Un po’ di casa a Toronto

Non so bene perché in realtà, ma ho sentito un po’ il magone mentre giravo su Spadina Ave e imboccavo Dundas Street per tornare a casa. Aver salutato Giorgia per l’ultima volta, prima della sua partenza, mi ha generato diverse sensazioni, molteplici percezioni, ma soprattutto ha toccato troppi punti ancora scoperti tutti insieme.

Sono state belle giornate, intense, piacevoli, ore in cui si è messo un punto a una serie di cose e ricucito il resto. E poi quella sensazione di sentirmi finalmente a casa, almeno per un po’ anche in posto così lontano e diverso. Tutto questo è successo e io lo immaginavo, lo speravo anche, certo, ma avevo una netta convinzione che sarebbe andata in questo modo e i fatti probabilmente hanno superato addirittura le ottimistiche aspettative.

Quel saluto appunto che ha messo il punto finale a questa visita mi ha ricordato esattamente quanto tutto quello che era successo prima aveva gravato su di me. Soprattutto il modo. Ecco, quello rimane un motivo che mi ha portato a pensare a un qualcosa di analogo e di precedente.

Non si fanno mai i paragoni su certe cose, so soltanto che i pesi che continuo a portarmi dietro sono anche esattamente dettati da come alcune vicende si sono sviluppate e di fondo concluse.

Vale per lei, ma non solo. Chiaro.

Pensavo quindi a questo ritorno canadese, al contraccolpo, a quest’anno di fatto, alle tante cose capitate e al peso di sentirmi comunque sempre un estraneo, motivo per cui venerdì scorso ad un punto ho lasciato un locale dove ero andato con dei miei colleghi per andare proprio da Giorgia, per prendere una boccata di casa.

Continuerà ad essere sempre un problema, magari meno grande, potenzialmente si può ridurre ma sarà comunque una presenza costante.

So che in fondo la fatica fatta finora mi inizia a pesare, più dal punto di vista mentale che fisico, ma è stato un anno troppo inusuale per prenderlo come parametro.

A me è un anno che non è piaciuto molto fin qui, sembrerà strano per gli osservatori esterni ma questo è, capisco chi non comprende, semplicemente perché non avendo vissuto in prima persona tutto ciò non segue magari il discorso in modo esatto, però è andata così e io so benissimo cosa intendo. Sono consapevole che è stato un anno veramente difficile, tanto difficile, con molti ostacoli.

E per quanto sia abituato a stare da solo, stare da solo in questa maniera è davvero un’altra storia, e questa solitudine ha avuto una fiammata solo grazie a un volto del mio passato.

 

Tweet del giorno

Alla fine della corsa

Chissà i rimpianti

Per quando si era felici

Senza saperlo

Mentre aspettavamo il tempo

Quando il tempo aspettava noi.

Luxor

Quattro giorni fa, il 2 novembre, è stato il compleanno di Luxor. Ha compiuto 43 anni e mi sembra veramente una vita fa quando giocavo insieme a lui ed era un giovane, molto più giovane di quello che sono io ora.

Luxor è un pupazzo dei “Cavalieri dello Zodiaco” che i miei genitori trovarono durante una passeggiata in Val Gardena un pomeriggio d’estate di oltre venti anni fa. Qualche bambino, percorrendo lo stesso sentiero, poco prima, lo aveva perso, mentre loro ci erano inciampati sopra e lo avevano riportato indietro regalandomelo. La caratteristica di Luxor era la sua dimensione, era infatti un pupazzo gigante, alto almeno 30 cm, più del doppio di tutti gli altri della collezione. Una cosa che non avevo mai visto in Italia, ma che forse, altrove come in Germania o in Austria, terre da cui provenivano molte famiglie che affollavano la Val Gardena, esisteva.

Luxor era azzurro e con i capelli viola, ma soprattutto era senza armatura, i miei lo trovarono spoglio, fosse stato anche dotato di tutto il resto sarebbe stato un colpo esagerato, invece no. Un finto problema in fondo, sia chiaro, perché Luxor andò a rimpolpare la mia batteria di pupazzi del Wrestling, dei “Cavalieri dello Zodiaco” oltre al grande Jim, talentuoso fenomeno degli “Sbullonati”.

