“Todo Corazón”

Carissimi,

a poche ore dalla fine del vostro lavoro qui a S+L TV, e a qualche giorno dalla vostra definitiva partenza, volevo scrivervi alcune righe, per salutarvi ed esprimervi il mio ringraziamento.

Lo farò in italiano, sì, perché uno dei pochi insegnamenti che mi sono rimasti dal mio docente di Glottologia all’università, il Prof. Poccetti, è che quando si scrive con il cuore, bisogna farlo nella propria lingua. Le emozioni di fondo, non possono essere tradotte, ed il passaggio dall’italiano all’inglese a mio avviso rovina ancor di più il valore ed il significato di qualunque espressione sentita.

La prima cosa che voglio fare è come detto ringraziarvi, un grazie sincero e spontaneo per esserci stati in questo anno e mezzo sotto diversi aspetti. Infatti, a differenza di tutti gli altri, dalla prossima settimana io non perderò solamente due validi colleghi ma qualcosa di molto più importante ed essenziale: non avrò infatti più due cari amici, due confidenti ed in qualche modo due “alleati”.

Non si è mai veramente pronti quando bisogna salutare qualcuno. Ho pensato diverse volte recentemente alla vostra partenza, ma molto probabilmente non sono in grado di rendermi conto davvero di come e quanto inciderà su di me e sul mio tempo qui a Toronto.

Perdo qualcosa, ma guardando la situazione da un’altra prospettiva, al dispiacere di non vedervi più qui quotidianamente, voglio aggiungere la sensazione di aver trovato in questo percorso un qualcosa di prezioso. Il vostro tempo, la vostra stima, la vostra disponibilità e la vostra amicizia continueranno ad essere uno dei regali di maggior valore che questa esperienza è stata in grado di darmi. Per cui, al dispiacere di non avere più tutto questo, c’è anche la contentezza di avervi trovato e incontrato. Sei ti dispiace di non aver più qualcosa è perché realmente hai apprezzato tutto ciò, e questo, alla fine, conta più di tutto.

Per molti mesi avete ricoperto tanti ruoli, e mi avete trasmesso quella strana sensazione di andare a trovare qualcuno di casa, di familiare, ogni volta che ero vostro ospite.

Una percezione strana da spiegare, ma l’idea era veramente quella di andare a trovare un po’ mia sorella e mio cognato, per parlare poi di un sacco di cose.

Le rare volte che mi sono sentito a casa qui a Toronto è sempre stato per merito vostro, un qualcosa che non potrò mai dimenticare, così come il vostro appoggio sotto tanti aspetti ed in molti frangenti. Mi mancheranno tante piccole cose, dalle conversazioni di calcio con Carlos, alle domande di Alicia su qualche ragazza, oltre ai suoi saggi consigli. Bere il Cinzano da solo, non sarà la stessa cosa, e la mia miglior lasagna mangiata qui rimarrà quella condivisa con voi il giorno di Pasqua.

Mi lasciate per una buona causa, e vi prometto che me la caverò in qualche modo.

Per quanto mi riguarda, posso solo augurarvi quanto di meglio, ed in bocca al lupo per tutto, sicuro che prima o poi ci rivedremo da qualche parte, certamente in Europa, anche per un gelato a Villa Borghese.

Grazie di tutto ragazzi e buona fortuna.

Sempre vostro,

Matteo

Agosti

Lo avrò detto e scritto già tante volte ma a me Ferragosto ha sempre generato un certo stato di fastidio, perché di fondo è il primo termine limite dell’estate. Un avvertimento, un messaggio che si infila fra le abbuffate, i gavettoni, la spiaggia e la Gazzetta dello Sport che il giorno dopo non trovi in edicola. Il 15 agosto ti ricorda soprattutto una cosa: un mese dopo sarai di nuovo a scuola. Per me è ancora così. Lo è stato per 13 lunghi anni, per cui penso che ne debbano passare almeno 14 per togliermi di dosso questa sensazione. Ora sono a quota 11, ma forse il fatto che sto in redazione anziché intorno ad un tavolo con 38 gradi all’ombra aiuta a non pensare a questa antica sensazione.

Non mi è mai piaciuta come celebrazione anche se è profondamente italiana, uno spartiacque estivo del nostro paese, il 15 agosto è incardinato nella nostra cultura come poche altre cose ma nonostante tutto a me non ha mai attirato più di tanto.

