Un mese alle spalle, un altro davanti

 

Ho pensato di andarmene via almeno mille volte. Mio padre continua a dire che sarebbe opportuno che me ne tornassi a casa. 

Parto così, con queste due frasi per dare subito un’idea di come sia stato questo mio primo mese qui a Dublino. Complicato? Difficile? Assolutamente sì. Molto peggio di come mi aspettavo. 

Ho toccato questo traguardo con il fiatone e mi accingo a vivere i restanti trenta giorni prima di rientrare in Italia. Un mese ma anche il giro di boa, siamo a metà di questa esperienza che si sta rivelando tutto tranne che una passeggiata. Non è un’ esperienza di lavoro, è un’esperienza di vita, un’avventura. Un mese qui e la sensazione che il tempo si sia mostruosamente dilatato come successe a marzo, ma fare paragoni tra il periodo di studio e questo è davvero impossibile. Troppo diverso e troppo più comodo il primo, un’altra storia questo stage. In un mese ho vissuto di tutto, ho dovuto fronteggiare molti problemi, ho dovuto maneggiare con cura e attenzione alcune questioni. Sono successe già talmente tante di quelle cose che la mia mente è portata a pensare che tutto ciò non possa essere successo nel giro di 31 giorni. Ho cambiato due case (a breve traslocherò nuovamente) e tre stanze, ho fatto un viaggio nel viaggio andando nella graziosa Cracovia (un regalo ricevuto da Giorgia ad inizio ottobre), ho scritto articoli, letto giornali, sono stato alla RTE due volte, ho incontrato già un infinità di persone. 

Un mese che ha raccolto discussioni, malumori, litigi, pacche sulla spalla e qualche soddisfazione. Poteva andare meglio, ovvio, ma ancora una volta, il mio essere guardingo, il mio non lasciarmi andare a facili entusiasmi e il non  fare il superbo ottimista non sono state scelte sbagliate.

Del lavoro nel dettaglio ho parlato un po’ più nello specifico due post fa, di certo posso dire che alterno giornate di grande impegno ad altre molto più serene e con momenti morti. I colleghi mi hanno accolto fin da subito molto bene, in primis il direttore, colui che ha detto sì, colui che ha permesso questo stage. Anche il Managing Director è stato gentilissimo ed impagabile nel concedermi la sua abitazione gratuitamente. 

Il tempo finora è stato clemente, migliore delle aspettative: poca pioggia e tante giornate di sole. Fa freddo, è vero, ma non mi posso davvero lamentare. Non sto vivendo per niente Dublino, meno male che ho avuto tre mesi di tempo per girarmela quando ero studente altrimenti potrei tornare a casa senza aver visto nulla, ma questo è il lato meno felice di quando lavori, sei solo e vivi per conto tuo oltretutto all’estero. Ogni giorno è una gara, ogni settimana una maratona: tra aggressioni folli da evitare alla fermata del tram in pieno giorno, fino all’acqua che per 10 giorni è mancata dalle 20 alle 7 di mattina. Ho dormito su un lettino da campeggio, non sono mai andato a correre, dopo due anni mi sono perso una partita dell’Inter. E’ successo anche questo e ho avvertito grandi momenti di disagio, non lo nego, così come la percezione di sentirmi solo veramente. 

Mesi fa qui era stata una “passeggiata di salute” come diceva Antonello Fassari in “Sognando la California” riguardo una fantomatica gara di coppa Italia fra Roma e Monopoli. Stavolta è tutto più complicato, dicono che sia la vita da adulti, dicono che sono le situazioni che si vivono quando si cresce e ci si prende le prime vere responsabilità. Non lo so, forse è cosi. Ho pensato di andarmene perché continuo a non stare benissimo ma dentro di me c’ è qualcosa che mi dice di andare avanti, di arrivare fino in fondo. Per me e per onorare al meglio questa chance. Magari è la scelta più giusta e saggia e malgrado tutto cerco di ribattere colpo su colpo, stringendo i denti, incazzandomi e provando a mantenere la calma in altre situazioni.

Un mese alle spalle, un altro davanti. 

Let’s go ahead.

La mia personalissima opinione

 

In realtà penso che il limite della vergogna, del degrado e dello scandalo sia stato superato già da un pezzo. Per questo provo fastidio ma non stupore nel leggere i racconti relativi alla storia delle due baby squillo romane. Non è una novità, e sono certo che molti dettagli raccapriccianti debbano ancora emergere, ma resto convinto che in fondo sia lo specchio del paese, del giorno d’oggi con dei contorni quasi globali. Ci si vende per niente, si mette il proprio corpo “all’asta” per una manciata di euro, per una ricarica del cellulare o per avere un gruzzolo tale da accaparrarsi l’ultima borsa firmata. Si vive in funzione di quello, dell’apparire e del mostrarsi. Conta il risultato, non la strada con cui si è ottenuto per quanto questa possa essere sporca e putrida.

