Dieci anni di Blog

Come e dove mi immaginavo dieci anni fa? È stata questa la domanda che mi sono posto più volte nell’ultima settimana pensando a questo post da scrivere, unico e speciale, un pezzo che mai avrei immaginato di arrivare a comporre dieci anni fa.

Oggi, questo blog, raggiunge il suo decennio di vita e passa a contare gli anni in doppia cifra ed in qualche modo è un piccolo traguardo fondato soprattutto sul piacere di scrivere e sulla costanza di non lasciare mai le cose a metà, o appena svanito l’effetto novità.

Dieci anni di vita, quando ne hai appena 30, sono moltissimi. Un terzo del percorso, indubbiamente la porzione più importante, quella in cui passi dall’essere ragazzo a giovane adulto. L’epoca in cui finisci di studiare e ti immetti nel mondo lavorativo, gli anni in cui inizi a vivere diversamente, in maniera indipendente e a capire in fondo, un po’ più della vita.

Un blog nato un sabato sera di metà novembre, per caso, nel senso che non stavo progettando questa idea editoriale, ma rimasi attratto da una pagina su Virgilio.it, iniziai a leggere e di impulso, con pochissimi passaggi, aprii questo indirizzo.

Il primo post fu quello su Gabriele Sandri, ucciso pochi giorni prima e fatto di cronaca che stava riempiendo tv e giornali. Da quella sera a oggi, ci sono stati 1214 post. Un numero notevole sicuramente, anche perché una delle sfide che impone un blog è quella di tenerlo aggiornato in maniera costante.

Negli anni questo indirizzo è sempre rimasto uno spazio personale, una bacheca in cui raccontare fatti, eventi e sensazioni che al 99% della comunità di internet non potevano certamente interessare. Ho sempre raccontato tutto in modo onesto, con qualche filtro certo, ma senza troppi sbarramenti. Un blog che è sempre stato un angolo terapeutico, talvolta uno “sfogatoio”, spesso uno strumento con cui riordinare pensieri e idee o magari tracciare bilanci. Negli anni, come era immaginabile, è diventato una banca dati preziosa, un luogo dove poter ricollegare fili e racconti, un serbatoio di date e appunti storici.

Ha cambiato pelle, colori, titoli e headers. Qualche volta l’ho dovuto mettere a tacere rendendolo privato per evitare fastidi, ha avuto anche l’onore di essere terreno fertile per stalkers e disperati, che cercavano chissà cosa per punire una brava ragazza, colpevole solo di essere innamorata.

È stato un blog di servizio nel senso che mi ha permesso di aiutare uno studente a scrivere la sua tesi su Hillsborough. Si è trasformato in mezzo di contatto con la “Rossocrociata” nell’agosto del 2013 quando attraverso il form sul lato destro, lei fu in grado di scrivermi e di innescare un meccanismo assurdo che se riletto a ritroso ha cambiato davvero gli anni successivi.

Un blog pieno di riflessioni, di Inter, di università, di viaggi e di tante belle cose, anzi, di tante grandi emozioni.

Molti sono stati i personaggi menzionati in questi anni, e senza di loro ci sarebbero stati molti meno post, ma soprattutto tante risate in meno nell’ultimo decennio.

Se mi avessero chiesto dove mi sarei immaginato oggi, quella sera del 17 novembre 2007, avrei detto sicuramente all’estero. La verità è che in fondo ho fatto in tempo a partire e tornare, a vivere in due paesi e in due continenti diversi, a vedere un bel po’ di mondo là fuori e quindi oggi non posso essere triste se questo post lo scrivo esattamente, anche un po’ per caso, dalla stessa camera di un decennio fa.

Dieci anni appunto, una decade che si può suddividere facilmente in: 2007-2012 università, 2013 In & Out con Dublino, 2014 anno di transizione a Roma e 2015 – oggi Toronto, al di là che sia tornato esattamente 4 mesi fa, per essere precisi anche con numeri e ricorrenze.

Queste sono state le fasi, cariche ovviamente di tantissime altre sotto-categorie, di pensieri, ricordi, idee e certezze. Sì, perché ancora oggi penso molte cose di quel tempo, ma so anche che non ne condividerei tante altre con il me stesso di dieci anni fa, ed ovviamente è tutto normale e corretto.

Si mi avessero raccontato questi ultimi 120 mesi quella sera del 2007, avrei chiesto di firmare un contratto per accettare tutto il pacchetto, forse avrei anche pagato. Di certo non avrei creduto a tanta grazie del destino, mi sarei accontentato di molto meno e più passa il tempo e più so di essere fortunato.

Una persona privilegiata che non può far altro che ringraziare Dio, il Destino, il Fato, la Vita o chi per loro per quanto ha avuto.

Sono stati dieci anni pieni, anche se in parecchie occasioni ho pensato l’opposto. Un decennio di grandi soddisfazioni. Tutto quello che volevo fare l’ho fatto, tutto ciò che desideravo è avvenuto, è dura aver qualcosa da ridire, sarebbe semplicemente ingiusto.