Agosto oltretutto non è il mio mese preferito. Sarà perché è l’ultimo del trittico estivo, perché giugno e luglio hanno un fascino diverso, l’unica cosa che salva questo mese è l’inizio del nuovo campionato.

Giorni fa, indossando una maglia granata con una scritta davanti a caratteri cubitali “Liverpool”, mi è tornato in mente l’agosto del 2008 quando mi aggiravo da solo per la città del Merseyside, soprattutto i giorni dopo il ritorno da Manchester.

Erano veramente altri tempi: il mio primo viaggio in solitaria in un posto che avrebbe poi segnato gli anni successivi, in particolare la tesi magistrale. Mathew street, Albert Dock, la carbonara da Uncle Sam, Hanover street, Sports Direct, il brivido di entrare ad Anfield, la pioggia di Manchester, il treno verso Altrincham, lo spagnolo incontrato a Liverpool e pochi giorni dopo a Manchester, Arndale, io che vado alla biblioteca pubblica per vedere se Fermata aveva risposto alla mia email. Tante immagini e frammenti che oggi, forse ancor di più, custodisco con un senso quasi di tenerezza.

Un anno dopo agosto mi vedeva immerso nel lavoro della tesi, fra giornali, analisi linguistiche, la mia famosa estate a Wigan Pier per usare una citazione orwelliana che mi piaceva tanto. Una estate a casa, ore di lavoro di fondo buttate, l’inizio della Tesissea, ma anche tante cose fatte con i miei amici, nella calura romana, uno dei passaggi di grande unione della Cerchia. Ricordo la finale di Supercoppa persa con la Lazio a Pechino, la prima delusione di una stagione che poi sarebbe stata impensabile.

Nel 2010, appunto, ero in giro a riscuotere gli interessi della stagione impensabile appena citata. Ero a Roma, in attesa di andare prima a Milano il weekend successivo a Ferragosto, e quello dopo ancora a Montecarlo. Recentemente ripensavo a quanto in quel momento specifico mi sentissi totale padrone della Terra, in ciabatte sul Monte Olimpo a spassarmela.

Nel 2011 il mio lavoro di tesi per la magistrale iniziò ad agosto proprio perché coincideva con l’ultimo esame di settembre. Ricordo il pranzo di Ferragosto a Spoleto dove incontrai il Capriottide per le strade del centro storico ed il viaggio di ritorno in macchina con mio zio all’inseguimento del “Sorce”, ancora oggi, se ci ripenso potrei ridere senza pause.

E il 2012? Terminai il mio stage a Roma Uno la prima settimana di agosto e provai a godermi un po’ di mare e Olimpiadi, in attesa del doppio viaggio settembrino con destinazione Parigi e poi Budapest.

Nel 2013 ricordo il vuoto totale, con l’Irlanda alle spalle e poche idee sul dopo. Fu così che intervenne la Provvidenza il giorno dopo Ferragosto. Mentre ero a Trastevere a mangiare una pizza con mio padre, controllai dal suo telefono la mia email e trovai un commento sul blog che mi era arrivato dalla Svizzera. In quel momento non sapevo minimamente che tutto stava prendendo una direzione nuova e imprevista. Ero ignaro di come in quell’istante la mia vita stava uscendo da un binario per incanalarsi in un altro. Se ci penso, è quasi spaventoso. A fine mese feci la valigia per Lugano, sei settimane dopo una un po’ più grande per Dublino, e se oggi scrivo da qui, alla fine, è perché ho ricevuto quel messaggio e perché decisi di varcare la frontiera italo-elvetica due settimane dopo.

Del 2014 ho un ricordo piuttosto vago, dovrei andare a rileggere qualcosa nel blog. Non fu un grande agosto, non fu nulla proprio in generale, l’anno più sbiadito che io ricordi.

Durante l’ultimo agosto invece, mi aggiravo fra le mura vaticane, provando una mattina di inizio agosto un senso di nausea che ricordo perfettamente ancora oggi mentre giravo all’angolo di Via Monza. Uno dei momenti più emblematici del 2015, senza dubbio. Ferragosto invece lo passai in Puglia con Alfredo, scappando dalla spiaggia come due ladri per un improvviso tsunami, dopo aver rischiato oltretutto una rissa per un parcheggio perché il ragazzo di Frascati, quando ci si mette, è uno preciso e i panini vuole farli bene, soprattutto se il tavolo di lavoro è il sedile del passeggero in macchina.