E’ questa l’immagine della società di oggi, tutta plastica e soldi, dove il sesso la fa da padrone e la droga ne è fedele compagna. E così risulta difficile indignarsi per certe storie, al massimo prevale il senso di profonda tristezza quando si scopre che la madre di una delle due ragazzine sapeva tutto e istigava la figlia a lavorare per portare a casa dei soldi utili per tirare avanti. 

Quello che però non bisogna sottovalutare e che le baby squillo erano coscienti del gioco in cui erano finite, ne erano consapevoli così come quando usavano droga e si toglievano lo sfizio dei jeans da 150 euro. E’ l’epilogo di una società marcia, in cui il concetto di valore si è perso, in cui la cultura, la curiosità e l’arte sono state soppiantate da smartphone, incontri virtuali e desolazione.

Siamo arrivati a questo punto e la biglia che rotola sul piano inclinato inevitabilmente proseguirà la sua marcia. Agli incontri hot dei Parioli si può collegare anche il fatto di Paolini. Il famoso disturbatore tv è stato arrestato per pedo-pornografia, per aver abusato di ragazzini con l’intento di pubblicare e mostrare quanto fatto successivamente. E’ finita male per questo tristissimo personaggio con evidenti problemi mentali. Anche qui però, rientra il concetto ripetuto prima: le vittime sapevano e ne parlavano con i propri coetanei. I rapporti omosessuali che vivevano con Paolini procuravano loro soldi, denaro valido per comprarsi il necessario. Ancora una volta ritorna il punto precedente: l’avere, il gusto del possesso e del permettersi un qualcosa che altrimenti sarebbe proibito.

 

Ormai si vive per quello, la politica, il mondo dello spettacolo, lo sport, tutto ci indirizza nel pensare che contano i soldi, l’apparire, l’ostentare, il poter comprare.

Questo è il culto con il quale siamo stati imboccati negli ultimi anni, e qualcuno inizia a crederci, soprattutto quando sei giovane e smarrirsi è facilissimo. Il messaggio che continua a passare è questo ormai: se hai i soldi e la bella macchina avrai più chance, la bella ragazza verrà con te, la tua compagna di classe avrà un occhio di riguardo in più se sfoderi la scarpa all’ultimo grido. Se non frequenti serate del jet set non sei nessuno, se non vai al locale figo se un poveraccio sfigato, se è sabato sera e ti limiti a mangiare una pizza con un tuo amico sei una persona triste, se non ingerisci un ettolitro di qualunque mix alcolico non sei forte, se non hai avuto minimo 50 esperienze sessuali non puoi parlare, se non hai avuto rapporti con almeno due persone, un cane, una lepre e una bambola gonfiabile non sei emancipato.

Ecco, rifiuto tutto questo. Provo sdegno e ribrezzo ma non posso fare altro che assistere a questo scempio. Io resto fuori, fuori dal circo, ma non dal mondo. Mi tengo qualche valore, l’idea del sacrificio e del dovere, ma soprattutto del rispetto verso se stessi e ancora una volta del non essere schiavo di nulla. Ne dei soldi e nemmeno degli oggetti o degli stereotipi ridicoli che ormai ci hanno appioppato. 

Sta merda, tenetevela voi.

 

 

Prima di chiudere il post, un pensiero sulla vicenda Salernitana – Nocerina lo vorrei esprimere. E’ stata una farsa, una vergogna, tutto quello che volete ma in troppi si sono dimenticati di sottolineare e ricordare un fatto basilare. Si continua a mettere in secondo piano che ai tifosi della Nocerina è stato negato un diritto. Non gli è stato permesso di seguire la propria squadra in trasferta, anche a coloro i quali avevano la tanto famigerata Tessera del Tifoso (sono ben 6500 i supporters della Nocerina ad avere tale carta), quella che ti permette di non essere mai vittima di restrizioni. C’è gente che ha dovuto aderire a questo progetto ridicolo, a questa schedatura gratuita e che si è vista espropriare del proprio diritto di andare a vedere una partita senza motivi, senza spiegazioni. 

E’ normale e giusto tutto ciò? E’ civile? E’ democratico? La risposta è no. Appurato questo, poi possiamo condannare il resto.

 

Ho pontificato abbastanza, andate in pace.

 

Mettiamola così

 

Ancora 4 giorni e poi girerò intorno la boa per intraprendere il lungo viaggio di ritorno verso il porto. Verso casa.

Le considerazioni generali su questa esperienza le lascio quindi ai prossimi post, quando anche a livello temporaneo potrò tracciare una prima valutazione approfondita di questa avventura.

Capitolo lavoro. E’ cominciata un’altra settimana di lavoro, oggi il giornale è stato chiuso e mandato in stampa, il martedì rimane la giornata più lunga e stressante, con la classica frenesia che si respira in una redazione quando il tempo scorre e tutto deve essere perfezionato.