A quei tempi il Wrestling andava forte e io ne ero un discreto fan, ma quelli erano anche i tempi del grande Hulk Hogan e non certamente la pagliacciata che provarono a rimettere in piedi intorno i primi anni Duemila.

Il problema è che dopo un po’ i combattimenti sul ring originale del Wrestling iniziarono ad andarmi stretti e così con tutti i pupazzi che avevo decisi di farli giocare a calcio. Se penso a uno dei primi momenti di svolta epocale della mia vita, questo appartiene certamente a tale categoria.

Iniziai così ogni sabato pomeriggio -almeno il sabato pomeriggio- a giocare partite infinite sul tappeto della mia camera. Una pallina, 22 giocatori in campo, due porte e io che parlavo e facevo giocare questi pupazzi creando un mondo di fantasia raro. In tutto questo però, la mia squadra era sempre l’Aston Villa, una scelta che dava un tocco ancor più British al sabato pomeriggio già molto di suo da Premier League. Non so perché scelsi i Villans, forse perché poco tempo prima, nel 1991 in Coppa Uefa, ci batterono 2-0 a Birmingham e sembravano correre come assatanati. Al ritorno però andò in scena una di quelle notti da Inter e ribaltammo tutto con una delle nostre storiche imprese, un successo che ci spianò poi la strada verso quella coppa.

La partita del sabato pomeriggio diventò un appuntamento fisso e i miei giocatori scendevano in campo puntualmente, a Natale del 1994 ricevetti un tappeto verde disegnato come un campo da calcio, uno dei regali più belli di sempre, che abbinato al Subbuteo e alle porte vere in miniatura che potevo usare, mi regalarono la sensazione di essere veramente allo stadio. A tutto questo, andava aggiunta la mia già discreta passione e pazzia per il tifo e le curve, intorno a questo tappeto-stadio infatti c’erano fogli disegnati con bandiere e striscioni per rendere l’atmosfera ancor più realistica.

In questo meraviglioso mondo parallelo, Luxor era uno degli uomini cardine. Lui era capitano della squadra, era olandese ed era nato ad Amsterdam il 2 novembre. Non so perché scelsi quella data, forse per un bislacco senso di malinconia che accompagna questo giorno, di certo la nazionalità era stata scelta per cavalcare l’onda dell’entusiasmo dell’arrivo di Bergkamp e Jonk.

Ricordo la sera che Dennis Bergkamp firmò per l’Inter. Era tarda primavera ed eravamo a cena da mia nonna, la notizia me la diede mio papà e non penso di essere mai stato tanto felice nel ricevere una notizia del genere. A volte si vuole bene alle persone anche per cose apparentemente banali, io ad esempio so che voglio bene a mio papà anche per la gioia che mi regalò quella sera.

Luxor appunto era un giovane campione, enorme in campo, non solo per la stazza extra-large ma perché avevo deciso che era un capitano vero, uno di quelli che vinceva le partite da solo.

Io passavo i miei pomeriggi a fare le telecronache, e ovviamente, e qui arrivo al punto anche se so di averla presa larga ma sono consapevole che era necessario, decisi quale lavoro avrei voluto fare. Ero piccolo ma avevo scelto, e lo avevo fatto raccontando nella maniera più spontanea del mondo le gesta di pupazzi di diversa estrazione che dovevano giocare partite surreali di Premier vincendo quasi sempre.

Quella naturalezza nel fare quella cosa non mi ha mai abbandonato e crescendo ha fatto sì che io non potessi fare altro che quello.

E quindi, ogni volta che qualcuno prova ad allontanarmi, a portarmi anche idealmente lontano da quella strada io mi incazzo. Mi trasformo, cambio completamente perché so quello che devo difendere, so ciò che rappresenta per me e che non devo permettere a nessuno di mettersi in mezzo fra me e questa cosa, se non al massimo il sottoscritto.