 

Questo invece? Sto qui a Toronto, non è festa, è lunedì, fa caldo ma non come gli ultimi giorni in cui il clima è stato di un umido mai sperimentato a queste latitudini. Un’altra settimana comincia, Ferragosto non mi tange minimamente, non mi manca nulla di questo giornata, lavoro, ho un po’ di cose da fare e poi domenica ricomincia il campionato, ma soprattutto il prossimo agosto, per forza di cose, già sappiamo che sarà di alto livello.

Random (Parte II)

Per diverse settimane ho traccheggiato nel comprare la bici. Sì, perché quando le cose girano in una maniera, il timore della beffa è sempre drammaticamente dietro l’angolo. Non mi attanaglierà mai questa sensazione, ma nel caso specifico la storia della bici per me aveva un motivo specifico, uno choc d’infanzia.

Nell’estate del 1991 a Torvajanica mi rubarono una bicicletta nuova di zecca. Era perfetta, la mia primi vera mountain-bike con tanto di rotelle, nera-azzurra, nella mia mente è ancora lì, luccicante, pronta per essere guidata ma mi venne fregata nell’ascensore in una dinamica che dopo anni, io e mia nonna, ancora non ci siamo riusciti a spiegare.

Rubate una bici appena comprata ad un bambino di 4 anni e immaginate cosa possa scatenargli. Di sicuro fu il mio primo contatto con il fatto che il mondo è anche pieno di gente di merda. A me quello choc, come quello di tre anni dopo, la finale persa a Pasadena col Brasile, non mi hanno mai abbandonato totalmente. Ognuno di noi ha qualcosa di atavico e di drammatico che si porta dietro dall’infanzia, quella fase in cui siamo segnati a vita da episodi più o meno rilevanti.

Io in fondo vivo ancora quel timore e quella delusione. Dovessero rubarmi la bicicletta qui a Toronto, impazzirei, potrei ammazzare qualcuno a mani nude in un attimo È custodita in casa, quindi il rischio si riduce notevolmente, ma parcheggiarla magari vicino la spiaggia e non ritrovarla due ore più tardi, mi renderebbe Orlando dopo aver visto il letto in cui Angelica e Medoro hanno passato la prima notte di nozze.

Ricordo dopo essermi comprato la macchina nell’ottobre del 2006, la mia prima ed unica auto, che la prima cosa che facevo la mattina appena sveglio era andare subito in veranda e controllare se stava al suo posto. La sera la parcheggiavo in modo che fosse visibile dalla finestra, una notte d’estate invece ricordo di aver scavalcato dalla finestra della mia camera (cosa tutt’altro che agevole) per fiondarmi sul balcone e controllare se l’antifurto che suonava era della mia Seicento.

Non è fobia, è quello choc mescolato al fatto di essere profondamente possessivo dei miei oggetti, come buona parte dei figli unici che non hanno mai dovuto condividere niente con nessun altro.

Da alcuni giorni ho una serie di voglie particolari: fermarmi all’autogrill, andare a vedere una partita dell’Inter soprattutto in trasferta, andare a pesca con mio padre e sparare un botto, ma una cosa tipo un bel petardone, una roba in grado di fare tanto rumore. Non so invece perché giorni fa mi è tornato in mente un ricordo del liceo, quei sabato pomeriggio passati dopo pranzo in veranda a ricopiare le tavole per Disegno attaccato alla finestra da cui entrava il sole. Di solito i disegni che ricalcavo erano di Giulia e Donatella, io mi mettevo la Premier League in sottofondo e copiavo come un assatanato, uccellando il sistema e il professore di turno, in un gesto intriso di poesia e romanticismo.

 

Comunque sia, di questo anno ricorderò diverse cose, come il 7 aprile, i rifiuti, i no per ogni cosa, questo senso di perenne incazzatura e l’amarezza di non essere stato a Cracovia a raccontare live un evento che molto probabilmente non mi ricapiterà mai più in vita.

