeno così originali come quella di ieri sera, uscire dalla redazione, incamminarmi su Lungotevere e raggiungere la mia pizzeria preferita di Roma a Trastevere per cenare da solo.

Avevo fame, avevo voglia di pizza, avevo soprattutto voglio di quei supplì, poi ho pensato che fra 21 giorni ripartirò e così il desiderio è diventato rapidamente voglia spasmodica. Sono uscito, mi sono lasciato San Pietro alle spalle mentre mi toglievo la cravatta e mi slacciavo il bottone della camicia e sono andato.

Era presto, ma avevo fame nonostante avessi pranzato alle 3, mi sono seduto su un tavolo scelto appositamente nella sala senza aria condizionata in fronte al bancone delle pizze e ho ordinato. Mi piace sempre guardare chi sa fare qualcosa con le mani, chi sa pensare con le mani, quelli che dal nulla riescono a tirare fuori un capolavoro, un prodotto eccezionale. Provo una sana invidia per questa gente. Così, mentre trangugiavo rapidamente i miei primi due supplì guardavo i tre pizzaioli davanti a me che impastavano, condivano e infornavano le prime pizze della sera, fra cui, ovviamente, la mia margherita.

Per me la pizza è la Margherita e ogni volta che la mangio, soprattutto “Ai Marmi”, mi ripeto sempre: “Una cosa del genere solo gli italiani potevano inventarsela, che cazzo di popolo, che grandezza”.

Visto che ero ormai in trance agonistica, dopo la pizza mi sono concesso il tris, un altro supplì, un bicchiere di acqua di Nepi e poi mi sono involato verso casa in attesa dell’H quando le 20 non erano ancora scoccate.

L’ultima volta che mi sono trovato a mangiare da solo così ero a Bergamo per lavoro, il fatto che dietro di me ci fosse un altro ragazzo italiano (probabilmente non romano) mi ha fatto sentire meno inusuale.

Beh, io sono uno che se ha voglia di fare una cosa la fa, se sto da solo non lo vedo come un problema, se lo fosse o lo fosse stato in vita mia avrei fatto il 13% di quello che ho fatto in vita mia.

Ottobre

Ho aperto il file di Word dei post di ottobre e mi sono reso conto che era ottobre. Ho sbagliato due volte la data del mese da mettere, ho scritto prima settembre, poi aprile, il primo per abitudine, il secondo replicando lo 04 del giorno.

Sì, è ottobre, forse è arrivato troppo in fretta il fresco, quando ti rimetti i calzini e lasci stare i fantasmini, quelli corti, quelli che sanno di estate e raccolgono fra i loro fili ancora un po’ di sabbia.

Ottobre, da quando sono arrivato a Roma non l’ho mai considerato un mese, ma sempre un tunnel, sapevo che mi avrebbe chiuso in una dimensione lavorativa lunga e faticosa prima di slegarmi all’improvviso, intento a chiudere la valigia e riprendere un altro volo intercontinentale. Sarà così ovviamente, lo aveva previsto e capiterà.

Faccio troppe cose nel frattempo, conosco persone, parlo con decine di tizi mai visti che chissà se mai rivedrò, stringo mani, scrivo pezzi, mi muovo come un automa su una specie di binario che gira attorno al luogo sacro per eccellenza. Intervisto, carico video, guardo, controllo, mi rivedo. Prendo la metro e la distanza da coprire viene quasi inghiottita, forse è l’unico momento in cui mi rilasso, e penso.

Ho capito una cosa importante ultimamente, non mi riesco più spiegare. Ho provato a dare una interpretazione a tutto questo ma la risposta esatta, come spesso capita, non ce l’ho. Non mi sento capito spesso, sempre di più e come non mai, forse perché non mi riesco a spiegare come vorrei. Appunto.

Non so perché, magari ho confusione in testa ma non è così, forse uso termini sbagliati, forse sono solamente molto ripetitivo e confondo le persone, probabilmente non dico tutto e dò per scontato degli aspetti, o semplicemente i miei interlocutori non mi capiscono fino e fondo e la colpa non posso nemmeno dargliela del tutto.

Ho capito di non saper tirare fuori dei concetti e questo mi sta allontanando, non sa da chi o da cosa ma ogni volta che non riesco ad “arrivare” ci rimango sempre un po’ male, credo sia la conseguenza di chi vive di parole, dette o scritte. Penso a ottobre e penso che è ancora il 2015, incredibile, impensabile, non può essere che tutto quello che è successo finora, questo anno lungo, intenso e ovviamente stancante, sia un unico anno.

Ma poi penso che è ottobre e per me ottobre è solo uno, per me è quello del 2012 e non mi stupisco se il mio primo giorno a Toronto nuovamente sarà il 28. Stranezze, coincidenze, tutto dentro per complicare ogni cosa, come sempre, come ogni volta stra-maledetta.

Mi sono chiesto cosa mi piacerebbe fare, non ho saputo rispondermi e probabilmente questo la dice lunga. Ci ho pensato ma niente, così. È così. Ieri poi ho tirato fuori una borsa della Lacoste dall’armadio e dentro ho ritrovato due fogli, una scaletta del programma.

Sta dentro la borsa dal 18 luglio del 2012, così recita la data. Mi è venuto in mente cosa vorrei fare a quel punto: salire in macchina alle 13.30 di un giorno qualunque d’estate e farmi un bel pezzo di Raccordo. Non guadagnare una lira, rimetterci i soldi della benzina ma vivere un profondo senso di ottimismo e leggerezza, con la rara e a me sconosciuta convinzione che le cose andranno bene.

Bene, certo, perché in 2, ogni tanto, è anche più facile.