Non lo permettevo prima, figuriamoci ora, soprattutto dopo anni di studio, sacrifici e fatica.

Per cui, non vi frapponete, non mi intralciate la strada, non mi rompete i coglioni.

Non sento storie, anche perché non posso deludere Luxor.

20131031

Anche a te, fidati

Sono contento di stare dall’altra parte della barricata, in quel lato in cui siamo pochi, così oltretutto stiamo anche più larghi. Sì, in quel settore dove ci siamo noi che in fondo, alle critiche, ai giudizi e alle opinioni altrui ci facciamo caso, fino a un certo punto, come è giusto che sia e poi stop. Il resto scivola via. Invece di là, dove siete la maggioranza e vi fate anche un po’ compagnia (chissà che sballo immagino) avete tutti sto senso di ansia e di preoccupazione. Di piacere, di ottenere conferme ripetute, di avere seguito e di sentirvi spalleggiati, fra “I like” e stelline, i voti del giorno di oggi, i feedback esistenziali che per qualcuno cambiano il corso della giornata e l’umore talvolta. Voi che state lì in questo oceano di insicurezze colmate da finti apprezzamenti.

Tutte foto, frasi, tutto questo ostentare per racimolare qualche ideale pacca sulla spalla, per sentirsi accettati. Voi che state lì, non mi siete simpaticissimi. Ovvio.

Sì, perché non mi piace chi vive per il commento, chi campa in attesa della benedizione degli altri, per mettere tutti d’accordo, per piacere necessariamente, quelli che poi alla prima opinione storta, nemmeno giudizio, si sentono feriti nell’animo, non apprezzati, attaccati, delusi. Be, regolatevi, prendete la manopola e abbassate il volume, veramente. Non siate schiavi di questo, ve lo suggerisco in modo quasi paternale.

Sarà che a me non me ne può fregare di meno, sarà che parte del mio lavoro è dare anche giudizi ed esprimere opinioni, sarà che invece l’altra parte del mio lavoro è incassare giudizi, e se vivessi ogni parola come una condanna o con una profondità un tantino esagerata, non potrei sopravvivere o non potrei proprio fare questo lavoro. Credo anzi che metterci la faccia, nel caso specifico non solo a livello ideale ma anche pratico, ossia piazzare il proprio volto davanti una telecamera, aiuti in questo passaggio. Non puoi piacere a tutti, non puoi pensare di essere gradito a tutti. È impossibile, per cui è bene toglierselo dalla testa, e tirare avanti, determinati nel fare il proprio meglio e non cercando il consenso totale, il plebiscito.

L’ho imparato con il tempo, le critiche fanno parte della vita, ancora di più in certi settori, sono regole del gioco. Meno male che con i giudizi ho sempre avuto un rapporto cordiale, incasso, interpreto e smaltisco, dando sempre il giusto peso, l’unica strada in fondo percorribile.

Se volete, posso darvi qualche lezione, veramente. Sacrifico il mio tempo per venirvi in soccorso, sì perché non potete vivere così. Lo so che non la vivete bene questa dimensione di tutto in vetrina, aspettando la notificuccia sui social. No perché poi siete diventati quelli a cui non si può dire nulla, o cose belle e rinfrancanti oppure niente. Allora facciamo niente, non so recitare parti che non mi appartengono, quindi non mi esprimo più e vi lascio sbrodolare fra di voi.

Magari un “I like” tira l’altro, siete felici e tutto va bene. Ah un po’ di coerenza, un po’ di maturità, un po’ di obiettività, un po’ di capacità di sapersi prendere in giro, vi suggerisco questi passi iniziali subito. Per iniziare.

Ecco, un po’ di questa roba qui vi farebbe bene, così come sapere accettare i punti di vista altrui.

Vi servirebbe.

Anche a te, fidati.

Intervista

Ogni tanto capita che io finisca dall’altra parte e quindi, dopo aver intervistato mezza Curia, eccomi nei panni di quello a cui vengono poste delle domande. L’argomento era facile dovevo soltanto parlare di me e della mia esperienza.

Grazie ad Alfredo e Silvia, prendetevi 5 minuti.