Tanti frammenti, in qualche modo uniti fra loro, costanti e novità, ma anche grandi classici come essere ossessionato dal ricordo di una persona, dal sognarmela ripetutamente, 2 volte negli ultimi 5 giorni non è male ad esempio.

Morirò di sonno o schiacciato da questa ossessione presumo, ma meglio questa che quella di non aver visto l’Inter vincere la Coppa dei Campioni a sto punto.

Ma vabbè, la cosa più importante è che sono il testimone della sposa e che è iniziato l’ultimo quadrimestre, quello in cui a scuola andavo sempre meglio.

Random (Parte I)

Non dormo più, e questa non è una notizia, il problema è che dormo sempre meno e la sera finisco per chiudere gli occhi costantemente intorno l’una, al di là di quello che ho fatto durante il giorno. Posso essere stanchissimo, posso essere sveglio dall’alba, ma non riesco a dormire in orari decenti e come vorrei. Per quanto la mia relazione con il letto sia storicamente complicata, credo che questo sia uno dei punti più bassi di un amore mai sbocciato, o forse mai corrisposto, ovviamente da parte del sonno verso il sottoscritto.

La scorsa settimana è stata la più lunga e impegnativa di questo 2016 e difficilmente penso sarà superata. Il lungo weekend si è trasformato in un mini fine-settimana di fatto con solo la giornata di domenica, oltretutto maledettamente piovosa. Lunedi mattina alle 7.30 ero in redazione, alle 8 già mi aggiravo con un pass al collo e il microfono in mano per lo Sheraton.

Il problema della scorsa settimana è il livello di attenzione e concentrazione che ho dovuto tenere. Io non sono abituato perché non sono in grado. Ho da sempre una rarissima capacità di concentrarmi e isolarmi, ma poi, dopo un paio di ore, la mia attenzione cala in maniera irreversibile. Motivo per cui ho sempre studiato pochissimo ma con una abilità di apprendimento inusuale in quel breve lasso di tempo. La scorsa settimana appunto credo mi abbia stancato sotto quell’aspetto e il sonno che continua a scarseggiare mi sta definitivamente condannando.

Un’altra riflessione che invece sono stato costretto a fare giorni fa è relativa al livello di aggressività che mi ha ormai generato questo posto. La realtà è che sotto alcuni aspetti sto diventando tutto quello che non mi piace e che non sono mai stato, e tanto meno, ovviamente, vorrei essere. Questa aggressività, che poi forse la definizione non è nemmeno del tutto corretta, credo sia dettata da una marea di cose. In primis, questo posto ha fatto venire a galla una serie di frustrazioni del passato, di rabbie, che il Canada attraverso strade originali e insolite ha fatto riemergere.

C’è più roba vecchia che nuova in fondo, di attuale ci sono solo cose passate con un vestito odierno. Mi dispiace, certo, ma non riesco a condannarmi per tutto questo. Nel senso che chiunque avvertirebbe lo stesso, se la base e lo storico che ti porti dietro sono quelli.

È strano vivere in un posto in cui la gente o ha i soldi di famiglia o li sta facendo, frequentare certi contesti ti fa sentire un poveraccio, e spesso mi ritorna in mente un po’ il protagonista di Ovosodo quando dal suo quartiere popolare si sposta all’Ardenza per il liceo. Per quanto il parallelismo possa sembrare forzato, in realtà nel profondo si annida un qualcosa che ritorna.

Prima di andare via da qui, sono convinto che mi toccherà attaccare qualcuno al muro, anche perché più andrò avanti e meno mi controllerò. Ho sempre fatto molta poca fatica in questo, ma più passa il tempo e più sto perdendo questa capacità, così come la pazienza. Tanti sono i motivi, talvolta anche sciocchi, penso a cose tipo: compro il modem e non funziona, compro il cacciavite e la misura non va bene di poco, compro il blocco per la bici e non si apre, compro la lampada e non c’è inspiegabilmente la lampadina dentro, viene il tecnico a fare l’allaccio internet ed è un incompetente, qualunque cosa sembra destinata ad essere complicata. Anche la più sciocca e banale. Cazzate, ovvio, ma che alla lunga ti esasperano, proprio perché sembra che nulla debba andare in un verso, e se le chances sono 50% e 50% finirà per andare in un modo. Sempre lo stesso.

(continua)