Ho scritto un paio di articoli, quello su Auschwitz invece dovrebbe essere pubblicato nel prossimo numero. Collaboro, lavoro, scrivo. Mi sto dando da fare anche se forse la difficoltà più grande rimane quella relativa al capire. Sto migliorando il listening, e questo è fondamentale, un notevole passo in avanti e dei miglioramenti sensibili se paragonati a quelli delle mia esperienza di studio qui. Scrivendo in media tre articoli a settimana anche la mia capacità di scrittura e stesura sta crescendo. Lo speaking  invece non migliora di pari passo e non so benissimo il motivo. 

Il vocabolario si amplia, anche perché leggendo tanto in inglese trovo e scopro sempre nuove parole ed espressioni a me sconosciute. La scorsa settimana mi sono cimentato in un paio di video che sono stati pubblicati sul sito, uno dei quali al Cardinale Levada che oltretutto è anche il Diacono di Santa Maria in Domnica, la chiesa in cui si sono sposati i miei genitori, una clamorosa coincidenza che gli ho fatto notare.

Spazio dalla scrittura alla ripresa e al montaggio dei video, per cambiare e migliorare, ma soprattutto per sperimentare e prendere dimestichezza con il maggior numero di cose possibili.

                                       

Capitolo casa. Domenica sera l’amministratore delegato è partito nuovamente verso Roma dove rimarrà fino al 30 novembre. Tutto ciò ha comportato un mio nuovo spostamento, infatti dalla stireria-cameretta-tugurio sono tornato al piano sopra nella camera del padrone di casa. Dopo due settimane su un materassino da campeggio di una piazza e mezzo, ritorno a far riposare le mie ossa su un letto normale. In più, potrò finalmente disporre di un bagno con la doccia e non con la vasca, una di quelle cose che non ho mai sopportato e che nelle ultime due settimane ho iniziato a detestare. Termina il mio periodo da giornalista-inviato stile profugo e torno a vivere una situazione di semi-normalità. Passerò altri venti giorni in quel di Crumlin, perché al ritorno dell’amministratore delegato dovrò spostarmi e andrò a casa del direttore del giornale a Ballaly. E’ un mese che sto qui e non ho disfatto le valigie, presumo che non accadrà mai considerando il prossimo (spero ultimo) spostamento. Ho la roba piegata e riposta nei bagagli, sarà più facile prepararli quando dovrò tornare a casa. Mettiamola così…

“Guarda i muscoli del Capitano…”

 

“Tu sei l’Inter e non ci tradirai nemmeno stavolta, perché nella tua carriera ti mancava solo questa emozione, quella di rientrare in campo dopo un lungo stop e ascoltare il boato di San Siro.

Quel giorno, quel boato, sarà indimenticabile.

Ci vediamo presto Pupi. Ne sono certo”.

(30.04.2013)

 

Finiva così il mio post il giorno dopo l’infortunio di Capitan Zanetti. Terminava con una certezza, il fatto che ci saremmo rivisti e con il desiderio che l’attesa non dovesse essere troppo lunga.

Mi ricordo quei giorni, tutti a parlare del rischio di una carriera compromessa, di un ritiro alle porte, dell’impossibilità di poter recuperare dopo un infortunio del genere. Sentivo queste chiacchiere e mi ripetevo: “Tanto torna, e lo farà anche prima del 2014 dato che tutti dicono che non rientrerà in meno di otto mesi”. Ne ero convinto, è successo.

Nell’ultima serata di Moratti patron, finalmente ti abbiamo riabbracciato Capitano. Un boato forte, quelli che fanno tremare lo stadio. Quelli che ti ricordi per tanto tempo. Come sei mesi fa sono in Irlanda e davanti ad un pc in streaming ho applaudito al tuo ingresso, felice ed emozionato. Perché ho sempre saputo che saresti tornato, che ce l’avresti fatta. Fa parte della vita dei supereroi superare anche gli ostacoli più grandi, e tu ti sei prodigato nell’ennesima impresa.

Il modo migliore per salutare l’uscita del tuo libro e la fine della seconda epopea Moratti, la risposta a chi non credeva più in te, ma le grandi squadre hanno sempre un’anima e tu sei il discendente di quella stirpe unica che ci ha condotto negli ultimi 50 anni: Picchi, Facchetti, Baresi e Bergomi.

Sono convinto che l’infortunio in fondo tu te lo sia cercato, nel senso che ormai i record sportivi li ha battuti e superati tutti, ti mancava soltanto entrare nel Guinness dei Primati per un recupero lampo.

Ecco, quando mio figlio un giorno mi chiederà di parlargli di te, Pupi, potrò dirgli anche che questo Zanetti era uno che rientrò in campo sei mesi dopo essersi rotto il tendine d’Achille. A 40 anni. Un Eroe bello di Papà.

 

A fine gara Cambiasso si è tolto la fascia da capitano e te l’ha restituita davanti a tutti. In segno di rispetto, per onorare il tuo ritorno. Perché è tornato il Capitano, ora il nostro campionato può iniziare davvero.

  

 

zanetti, calcio, inter

(Guardalo come va, The History Man…)