Volevo fare il giornalista, viaggiare, vivere all’estero, in Europa e in Nord America, sognavo di vedere l’Inter rivincere uno scudetto e ho visto questa squadra conquistare tutto il possibile, sono stato bene in salute e non ho dovuto piangere nessun familiare, se non in un caso.

Mi sono divertito, ho respirato un sacco di sensazioni, incontrato centinaia di persone, ho avuto qualche valido maestro, mi sono disperato e emozionato: ho vissuto.

Alla fine, so che non c’è veramente nulla che non rifarei e questa è la considerazione più importante.

Fatico a immaginarmi fra dieci anni, quando ne avrò 40, avrei avuto meno difficoltà nel 2007 a pensarmi trentenne, di certo so che se nella prossima decade riuscirò a fare la metà di quello che desideravo in questa appena archiviata, sarà stato un altro enorme successo.

È stato un lungo viaggio, meraviglioso, ricco di brividi ed è giusto che prosegua anche perché nuove storie sono in arrivo, una casa in cui vivere nel cuore di Roma come ulteriore capitolo ed uno splendido ricongiungimento che dista ormai meno di 70 giorni.

Che dire, una storia di dieci anni termina, ma al tempo stesso prosegue in altro capitolo: la penna intanto, per inaugurare una nuova pagina è già qui, affianco a me, e questo basta e avanza per essere contenti.

“Sì vabbé, ma c’è un post al quale sei più legato?”

“Sì, in fondo sì. Questo qua”.

Questo invece il tema, l’header, del primissimo blog.

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Spazio promozionale

Un’altra puntata di Pagine Vaticane qui di seguito. Due mesi ormai di produzione totalmente indipendente, una location favolosa, una continua rincorsa al sole e alla giusta luce, sfida resa ancor più complicata dal cambio dell’ora di fine ottobre.

E poi, la decisione di togliere ogni tanto la cravatta il venerdì, ma soprattutto un clima che mi permette di andare in onda ancora solo con la giacca, senza soffrire le pene dell’inferno.

L’aggressione di Piervincenzi

Il breve video in cui il povero Pierivincenzi di “Nemo”, insieme al suo cameraman, viene aggredito barbaramente da uno (non credo che si possa definire in altro modo uno così) sta girando da qualche ora in rete.

L’ho visto casualmente su Twitter perché ritwittato da Nicola Savino e dopo l’iniziale sorpresa, mista a sdegno per quanto si vede, come spesso mi capita in situazioni analoghe, mi sono chiesto se io lo avrei fatto.

Mi sarei recato in un territorio a rischio, a intervistare qualcuno di molto poco raccomandabile con una alta probabilità di passare un brutto quarto d’ora?

No, non lo avrei fatto e nemmeno mi vergogno a dirlo. Non posso biasimare chi l’ha fatto, gli riconosco il coraggio e quel briciolo di incoscienza necessaria, ma io non ci sarei andato. Non per paura, ma perché oltre a possibili danni fisici, avrei messo a repentaglio la salute di qualcun altro e rischiato ritorsioni in seguito. Questo è il mondo di oggi, questa è in un certo qual modo l’Italia, questa è l’atmosfera che si respira e i rischi da affrontare per un giornalista.

Non avrei avuto paura di andare a cercare una verità, avrei avuto il terrore delle conseguenze, considerando la questione e i personaggi coinvolti.

Se c’è della vigliaccheria in tutto questo non lo so, forse sì. Magari invece è solo buon senso, e la ragionevolezza di aver a cuore la propria pelle e quella degli altri, colleghi compresi.

Non sta scritto da nessuna parte che per essere un bravo giornalista si debba fare scoop a raffica e indagare nella merda. Ci sono molti modi di fare questo mestiere, io ad esempio, in questi anni, sono ben felice di non dover lavorare in ambiti sportivi e per lo più calcistici.

Sembra assurdo, ma è così. Se fin da bambino sognavo di fare il telecronista, oggi, in questo mondo di social e ricco di maleducazione, dove chiunque può vomitare di tutto direttamente ad un professionista, come nel caso specifico un giornalista, sono bel felice di stare alla larga, lontano dal dover raccontare calcio.

Sono felice di fare il mio giornalismo, e non lo cambierei con niente oggi. Me lo tengo, contento di quello che faccio, delle responsabilità che ho, di quello che guadagno e di sapere che al massimo qualcuno mi può dire in modo garbato o un po’ più stizzito che alla domanda X non vuole rispondere. Bene, benissimo.

Anzi, male quando capita questa situazione, ma bene e benissimo che tutto finisca lì. Normale. civile e giusto.

Ogni volta che vedo giornalisti aggrediti o insultati, insomma, in situazioni molto più che scomode, rifletto molto su quello che siamo. Mi sento soprattutto parte di un paese in cui la magistratura potrebbe fare più schifo di quello che ha dato una testata a Piervincenzi.

Perché il mio grande timore è che tutto potrebbe finire in una denuncia, che niente succederà e nulla cambierà. Ho paura di quello, perché se una persona rischia questo e può subire una violenza così brutale, la colpa non potrà mai essere del mestiere che svolge, bensì di altri. Di chi non lo protegge e di chi permette questo, ancora, e senza prendere reali provvedimenti.

L’Incubo

Sono cinque anni che tengo questo cartoncino nella tasca della giacca nera. Non l’ho mai tolto. Non so perché, o meglio, non so perché non l’ho buttato subito dopo che mi fu consegnato, di certo so perché negli anni successivi l’ho conservato.

È un promemoria. Mi ricorda quel giorno, quello prima e quello prima ancora. Quel weekend, e tutto quel periodo, quel finale di 2012 e quello che arrivò dopo.

Seduto sui gradini vicino l’Auditorium, mentre parlavo con Francesca, un ragazzo mi consegnò questo invito per Halloween. La scritta “Incubo” sintetizzò alla perfezione il momento, e come spesso capita, in momenti tragici c’è sempre un aspetto bizzarro o involontariamente comico che ti fa ridere. Da qui, di fondo, nasce il detto “ridere per non piangere”.

Tengo questo cartoncino anche se in realtà me lo dimentico ogni volta. Mi torna in mente sempre in questo periodo, quando la giacca nera torna a essere giusta per il periodo e il clima. Dopo il controllo di ordinanza delle tasche, su quella in alto a sinistra trovo sempre questo cimelio e mi ricordo, anche se mi stupisce ogni volta che sia ancora lì. Dopo qualche secondo però, sono “felice” di ritrovarlo.

In quelle settimane, in una e-mail di Alfredo datata 14 novembre lessi:

“Salda il conto intero o tieni in tasca lo scontrino. Non aver paura di tenerti tutto dentro, alla fine è il posto più sicuro in cui custodire le cose preziose”.

Involontariamente questo invito di Halloween è la ricevuta di quel periodo e seguendo il saggio ragazzo di Frascati, l’ho sempre tenuto in tasca, in quella che casualmente, o forse no, è sopra la parte del cuore.

Banale a dirsi, ma indietro di 5 anni non ci tornerei nemmeno sotto tortura, eppure decine di cose mi ci hanno riportato in queste settimane. Non solo il calendario e le ricorrenze, la giacca, il meteo o il cambio dell’ora. L’aria che respiro mi fa ripiombare lì. Anche perché è in fondo la prima volta che mi ritrovo a Roma dopo anni, dal 2012 appunto, e quindi è tutto un ripercorrere. Per quanto sia passata una vita, c’è troppo intorno per non ritornarci con la testa, sarà anche perché ottobre è sempre stato foriero di eventi negativi.

Ripenso infatti al 2005, al 2012, ma anche all’anno successivo e a Cracovia dopo il traumatico secondo inizio irlandese, così come al ritorno in Canada datato proprio 27 ottobre 2015. Certo, per onestà, c’è anche da menzionare quello passato, che ovviamente va in controtendenza con tutti i precedenti, e per quanto sia fresco e recente, si è ritrovato stritolato dagli altri e dal fatto di ritrovarmi a Roma.

A me questo posto non mi fa stare bene, non c’è niente da fare. Mi rende tutto tranne che felice e questa consapevolezza, che si sta facendo strada dentro di me, non mi regala grande serenità.

La grande fase di rigetto che anziché arrestarsi aumenta da quando sono rientrato, sta vivendo la sua fase più acuta ora, anche a causa di una serie di ricorrenze che non possono evocarmi bei ricordi.

Non mi piaceva prima questo posto, mi piace ancora meno oggi. Di fondo, tutto il tempo passato prima di andarmene è stato costellato da momenti non esaltanti, per usare un eufemismo.

Quella è stata la coda e quindi pesa ancora nelle sensazioni e nei ricordi. Da quando sono tornato mi sono realmente goduto tre giorni. Sono state le tre giornate in cui sono stato felice di essere qui: quella a Montalcino e i due matrimoni.

Per il resto, tutto è stato solo motivo di fastidio, soldi spesi, perdite di tempo, totale mancanza di sintonia con il contesto. Se pure avessi idealizzato il ritorno, non penso che questo sia il problema di tale disagio. Non mi dimentico però che a suo modo questo rientro mi ha già insegnato diverse cose, lezioni che se non avessi rimesso piede qua in maniera più o meno stabile non avrei mai appreso.

Se mai la querelle relativa alla casa troverà un suo compimento, se si prenderà il largo da ottobre e dal suo essere evocativo e potrò magari lavorare decentemente, sarò ben felice di rimettermi a posto a livello emotivo, anche se amici con genitori morti e gravemente malati non aiutano.

È strano, ma non casuale, aver scritto l’inizio di questo post con “Rockin’ Chair” di Rod Stewart in sottofondo, a me sembra di essere indietro di anni, e nemmeno pochi a dire il vero. Una ridda di ricorrenze, pensieri, ricordi, tutte quelle cose che ti rendono tetro inevitabilmente e non perché ieri era il 2 novembre.

Mi sembra di essere nella macchina del tempo, e senza voler rinnegare nulla, perché quel cartoncino mi ricorda che c’è stato di peggio, molto peggio, so solo che tutto questo non mi piace affatto e essere lontano da qui mi farebbe stare decisamente meglio.

Ovunque, ma non qui.